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Per mio figlio

La scuola che vorrei per mio figlio dovrebbe fondarsi su alcuni principi semplici e, credo, condivisibili dalla maggior parte delle persone, per lo meno a livello teorico. La scuola dei miei sogni è interculturale, laica, finalizzata alla formazione di cittadini europei, possibilmente capaci di decentrarsi e di vivere quindi in una dimensione più globale. È la scuola che intende promuovere la costruzione di una società della conoscenza fondata sulla democrazia cognitiva(1).
Per acquisire tali caratteristiche, essa si fonda sulla centralità e sull'unicità del soggetto che apprende e che impara progressivamente a riconoscersi come diverso e a comprendere l'altro in quanto diverso e occasione di crescita comune. La scuola valorizza tutte le diversità, che riguardano quindi la dimensione cognitiva, culturale, sociale, economica, se promuove nelle nuove generazioni la costruzione di un'identità allargata, un'identità forte che è in grado di incontrare la diversità, senza paure e pregiudizi. Un'identità che, attraverso la conoscenza, si consolida ed è in grado di vedere e comprendere l'alterità come fonte di ricchezza e di crescita. L'incontro tra diversi non è più allora finalizzato alla ricerca dell'uguaglianza, nel tentativo di eliminare quegli elementi che rendono l'altro così diverso dal sé, ma allo scambio, all'interazione, alla costruzione di identità più forti e più ricche.


La scuola diventa allora un luogo privilegiato di formazione di individui nuovi, capaci di uscire dalle tenebre della caverna platonica, in cui regna la non conoscenza e l'intolleranza, per costruire una nuova repubblica, con un'organizzazione sociale fondata non solo sulla parità e sull'inviolabilità dei diritti di tutti i suoi membri, ma anche sulla consapevolezza che tutte le diversità non sono un pericolo, una minaccia da sventare, ma un'opportunità da cogliere e da valorizzare.
Una scuola attenta ai cambiamenti sociali e culturali della società contemporanea, che riconosce la diversità in quanto dimensione fondante, che vuole essere una comunità che favorisce l'incontro di tante individualità, richiede certamente ai docenti di ripensare il loro ruolo. Essi non sono più infatti solo depositari e trasmettitori di cultura, ma mediatori delle diversità ed educatori nel senso socratico del termine, cioè capaci di comunicare il piacere di conoscere e lo stimolo a ricercare in un contesto interattivo, dove tutti possono portare il proprio prezioso contributo.
La scuola fondata su tali principi concorre veramente alla formazione di cittadini europei, consapevoli delle proprie radici storico-culturali e di possedere un'identità nazionale, europea e planetaria: una nuova identità, che, come spiega Edgar Morin, “è l'identità pluralistica dell'unitas multiplex”, capace di “aprirsi alla pluralità delle culture del mondo” perché basata “sulla tradizione critica e autocritica della ragione” e comprendente “l'ambivalenza della civiltà nata in Europa”(2).
Ecco allora l'altro elemento essenziale, complementare, la dimensione della razionalità, il versante cognitivo, che sfiora quello etico, perché, come insegna Immanuel Kant, “l'uomo ha bisogno della cultura scolastica o istruzione per divenire capace di conseguire i suoi fini. Questa gli dà valore per se stesso come individuo umano”(3). La scuola deve infatti favorire l'accesso al sapere da parte di tutti, perché tutti hanno il diritto di conoscere, di acquisire una mentalità problematica, critica, curiosa. Solo in questo modo essa svolge quel compito essenziale che le è affidato: fornire a tutti gli strumenti culturali per partecipare attivamente alla vita economica, culturale e politica, valorizzando tutte le potenzialità e riducendo in questo modo quelle disuguaglianze che rischiano di diventare terreno di nuove e più profonde fratture sociali. Per questo, la scuola deve essere laica e fondata sul principio della libertà e della piena indipendenza del pensiero, che dissolve le frontiere culturali, etniche e religiose.
È questo l'ambiente educativo in cui auguro a Tommaso di formarsi, al fine di imparare a vivere con naturale consapevolezza il suo essere cittadino di una comunità europea aperta alla cultura e alle altre culture.

Antonella Dallou

Note
(1) MORIN E. (2000),
La testa ben fatta, Raffaello Cortina, Milano.
(2) MORIN E. (1988),
Pensare l'Europa, Feltrinelli, Milano, p. 142.
(3) KANT I. (1975),
La pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, p. 21.

 

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