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Archeo-didattica
Dal nostro inviato — Ha destato scalpore nel mondo
della cultura la scoperta di quelli che ormai vengono chiamati da tutti
i documenti di Aosta. I fatti: durante gli scavi per
la costruzione della nuova strada che faciliterà l'accesso al porto
della città, sono stati rinvenuti i resti di un antichissimo edificio
scolastico e, cosa ancora più interessante, quelli di alcuni documenti
relativi alla vita che allievi e docenti conducevano fra quelle mura oltre
duemila anni fa.
Fino ad ora le fonti storiche concernenti l'organizzazione della vita
nelle scuole agli albori del terzo millennio erano decisamente scarse.
Si sapeva che le scolaresche erano organizzate in gruppi che venivano
chiamati classi e che, cosa apparentemente priva di ogni logica, lo stesso
nome era riservato ai luoghi dove queste si riunivano per ricevere da
uno o più adulti ciò che era definito sapere. Era noto,
inoltre, che questo sapere veniva elargito secondo vari tipi di procedure,
alcune delle quali appaiono tra loro inconciliabili ai nostri occhi, come,
per esempio, la ripetizione ossessiva di esercizi di calcolo (nonostante
l'esistenza accertata di pur rudimentali apparecchi detti, appunto, calcolatrici)
con la rielaborazione di conoscenze o la costruzione di proprietà
matematiche.
Uno dei fatti salienti che la scoperta dei documenti di Aosta mette
in evidenza è che, nonostante la permanenza per una quantità
enorme di ore (che, detto per inciso, pare che all'epoca non durassero
sessanta minuti come per noi, ma solo cinquanta) nell'edificio scolastico,
gli alunni fossero spesso costretti a continuare il loro lavoro individualmente,
una volta rientrati in famiglia. Un'attività efferata, detta dei
compiti a casa.
Per noi, che abbiamo scelto di mettere l'infanzia e l'adolescenza al centro
della società, risulta difficile capire come fossero possibili
prassi così palesemente in contrasto con il naturale equilibrio
psichico e fisico dei bambini e dei ragazzi. Sembra quasi che si volesse
negare ai giovani il tempo per giocare o quello per coltivare i propri
interessi, salvo, a quanto traspare dal tenore di certe giustificazioni,
quello dedicato ad attività non meglio identificate, da svolgere
sulla neve (non dimentichiamo che, all'epoca, lo scioglimento dei ghiacci
polari era semplice elemento di disputa politica e non ancora realtà),
dette gare agonistiche di discesa. Sembra incredibile, poi, come
potesse non apparire ovvio agli occhi dei nostri antenati docenti che
gli alunni più deboli, soprattutto quelli svantaggiati a causa
delle ineguaglianze sociali che allora erano ancora molto marcate, non
avrebbero ricavato dal lavoro a casa altro che frustrazioni e senso di
inadeguatezza. È indubbio che, in molti casi, ciò che veniva
proposto a questi ragazzi era una sfida impossibile da vincere.
Non sfugge, inoltre, la contraddizione tra tali pratiche e l'immagine
che emerge dal famoso documento Moratti che ci aveva dato della
scuola di quel periodo un'immagine affatto diversa, quella di una scuola
perfetta, dove studenti, insegnanti e dirigenti, che immaginavamo sereni
e perennemente sorridenti, cooperavano in totale armonia, immersi nel
mare tranquillo della conoscenza, avendo a disposizione ogni tipo di agevolazione
tecnologica e di stimoli culturali. Occorre tuttavia ricordare che uno
studioso serio come il Wehrfel non aveva esitato a definire quell'immagine
discordante con la visione, che pure traspare dallo stesso documento
Moratti, della scuola come azienda, luogo che si ritiene
fosse sostenuto dal concetto di profitto, inteso nel senso di guadagno
monetario.
Tra i documenti di Aosta risalta l'agenda che un alunno dell'epoca,
di nome M. Tessuto, classe seconda B, utilizzava per marcare i compiti
che avrebbe dovuto svolgere a casa, oltre ad alcune annotazioni di altro
genere, come, per esempio, Portare 10 euro (la moneta dell'epoca,
ndr) per acquisto gessi colorati, Ore 17-Lisa-biblioteca, e un
incomprensibile A S. Orso ponte. Le pagine del diario sono imbottite
di scritte che seguono quasi sempre gli stessi schemi: materia - studiare
da pagina x a pagina y oppure materia - pagine - esercizi.
Viene da chiedersi perché mai gli alunni non potessero svolgere
in classe, e con gli insegnanti, lo stesso tipo di lavoro. Secondo il
pensiero di Sknilzer, che ne ha scritto su varie riviste specializzate,
probabilmente la causa è da ricercare nella preponderante importanza
che veniva attribuita in quegli anni alla conoscenza di tipo mnemonico.
Si direbbe che molti insegnanti amassero sentirsi ripetere pari pari ciò
che loro stessi avevano comunicato seguendo la traccia indicata dai libri
di testo. Se così fosse, la logica avrebbe voluto che il passaggio
intermedio (gli insegnanti, appunto) fosse eliminato. Gli alunni avrebbero
potuto, infatti, attingere direttamente alla fonte, proprio il libro di
testo. Lo stesso Sknilzer mette tuttavia in guardia dal pericolo delle
generalizzazioni. È possibile che altre pratiche venissero adottate
e che, di queste, si sia perduta traccia.
In ogni caso, i quaderni trovati sembrano confermare gli indizi che emergono
dal diario. In vari casi, compaiono pagine e pagine di applicazioni della
formula risolutiva dell'equazione di secondo grado, in altri decine di
espressioni numeriche si susseguono senza interruzione, in altri ancora
spiccano grappoli di esercizi, quasi sempre ripetitivi, su regole di grammatica
o su classificazioni didascaliche degli esseri viventi, delle piante e,
persino, dei minerali.
Parrebbe proprio che la ripetizione fosse il motivo ispiratore della pratica
didattica dei nostri avi.
Il lavoro degli archeologi ad Aosta non si è ancora concluso. C'è
da sperare che altri documenti, di diverso tenore, emergano dal passato
e ci possano dare un'immagine differente, in modo da poter pensare che
i ragazzi di quell'epoca lontana non abbiano subito tutti la stessa sorte
toccata al povero M. Tessuto.
I compiti, un incubo! |
Sono contenta che sia arrivata la fine dell'anno scolastico, perché
come mamma non ne potevo proprio più dei compiti. Ho cinque
figli: tre maschi e due femmine, il più grande frequenta
la prima media, il secondo la terza elementare, il terzo è
alla scuola dell'infanzia, le bimbe sono ancora piccole. Alla scuola
elementare i bimbi sono pochi per classe, il rapporto con le insegnanti
e i compagni è facile, le maestre rispettano i ritmi dei
bambini, anche la loro stanchezza, non li caricano di compiti, a
casa devono solo ripassare e rivedere le cose che hanno fatto a
scuola. Il problema dei compiti è più complesso alla
scuola secondaria di primo grado. Dipenderà anche dai bambini,
con mio figlio maggiore devo sempre essere io a ricordargli di fare
i compiti, lui non comincerebbe mai. Il passaggio alle medie è
stato per lui una delusione: immaginava di poter stare in classe
con il suo miglior amico, ma li hanno divisi. È tornato a
casa il primo giorno di scuola piangendo. Con i suoi nuovi compagni
non si è trovato bene: la sua classe era molto agitata.
La nuova scuola per lui ha rappresentato un gran cambiamento, in
particolare per quanto riguarda i compiti, appunto. Alle medie c'è
più da studiare, le materie sono tante, ma mio figlio non
intendeva dedicare più tempo allo studio di quanto ne dedicasse
alle elementari, inoltre non riusciva a programmare il lavoro, ad
usare il diario in modo proficuo. Faceva i compiti un giorno per
l'altro. Per aiutare i ragazzi, con le stesse difficoltà
di mio figlio, all'interno della classe è stata istituita
la figura del docente tutor. Ogni alunno sapeva che un insegnante
in particolare, il docente tutor appunto, lo avrebbe aiutato ad
organizzare il lavoro, a riflettere sui suoi eventuali problemi
anche di inserimento e su come superarli. Il tutor è un punto
di riferimento anche per i genitori. Alla scuola dell'infanzia e
alle elementari il rapporto con gli insegnanti è quotidiano,
mentre alle medie è meno diretto, più distante anche
se i docenti sono molto disponibili.
Sonia Tercinod Morandin |
Filippo Sergi
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