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Italiano
L2: problema o risorsa?
Un nuovo tassello nel mosaico plurilingue valdostano
La metafora del mosaico per descrivere il variegato
repertorio linguistico della Valle d’Aosta non pretende certamente
di essere originale. Tradizionalmente impiegata con riferimento alla compresenza,
accanto alle due lingue ufficiali (italiano e francese), delle parlate
storiche locali (francoprovenzali, piemontesi, alemanniche), può
però rendere con efficacia l’immagine di una nuova tessera
che, intrecciandosi a quelle consuete, entra a far parte delle componenti
linguistiche della società e della scuola valdostana.
Si tratta di una tessera di recente costituzione e dalla
natura multiforme. L’italiano L2, in effetti, non è
propriamente un nuovo codice; è, semmai, un insieme di varietà
in divenire all’interno di un continuum rappresentato
da diversi stadi di competenza, stadi che si differenziano sostanzialmente
da quelli che si susseguono in un contesto di acquisizione spontanea dell’italiano
come lingua madre. Chi impara l’italiano sin dalla primissima infanzia,
sia pure in parallelo con altre lingue o dialetti (acquisizione simultanea),
attraversa, infatti, fasi che prevedono il progressivo adeguamento al
codice condiviso dalla comunità. Chi, invece, si inserisce in un
nuovo contesto quando i processi di acquisizione spontanea relativi alla
lingua materna sono ormai consolidati (bilingualità successiva),
elabora e innesta le proprie ipotesi linguistiche sul codice da acquisire
a partire dalle categorie già note, creando in qualche modo varietà
caratteristiche e individuali.
L’azione "Italiano lingua
seconda: lingua di contatto, lingua di culture"
in Valle d’Aosta |
La rilevanza assunta dal fenomeno migratorio e il progressivo
aumento del numero di alunni per i quali l’italiano non
è lingua nativa ha spinto la Direzione generale per il
personale della scuola del Ministero dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca a promuovere il progetto pilota “Italiano
lingua seconda: lingua di contatto, lingua di culture” (nota
n. 153/2004 e successive). Con questa azione il Ministero si proponeva
di formare docenti capaci di operare in classi plurilingui per
insegnare l’italiano come seconda lingua e di diventare,
in ogni istituzione scolastica, figure di riferimento per l’inserimento
di studenti non italofoni.
Nella nostra Regione, la presenza di alunni stranieri è
andata aumentando negli ultimi dieci anni anche a seguito del
ricongiungimento familiare e della scolarizzazione di nativi di
seconda generazione, tanto che in alcune istituzioni scolastiche
la percentuale di questi alunni è elevata e la loro accoglienza
richiede risposte organiche e istituzionali. Il Dipartimento Sovraintendenza
agli studi ha quindi ritenuto importante aderire al progetto ministeriale,
pur riservandosi la possibilità di adattarlo al contesto
regionale. Le specificità del sistema educativo valdostano,
caratterizzato in particolare dalla presenza di più lingue
veicolari di insegnamento e dall’inserimento generalizzato
dell’inglese nella scuola elementare, e le iniziative già
realizzate in precedenza in questo ambito, quali ad esempio il
“Progetto Cavanh”, hanno reso infatti necessaria una
progettazione attenta, capace di coniugare le esigenze locali
con le finalità generali proposte dal Ministero.
Il piano regionale ha seguito il modello nazionale, conservando
le fasi e le procedure da esso definite, e se ne è discostato
al momento dell’elaborazione del progetto di formazione
destinato ai docenti che operano in classi con studenti stranieri.
Come previsto nella prima fase del progetto nazionale, il corso
di formazione per quattro docenti con funzioni tutoriali è
stato erogato dal Ministero in collaborazione con ventuno università
italiane e con il supporto della piattaforma Italdue dell’Università
“Ca’ Foscari” di Venezia per la parte on line.
Questi docenti, selezionati sulla base delle loro competenze specifiche
e della loro esperienza professionale pregressa, sono stati formati
alle tecniche e strategie di gestione di aule virtuali in corsi
di e-learning integrato.
Per la seconda fase del progetto, la Sovraintendenza agli studi
ha interpellato l’Università della Valle d’Aosta
come risorsa di riferimento sul territorio capace di garantire
una maggior adesione ai bisogni del contesto regionale. La collaborazione
tra i due organismi è stata formalizzata con la nomina
di una Commissione Tecnica Paritetica e la firma di un Protocollo
d’intesa che ha definito funzioni e ruoli specifici. L’Università
della Valle d’Aosta ha garantito il coordinamento scientifico,
la selezione e il coordinamento dei docenti responsabili delle
unità in presenza e on line e i criteri di riconoscimento
dei crediti formativi universitari per l’attività
formativa. La Sovraintendenza agli studi ha assicurato il raccordo
con le Istituzioni scolastiche, il coordinamento dei docenti con
funzione tutoriale e il monitoraggio dell’iniziativa.
Nell’autunno del 2005, è stato quindi possibile dare
il via al “Laboratorio di primo livello per la formazione
congiunta iniziale e in servizio nell’ambito dell’italiano
lingua seconda” rivolto a docenti di tutte le discipline
impegnati in classi con alunni stranieri.
In coerenza con il principio che l’apprendimento linguistico
non può essere delegato al solo docente di italiano, il
corso ha coinvolto una cinquantina di docenti di lingue, lettere
e di discipline non linguistiche in servizio presso le Istituzioni
scolastiche della Regione e studenti del Corso di Studi in Scienze
della Formazione Primaria. Questa formula ha consentito il raccordo
tra formazione iniziale e formazione in servizio degli insegnanti,
permesso la condivisione di buone pratiche e favorito l’adozione
di un approccio plurilingue e una maggiore attenzione alla continuità
tra i cicli. Grazie all’approccio multidisciplinare della
formazione erogata è stato possibile affrontare il problema
complesso dell’inserimento e dell’integrazione di
studenti stranieri da diversi punti di vista e da ambiti disciplinari
differenti: linguistico, glottodidattico, psico-socio-pedagogico.
I risultati positivi conseguiti e i pareri favorevoli rilevati
con i questionari di valutazione hanno spinto i due organismi
a ripresentare il corso di primo livello per l’anno scolastico
in corso e l’Università della Valle d’Aosta
a proporre un corso di perfezionamento postlauream in “Didattica
dell’italiano come lingua seconda” che completa i
contenuti del corso di base con un segmento di approfondimento
di cento ore.
Al di là degli esiti positivi evidenziati dal monitoraggio
in itinere e finale, l’azione “Italiano L2”
ha prodotto un risultato non previsto gettando le basi per un
sistema di sinergie virtuose tra i soggetti istituzionali coinvolti
che ha portato alla firma di un nuovo Protocollo di intesa tra
Sovraintendenza agli studi e Università della Valle d’Aosta
per una più ampia collaborazione nell’ambito
della formazione, della ricerca e della certificazione.
Gabriella Vernetto
Coordinatrice per la Sovraintendenza agli studi
Servizio Ispettivo Tecnico
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Il suo apprendimento si differenzia, d’altra parte, da quello di
chi studia una lingua straniera fuori contesto: gli input della
realtà quotidiana che lo circonda si intersecano a quelli stimolati
dalla scuola e, a differenza di questi, non seguono le gradualità
e progressioni delle situazioni di insegnamento formale, ma si offrono
secondo una casualità determinata dalle esperienze individuali
e dalle singole circostanze di vita. Il ragazzino cinese la cui famiglia
gestisce un ristorante, tanto per fare un esempio, specializzerà
il proprio serbatoio di lessico italiano nell’ambito della cucina
e della gastronomia e acquisirà probabilmente con una certa rapidità
formule e routine di cortesia legate a quel contesto, malgrado
l’insegnante nella sua programmazione abbia deciso di rimandare
l’introduzione di tali contenuti a un momento successivo. Le aspettative
della scuola nei suoi riguardi, d’altra parte, potranno apparirgli
distanti dai bisogni che sente come prioritari: lo studio di discipline
che prevedono l’impiego veicolare di varietà di italiano
(e di francese) che rimandano a modelli formali, elevati, settoriali molto
differenti da quelli che pratica nella vita quotidiana potranno indurlo
a perdere motivazione e interesse per i contenuti proposti. D’altra
parte, il suo tendere ad una bilingualità di tipo additivo, che
non comprometta, cioè, la competenza in lingua materna, si potrà
scontrare, a volte, con incauti consigli che lo indirizzeranno a smettere
di praticarla per evitare interferenze e commistioni e quindi, gradualmente,
a dimenticarla. A volte sarà l’apprendente stesso - o una
famiglia impaziente che l’integrazione del figlio nella nuova comunità
implichi una totale identificazione in essa - a procedere a una sistematica
cancellazione delle competenze linguistiche preesistenti (bilingualità
sottrattiva). In questo modo, l’apprendente rischierà
di dirigersi verso vuoti cognitivi determinati dall’assenza
di un codice dominato a sufficienza per pensare, per esprimersi, per comunicare.
E, molto spesso, la comunicazione sarà ulteriormente ostacolata
dalle difficoltà che incontrerà a assumere le modalità
relazionali e comportamentali richieste dal contesto scolastico: il come
e il quanto si parla, si gioca, si ride, si piange, si gesticola a scuola;
il quando si deve entrare, uscire, intervenire, guardare, tacere potranno
presentare schemi molto differenti da quelli incontrati nelle esperienze
precedenti e, a volte, risultare anche in contraddizione con essi.
Tutorato e attività pratiche |
Le attività di gruppo attivate all’interno della
prima edizione del Laboratorio sono state svolte con l’obiettivo
principale di elaborare materiali didattici in gruppi di apprendimento
cooperativo. Questa parte, più operativa, è stata
seguita e coordinata dagli stessi tutor che avevano il
compito di facilitare e moderare le discussioni all’interno
del forum on line.
In questo specifico contesto, sono state richieste ai partecipanti
l’ideazione e la conduzione di un percorso di lavoro che
costituisse un’elaborazione del loro vissuto didattico nei
confronti degli alunni non italofoni. Il lavoro è consistito
essenzialmente nell’analisi e nella produzione di materiali
didattici, ambito in cui i concetti esposti nelle varie unità,
fruite e discusse on line e/o in presenza, hanno trovato una concreta
applicazione.
Le proposte di lavoro sono state raggruppate sotto tre categorie
generali: l’accoglienza, la dimensione linguistica, l’integrazione.
Per la scuola dell’infanzia e primaria, i gruppi di lavoro
si sono concentrati sulla didattica interculturale, mentre per
la scuola secondaria di primo e secondo grado, le attività
si sono piuttosto orientate sulla lingua dello studio con i suoi
sottocodici e contenuti disciplinari.
I lavori - di cui qui presentiamo alcune brevi sintesi - sono
stati condotti nel quadro metodologico della ricerca-azione in
cui l’insegnante svolge ricerca didattica in una prospettiva
innovativa per migliorare o cambiare una situazione preesistente,
per affrontare e risolvere un nuovo problema.
Molti erano gli spunti di riferimento per i corsisti, i quali,
avendo alle spalle periodi più o meno lunghi di esperienza
in vari ordini di scuola, hanno potuto attingere alle svariate
situazioni presentatesi in classi plurilingui. I lavori si sono
così concentrati principalmente su argomenti interdisciplinari
che permettevano una trattazione in chiave interculturale oppure
su aspetti specifici legati all’apprendimento linguistico,
da parte, ad esempio, di allievi arabofoni, oppure ancora sulla
creazione di attività ludiche o vocabolari plurilingui.
Per quanto riguarda l’attività di tutoraggio on
line, i conduttori-moderatori della discussione, o tutor,
hanno avuto il compito principale di stimolare la partecipazione
dei corsisti al forum intorno ad argomenti trattati in
specifiche unità o moduli, redatti da docenti esperti.
Anche in questo caso gli ambiti di discussione erano di tipo socio-psico-pedagogico,
ambito che ha offerto la possibilità di approfondire la
riflessione in modo attivo su tematiche interculturali, oppure
più specificamente linguistici, come nel caso di varie
tematiche legate alla didattica dell’italiano a stranieri,
come l’ascolto e la comprensione dell’italiano L2,
le certificazioni linguistiche, il progetto CLIL, le varietà
dell’italiano.
Superate le prevedibili iniziali difficoltà con lo strumento
informatico, le discussioni hanno dimostrato interesse vivace
da parte dei corsisti che, sotto la guida dei tutor,
hanno partecipato attivamente al forum sia portando la
loro esperienza sia condividendo il percorso di formazione con
nuovi stimoli utili a tutti.
Il ruolo del tutor, se all’inizio può essere
sembrato irto di difficoltà, si è rivelato poi,
nel corso della discussione, gratificante ed interessante proprio
per la possibilità di guidare e facilitare, seppure attraverso
un mezzo non familiare ancora a tutti, un percorso di formazione
innovativo in campo scolastico.
Melinda Forcellati
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Ma, una volta superato lo scoglio dell’adattamento iniziale al nuovo
contesto, le difficoltà non saranno finite. Molto di frequente
le attenzioni e risorse didattiche della scuola si concentrano nella fase
di emergenza iniziale e tendono a scomparire non appena l’alfabetizzazione
primaria risulta acquisita in modo soddisfacente. L’apprendente
rischia, così, di essere lasciato solo proprio nel momento in cui
si trova di fronte al compito più decisivo del suo percorso scolastico,
e cioè quello in cui si deve impossessare di competenze e abilità
linguistiche che gli permettano di controllare sottocodici, espressioni
settoriali e concetti delle diverse discipline di studio e di dominare
varietà di italiano con cui - malgrado la situazione di immersione
- non ha occasioni di contatto nell’esperienza quotidiana.
I problemi linguistici e culturali che deve affrontare nel suo percorso
scolastico un ragazzino straniero, insomma, sono tali e tanto complessi
da non poter essere affrontati in solitudine: passa, così, nelle
mani degli insegnanti la responsabilità di sostenerlo per il superamento
degli ostacoli relativi alle diverse fasi del suo inserimento o, in alternativa,
di consentirgli di decidere di prendere le distanze da ogni contesto di
apprendimento guidato. Ma, per occuparsi di un incarico tanto delicato,
gli insegnanti si devono destreggiare fra compiti in gran parte nuovi,
per affrontare i quali sentono spesso di non padroneggiare a sufficienza
la strumentazione teorica e pratica, tecnica e metodologica. Di qui l’esigenza
di trasferire dal campo della ricerca scientifica a quello delle pratiche
didattiche chiavi che possano dischiudere prospettive di insegnamento
capaci di rispondere in modo adeguato alle sollecitazioni legate all’inserimento
degli allievi stranieri, convertendo quello che può diventare un
“problema” in “risorsa” per l’intero gruppo
classe e per la crescita professionale dell’insegnante.
LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI
Con l’obiettivo prioritario di fornire agli insegnanti
i fondamenti teorici e gli strumenti applicativi di base per rispondere
ai bisogni linguistici degli allievi non italofoni, su sollecitazione
e in collaborazione con la Sovraintendenza agli Studi, l’Università
della Valle d’Aosta ha avviato nell’a.a. 2005-2006 l’azione
Italiano L2 in Valle d’Aosta, che ha previsto l’attivazione
di uno specifico percorso di formazione, strutturato in due livelli (Laboratorio
di base e Corso avanzato). La somma dei due segmenti (Perfezionamento
postlauream in didattica dell’italiano come lingua seconda
- DIDIT/L2) prevede un riconoscimento congiunto
del titolo, corrispondente - sul versante universitario - a 15 crediti
formativi (CFU) e - su quello scolastico - a 2 punti per le graduatorie
degli insegnanti.
Le modalità di erogazione della formazione sono state concepite
per venire incontro alle difficoltà logistiche di coloro che lavorano.
Per questa ragione, il percorso prevede l’integrazione tra momenti
di formazione a distanza, che consentono maggiore flessibilità
di fruizione in termini di spazio (sedi) e tempo (orari), e momenti di
formazione in presenza. Questi ultimi, oltre a trattare gli eventuali
problemi emersi durante le fasi di autoapprendimento, sono finalizzati
a promuovere la conoscenza, la cooperazione e lo scambio fra insegnanti
di differenti istituzioni scolastiche, a accrescere e socializzare l’apprendimento,
a introdurre o approfondire tematiche specifiche o settoriali. I raccordi
tra la dimensione teorica e quella pratica vengono garantiti dalla presenza
di insegnanti-tutor, che accompagnano il percorso dei colleghi nella soluzione
di problemi di accesso tecnologico, nel superamento di ostacoli motivazionali
o organizzativi, nella sperimentazione di materiali, studio di casi, simulazione
di esperienze, ecc. attraverso consulenze individuali e attività
di gruppo.
Il protocollo di accoglienza |
Componenti del gruppo: Cristina
De Giovanni, Daniela Levi, Valeria Negri, Danila Norbiato, Serena
Pramotton.
Compiti: Analisi, valutazione e redazione di protocolli
finalizzati alla creazione di percorsi di accoglienza di alunni
stranieri nelle scuole valdostane.
Prodotti disponibili: Dossier (Introduzione / Che
cos'è un “Protocollo di accoglienza” / Compiti
della Commissione accoglienza / L'iscrizione / La prima accoglienza
/ La relazione con le famiglie immigrate / Allegati).
Che cos’è un protocollo di
accoglienza?
Il protocollo di accoglienza è un documento che intende presentare
una modalità corretta e pianificata con la quale affrontare
e facilitare l’inserimento scolastico degli alunni stranieri.
Esso può essere considerato come un punto di partenza comune,
all’interno del percorso dei vari team-docenti.
Deliberato dal Collegio docenti, contiene criteri e prime indicazioni
riguardanti l’iscrizione e l’inserimento degli alunni
immigrati, definisce compiti e ruoli degli operatori scolastici,
traccia le diverse fasi dell’accoglienza e delle attività
di facilitazione per l’apprendimento della lingua italiana.
Costituisce uno strumento di lavoro che viene integrato e rivisto
sulla base delle esperienze realizzate e delle risorse della scuola.
Il protocollo d’accoglienza si propone di:
• definire pratiche condivise all’interno delle scuole
in tema di accoglienza di alunni stranieri;
• facilitare l’ingresso di alunni di altra nazionalità
nel sistema scolastico e sociale;
• sostenere alunni neo arrivati nella fase di adattamento
al nuovo contesto;
• favorire un clima di accoglienza e di attenzione alle relazioni
che prevenga e rimuova eventuali ostacoli alla piena integrazione;
• costruire un contesto favorevole all’incontro con
le altre culture e con le “storie” di ogni bambino;
• promuovere la comunicazione e la collaborazione tra scuola
e territorio.
Il protocollo delinea prassi condivise di carattere amministrativo
e burocratico (l’iscrizione), comunicativo e relazionale (prima
conoscenza), educativo-didattico (proposta di assegnazione alla
classe, accoglienza, educazione interculturale, insegnamento dell’italiano
seconda lingua), sociale (rapporti e collaborazioni con il territorio).
Nel protocollo vengono indicate le tipologie d’intervento
che la scuola annualmente è in grado di attivare sia attingendo
a risorse professionali ed economiche interne sia mediante accordi
e convenzioni con enti locali, associazioni, altre scuole e territorio.
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Queste ultime, punto di raccordo operativo tra i momenti
di formazione teorica (in presenza e on line), gli spazi di discussione
e riflessione metodologica e le esperienze professionali dei corsisti
hanno dato luogo nella scorsa edizione alla produzione di materiali operativi,
alcuni dei quali presentiamo qui in forma di sintesi o schede di lavoro.
Coloro che desiderassero consultare la documentazione integrale potranno
fare riferimento all’Ufficio Ispettivo, presso il quale sono disponibili
copie cartacee ed elettroniche dei diversi prodotti e strumenti elaborati.
Il modello di formazione è concepito secondo un modello sperimentale
sotto vari profili. In primo luogo, destinatari del segmento di base -
quest’anno alla seconda edizione - sono al contempo gli studenti
del Corso di Studi in Scienze della Formazione Primaria (formazione iniziale)
e gli insegnanti già in servizio (formazione permanente). I primi,
attrezzati di un sapere giovane e aggiornato, ma spesso poco ancorato
alla realtà esperita, trovano occasioni di scambio con i secondi,
che presentano in genere meno certezze teoriche, ma più robuste
consapevolezze ed esperienze concrete.
In secondo luogo, e in dimensione verticale, la formazione si rivolge
a insegnanti in servizio presso le scuole di ogni ordine e grado, dalla
scuola dell’infanzia a quella superiore. La ragione di una scelta
di questo tipo risiede, evidentemente, nella coscienza che il fenomeno
dell’inserimento di apprendenti stranieri coinvolge ormai tutti
gli ordini di scuola e dalla conseguente necessità di “far
dialogare” su un tema comune persone che ne condividono molte problematiche
e che tuttavia raramente hanno occasioni di scambio, confronto e passaggio
di informazioni.
Vocabolario visuale italiano/francese/arabo |
Componenti del gruppo: Simona Baiardi, Giada
Bordet, Nadia Borbey, Chantal Foy, Roberta Jans, Sonia Panella.
Compiti: Progettazione di un vocabolario visuale
italiano/francese/arabo.
Prodotti disponibili: Presentazione dell’attività
in Power Point – flash card inerenti il lessico di base
(campi semantici: famiglia, casa, cibo, abbigliamento, corpo umano,
materiale scolastico, animali, colori, stagioni).
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In terzo luogo, e in dimensione trasversale, la formazione coinvolge insegnanti
appartenenti ai diversi settori disciplinari. Questo aspetto rappresenta
uno dei punti di maggior significatività dell’intero progetto
ed è motivato innanzitutto dalla volontà di sfatare un’opinione
tanto diffusa quanto molesta secondo la quale sarebbero unicamente gli
insegnanti “di italiano” a doversi occupare dei problemi linguistici
degli allievi, italofoni e non. In realtà, tutte le discipline
scolastiche sono coinvolte nell’educazione linguistica degli apprendenti,
in quanto si servono della lingua per veicolare i propri contenuti
e si applicano a contenuti che sono essi stessi linguaggi. La
capacità di capire e usare lingua e linguaggi in modo adeguato,
d’altra parte, incide sul rendimento scolastico di tutte le materie:
da un lato, infatti, ogni apprendimento scolastico prevede la comprensione
di contenuti diffusi dalle spiegazioni degli insegnanti e dai libri di
testo; d’altro lato le valutazioni sul profitto di qualsivoglia
contenuto disciplinare si basano sulla capacità dell’apprendente
di dare conto, oralmente o per scritto, di quanto appreso. Questo fa sì
che tutti gli insegnanti debbano dotarsi di strumenti teorici e pratici
per una corretta comunicazione didattica disciplinare nei confronti degli
allievi, italofoni e non, in modo tale da garantire una piena integrazione
e maggiori opportunità di successo scolastico.
Giochi visuali plurilingui per la scuola
dell'infanzia e primaria |
Componenti del gruppo: Joëlle Dalle, Laura
Giovanetto, Anna Glesaz, Sonia Peloso, Alice Perrin, Mara Tridente.
Compiti: Ideazione e realizzazione di giochi
da tavolo plurilingui (italiano, francese, inglese, rumeno, arabo).
Prodotti disponibili: Presentazione delle attività
in Power Point. Giochi da tavolo realizzati in cartoncino.
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TEMI E SOGGETTI DELLA FORMAZIONE
I due segmenti che compongono il percorso formativo attivato
nell’ambito dell’Azione Italiano L2 in Valle d’Aosta
riproducono i due grandi binari entro i quali si articolano le problematiche
avvertite dagli insegnanti come urgenze formative. Da un lato, e come
sostrato, stanno i temi trasversalmente legati all’inserimento in
classe degli apprendenti non italofoni: si tratta di questioni che - su
uno sfondo che ne mette a fuoco le dinamiche psico-pedagogiche e le coordinate
sociali - evidenziano i principali nodi intorno ai quali si può
articolare un progetto didattico centrato sugli apprendenti (aspetti psico-linguistici
relativi alle correlazioni tra apprendimento linguistico e fattori interni
come motivazione, ansietà, personalità, stili cognitivi
dell’apprendente, variabili dell’apprendimento, competenze
socio-linguistiche in ingresso, ecc.). D’altro lato, in quello che
nel nostro contesto formativo si configura come corso avanzato,
viene invece posta l’attenzione sulle specificità applicative
della didattica dell’italiano come lingua seconda, e quindi sui
processi di alfabetizzazione, di insegnamento/apprendimento delle abilità
di base, ricettive e produttive, sulle tappe interlinguistiche delle sequenze
di apprendimento, sulle caratteristiche generali e ricorrenti dei diversi
livelli acquisizionali, sulle costanti relative a specifici gruppi di
apprendenti, sull’analisi delle strategie caratteristiche della
processazione di dati linguistici, su glotto-tecniche e glotto-tecnologie,
ecc.
Parla come mangi |
Componenti del gruppo: Stefania
Cassina, Chantal Morosso, Sara Perrucchione, Adele Scherma.
Compiti: Analisi, produzione e sperimentazione
di materiali didattici interlinguistici, interculturali e interdisciplinari
intorno al tema del cibo.
Prodotti disponibili: Presentazione delle attività
in Power Point. Bibliografia di riferimento.
Il nostro gruppo, ben assortito e vario come formazione
e aree di insegnamento, ben sintetizza quelle che sono le caratteristiche
di questo corso di formazione di italiano L2: la trasversalità,
la verticalità e la formazione iniziale ed in servizio. Un
cocktail, tutto al femminile, di quattro insegnanti di scuola secondaria
di primo e secondo grado, di area linguistica e scientifica, con
maggiore o minore esperienza d’insegnamento e, in un caso,
al secondo anno della Scuola di Specializzazione.
E così, armoniosamente integrate, abbiamo scelto per il nostro
progetto un argomento che ben si prestasse a lavorare in classe
sull’interculturalità e non solo in presenza di studenti
non italofoni: il Cibo. Perché? Per il suo carattere trasversale
e interdisciplinare, perché rappresenta nutrimento per il
corpo e per la mente, perché facilita la comunicazione e
la socializzazione, valorizza la propria identità linguistica,
dà benessere, ben si presta ad allentare eventuali tensioni
interpersonali ed agisce da “collante” tra culture diverse.
L’interculturalità, obiettivo del nostro progetto,
è stata sviluppata attraverso l’integrazione, intesa
come accoglienza, la valorizzazione della differenza, una progettualità
condivisa, un’interazione linguistica che prevedeva l’alternanza
di L1, L2 e L3 come lingue veicolari, assieme all’uso di una
microlingua, utile soprattutto per le classi della scuola secondaria
di secondo grado ad indirizzo turistico (alberghiero) in cui c’è
stata anche un’applicazione pratica di quanto prodotto nel
laboratorio di cucina.
Come strategia didattica, ci siamo avvalse di un approccio operativo-interdisciplinare,
con riflessioni metalinguistiche in classe sulla trasversalità
dell’argomento, che offrivano l’opportunità di
rivedere eventuali preconcetti e/o stereotipi sulle tradizioni e
abitudini alimentari di diversi paesi. Essendo due di noi insegnanti
di L3, non potevamo non avvalerci anche di un approccio comunicativo,
con attività individuali, a coppie e in gruppo.
Gli strumenti utilizzati per la realizzazione del nostro progetto
sono stati: libri di testo, fotocopie, riviste, giornali, video
e audio-cassette, il computer, programmi quali Word e Power Point
e la rete per effettuare le ricerche su internet.
I contenuti, condivisi ed elaborati sono stati, ovviamente, graduati
e adattati alle nostre classi: ognuna di noi ha utilizzato la sua
parte di progetto come strumento reale che ha trovato un’applicazione
concreta in classe.
Adele Scherma |
Sfondo integratore di entrambi i segmenti è il grande tema della
comunicazione scolastica. Di volta in volta presentato in rapporto
alle strutture dell’interazione e della socializzazione linguistica
nel contesto scolastico, riferito alla regia di insegnamenti e lezioni,
posto in rapporto ai principi della divulgazione disciplinare o alla base
di approcci e ipotesi glottodidattiche (progetto CLIL - Content and
Language Integrated Learning, educazione linguistica integrata, intercomprensione),
il soggetto della comunicazione è stato ritenuto centrale in quanto
decisivo dell’efficacia di ogni intervento di insegnamento/apprendimento.
I rapporti tra la “lingua della scuola” e quella dei ragazzi,
italofoni e non, sono tipicamente connotati da forte asimmetria: le differenze
- di età, istruzione, conoscenze, collocazione socio-economica,
provenienza geografica e, non ultimo, lingua madre - tra gli insegnanti
o gli autori dei libri di testo e gli allievi sono spesso tali da pregiudicare
la comprensione di questi ultimi. Non per nulla, i ragazzi lamentano spesso
di non riuscire a seguire lezioni e spiegazioni all’interno delle
quali il flusso discorsivo risulta eccessivamente veloce e complesso.
Il parlato degli insegnanti si caratterizza, in effetti, per
l’impiego di una varietà di italiano elevata, il frequente
ricorso a termini settoriali, la densità tematica, l’abbondanza
di domande con tempi di risposta molto brevi. In più, mentre nelle
conversazioni naturali e spontanee la posizione degli interlocutori è
simmetrica, nelle interazioni scolastiche si osserva una spiccata monodirezionalità.
All’interno della classe,
in altre parole, l’insegnante è l’unico orchestratore
della conversazione: decide di che cosa si debba parlare, quando, come
e perché. Distribuzione e lunghezza dei turni di parola appaiono
nettamente sbilanciate a suo favore, e anche quando la parola viene concessa
agli apprendenti, la selezione degli argomenti di discussione (controllo
semantico) e l’organizzazione delle sequenze e dei turni (controllo
strategico) restano nelle mani dell’insegnante, che agisce secondo
un piano prestabilito di cui lo studente non sempre è consapevole.
La partecipazione a una lezione presuppone, di conseguenza, una serie
di consapevolezze circa lo stile espositivo proprio del “discorso
scolastico” e di conoscenze sulle specifiche strutture di tale modalità
comunicativa: si tratta, a ben vedere, di un evento complesso, che richiede
la capacità di identificare i blocchi espositivi, di cogliere e
selezionare informazioni e argomentazioni chiave e di elaborare ipotesi
circa i contenuti sulla base di preconoscenze e informazioni ricevute
nel corso dell’ascolto. È quindi fondamentale che l’insegnante
pianifichi in modo chiaro la regia di ogni proprio intervento, premurandosi
di renderne riconoscibile anche ai propri allievi impianto e struttura,
per esempio esplicitando le fasi di apertura, ripresa di temi trattati
precedentemente, di anticipazione di contenuti, di enunciazione degli
obiettivi, ecc. attraverso marche discorsive segnalatrici di blocchi espositivi
e confini di enunciati e attività. La disponibilità dell’insegnante
a verificare costantemente l’efficacia dei processi di comunicazione
e a introdurre - quando necessario - dispositivi di facilitazione (semplificazione
lessicale, parafrasi, ridondanze, ripetizione di informazioni fornite
in forme differenti) rappresenta un valore aggiunto per ciascun allievo,
e non soltanto per quelli stranieri, in quanto soltanto variando
quanto più possibile le proprie scelte linguistiche l’insegnante
potrà davvero andare incontro alle specifiche esigenze di ciascun
apprendente del gruppo classe.
Semplificazione delle consegne nelle
verifiche |
Componenti del gruppo: Giuliana
La Mastra, Antonella Molena.
Compiti: Produzione di materiali sottoposti a semplificazione
linguistica.
Prodotti disponibili: Presentazione dei materiali
e delle attività in Power Point.
Considerate le difficoltà che incontrano
gli alunni nella comprensione dei testi scritti, soprattutto in
un momento ansiogeno come la prova di verifica, abbiamo pensato
di apportare alcuni correttivi alla formulazione dei compiti in
classe di italiano e storia.
Abbiamo lavorato con alunni non italofoni del biennio iscritti al
corso diurno di ragioneria e al corso serale Sirio che presentavano
età e livello differente: tra A1 e B1 del “Quadro di
riferimento delle lingue europee”.
Il nostro obiettivo era verificare la loro comprensione degli argomenti
senza penalizzarli per il diverso grado di conoscenza della lingua,
perciò abbiamo elaborato consegne semplificate, ma sugli
stessi contenuti richiesti ai compagni, avvalendoci come strumento
operativo di quanto suggerito dalla prof.ssa Luisa Revelli nel capitolo
La semplificazione dei testi, incluso nella dispensa Italiani scritti.
Lettura e comprensione.
Dopo aver presentato agli studenti non italofoni alcune prove di
diversa tipologia con testo adattato, siamo giunte alle conclusioni
che seguono.
In primo luogo, la semplificazione delle consegne, benché
non permetta una totale comprensione del testo, favorisce lo svolgimento
del compito assegnato. Forse gli alunni non italofoni saprebbero
comunque affrontare quella prova con testo non semplificato, ma
per loro la semplificazione è rassicurante e a noi consente
di misurare con maggiore attendibilità la conoscenza e la
comprensione degli argomenti. Va precisato che gli alunni non italofoni
del corso serale, per lo più adulti, stentano ad accettare
un compito con consegna semplificata temendo di essere facilitati,
mentre vogliono dimostrare di conoscere l’italiano come gli
altri. A questo si potrebbe ovviare affiancando alla consegna “normale”
una versione semplificata.
In secondo luogo, gli alunni non italofoni hanno apprezzato che
si riflettesse e si ragionasse con loro sulla lingua da usare quando
spieghiamo e quando formuliamo i compiti in classe.
Inoltre non bisogna tralasciare i vantaggi per l’alunno, per
i docenti e per la classe.
Infatti, lo studente non italofono può affrontare il compito
senza chiedere tante spiegazioni e senza ricorrere troppo spesso
al vocabolario. Così si riduce la sua ansia di perdere tempo
e di non terminare la prova; si evita in lui la sensazione di non
capire quasi nulla e lo si fa sentire al pari con i compagni.
Gli insegnanti, oltre a poter meglio valutare le conoscenze disciplinari
dell’alunno, assumono un atteggiamento neutro rispetto alla
classe: tutti sono soli di fronte al compito. Infine è più
facile mantenere il silenzio durante la prova e favorire la concentrazione.
Ovviamente restano aperti alcuni problemi come quello del lessico
specialistico dei manuali. Esso è talvolta così difficile
che gli alunni non italofoni richiedono anche una semplificazione
del testo. Pertanto l’adattamento delle consegne dovrebbe
porsi come l’atto conclusivo di un lavoro più ampio.
Sappiamo però che interventi in tal senso richiedono tempi
lunghi di preparazione dei materiali e di selezione dei contenuti,
con tutti gli interrogativi e i limiti che scelte di questo genere
comportano. Forse, vista la presenza crescente di studenti non italofoni,
le case editrici dovrebbero maggiormente tenere conto di questa
realtà. Oltre a ciò va anche detto che non tutti gli
insegnanti si mostrano ugualmente sensibili al problema che, comunque,
superata la fase di alfabetizzazione, non concerne solo i docenti
di lettere.
Giuliana Lamastra
Antonella Molena
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Inoltre, poiché il comportamento verbale dell’insegnante
suscita delle aspettative sulle modalità partecipative richieste
agli studenti, è opportuno che la conduzione della lezione si sottragga,
almeno in parte, agli schemi tradizionali, per arricchirsi di modelli
comunicativi maggiormente efficaci: la differenziazione degli stili discorsivi
e delle strutture di partecipazione può, infatti, contribuire ad
ottimizzare le opportunità di intervento di quegli studenti che
hanno lingua, cultura o linee di apprendimento diversi da quelli cui fanno
riferimento i modelli dell’insegnante, e favorisce comunque la partecipazione
di tutti poiché adotta modalità e stili più simili
a quelli riscontrabili al di fuori dell’ambiente scolastico.
Le lezioni impostate secondo modelli alternativi a quello frontale costituiscono,
d’altra parte, utili occasioni di pratica delle abilità conversazionali:
si tratta di momenti importanti per la socializzazione, l’acquisizione
e il consolidamento delle strutture linguistiche all’interno dei
quali entrano in gioco competenze fondamentali. Gli stili discorsivi propri
dei contesti extrascolastici, di cui hanno esperienza gli allievi italofoni,
così come quelli relativi ad altre culture di cui sono portatori
gli allievi stranieri, sono manifestazioni di una competenza comunicativa
che può risultare difforme da quella che l’insegnante si
aspetta venga adottata nell’interazione in classe, soprattutto per
quanto riguarda le procedure di base che governano l’alternanza
del ruolo di parlante e ascoltatore e la conseguente capacità di
rispettare i turni di parola. Sperimentare in classe differenti stili
e modelli di comunicazione induce a assumere maggiore consapevolezza delle
proprie modalità comunicative e riflettere su di esse consente
di interpretare meglio quelle degli altri, anche in rapporto agli obiettivi
che l’insegnante indica come desiderabili. E, anche in questo caso,
la crescita in fatto di competenze linguistiche e metalinguistiche va
a vantaggio di tutti.
Almeno un ultimo importante aspetto, infine, merita
di essere segnalato a proposito delle dinamiche della comunicazione scolastica.
Si tratta, in questo caso, della comunicazione disciplinare cui abbiamo
accennato in apertura, e soprattutto di quella scritta, ovvero dell’italiano
dei libri di testo, dell’italiano “per studiare”.
Nella scelta di un manuale, l’insegnante procede, in genere, a valutare
validità, attendibilità e aggiornamento scientifico dei
contenuti e a verificare se esso si conformi al proprio stile di insegnamento
in relazione all’impianto disciplinare e ai processi di apprendimento
che si propone di attivare e controllare. Più raramente, ma sempre
più spesso, si domanda anche se i modelli comunicativi proposti
siano effettivamente adeguati ai destinatari. Il quesito è legittimo;
la risposta complessa.
Le numerose ricerche che nell’ultimo ventennio si sono sviluppate
in quest’ambito hanno spesso dimostrato che i libri di testo sono
troppo difficili per essere oggetto di lettura e studio autonomo da parte
di gran parte degli studenti.
La ragione di tale “difficoltà” va imputata a diversi
fattori. In primo luogo, esiste un vincolo di brevità
imposto dalle disposizione legislative in termini di numero di pagine.
Piuttosto che tradursi in una riduzione della quantità di informazioni,
tale brevità si traspone sistematicamente in densità
informativa: le informazioni scientifiche vengono, in altre parole,
sinteticamente concentrate in poche righe, e fornite una sola volta. I
principi che garantiscono della chiarezza e comprensibilità di
un messaggio rispondono, per contro, a principi di ridondanza informativa:
richiami, riformulazioni, ripetizioni e riprese sono meccanismi fondamentali
per consentire al destinatario di svolgere appieno i suoi compiti cognitivi.
Il problema diventa particolarmente spinoso quando i concetti da afferrare
si pongono a livelli di astrazione molto elevati, e l’organizzazione
logico-concettuale non supporta i processi di ragionamento del lettore:
se alla linearità espositiva si contrappone la presenza di salti
concettuali, se all’esplicitazione di collegamenti fra contenuti
si sostituiscono rimandi impliciti a conoscenze presunte, ecc., la comprensione
rischia di essere integralmente compromessa. L’italiano impiegato
nei testi scolastici disciplinari, in più, presenta le caratteristiche
tipiche dei linguaggi settoriali: si differenzia dalla lingua
comune perché contiene espressioni e vocaboli con un elevato livello
di specificità (tecnicismi), introdotti per evitare quella
ambiguità o indeterminatezza che caratterizza, invece, le varietà
linguistiche più neutre. L’accesso alle microlingue
- o lingue speciali - è, d’altra parte, ritenuto
da gran parte degli insegnanti condizione irrinunciabile per uno studio
disciplinare di qualità, privo di genericità o banalizzazioni.
Se questo è ragionevole, è però altrettanto vero
che il “sapere” proposto agli allievi non si deve esaurire
nella codificazione di formule e definizioni, rischiando di coincidere
con l’acquisizione mnemonica e verbalistica di massime e frasi convenzionali
da ripetere meccanicamente.
È perciò opportuno tenere presente che comprendere un testo
(conoscerlo a fondo, averne afferrato i contenuti, colto i nessi logici,
ecc.) non corrisponde a capire tutte le parole che lo compongono. Troppo
spesso, in passato, la spiegazione delle parole tecniche o “difficili”
è stata considerata come pratica sufficiente a preparare gli studenti
allo studio individuale (e, simmetricamente, la mancata conoscenza dei
termini microlinguistici come indizio di mancata comprensione). È
certamente vero che capire il senso delle singole parole è utile
e importante, ma è altrettanto vero che è possibile comprendere
il significato complessivo di una frase anche perdendo il significato
di alcune parole. E, d’altra parte, i concetti espressi da una frase
o un testo non corrispondono alla somma dei significati delle singole
parole, ma al complesso delle informazioni - semantiche, ma anche pragmatiche,
psicologiche, sociali e culturali - che si vengono intrecciando. Nei testi
scolastici disciplinari tale intreccio di relazioni risulta particolarmente
difficile da cogliere e interpretare, anche da parte dei destinatari maggiormente
competenti. Per questa ragione, i libri di testo disciplinari rischiano
di risultare del tutto inaccessibili agli apprendenti stranieri. E, per
questa ragione, l’educazione linguistica trasversale privilegia,
innanzitutto, gli aspetti comunicativi legati alla comprensione e alla
comprensibilità dei messaggi orali e scritti.
Università della Valle d'Aosta
Université de la Vallée d'Aoste
Azione ITALIANO L2 in VALLE D'AOSTA
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN
DIDATTICA DELL'ITALIANO COME
LINGUA SECONDA
Concepito nel quadro di uno specifico Protocollo
d'Intesa siglato con la Sovraintendenza agli Studi, il perfezionamento
postlauream in Didattica dell'Italiano come lingua seconda
(DIDIT/L2) si rivolge prioritariamente agli insegnanti, cui si propone
di fornire strumenti teorici e pratici per rispondere in modo appropriato
ai bisogni linguistici degli allievi non italofoni inseriti nelle
classi di ogni ordine e grado.
Destinatari
Possono iscriversi coloro che sono in possesso di Diploma di Laurea
triennale o quadriennale o di un titolo universitario corrispondente
conseguito in un Paese dell'Unione Europea.
Contenuti
Inseriti in uno sfondo psico-socio-pedagogico, i fondamenti di linguistica
e glottodidattica costituiscono i temi centrali del percorso, che
prevede l'integrazione tra momenti di formazione teorica, spazi
di riflessione metodologica e occasioni di riflessione e ricerca
sulle pratiche didattiche.
Organizzazione didattica
Il percorso previsto si struttura in due segmenti - un LABORATORIO
DI BASE (80 ore) e un CORSO AVANZATO (100 ore) - e si articola in
lezioni teoriche (132 ore) e in attività pratiche (48 ore),
per complessive 180 ore.
Le lezioni teoriche sono erogate secondo il modello dell'e-learning
integrato, che prevede ore di didattica in presenza e ore di didattica
on line.
Attestazione e riconoscimento congiunto del percorso
La partecipazione alle attività di didattica in presenza
e la frequenza attiva e continuativa delle altre forme di studio
guidato e di didattica interattiva, verificate attraverso la rilevazione
quantitativa e qualitativa degli interventi on line e in presenza,
danno luogo al rilascio di un attestato certificante il conseguimento
di 15 crediti formativi universitari (CFU).
La partecipazione alle lezioni in presenza rientra nelle attività
soggette alle disposizioni in materia di fruizione del diritto alla
formazione del personale docente (applicazione dell'art. 62, comma
3 CCNL comparto scuola). La frequenza dell'intero perfezionamento
prevede l'attribuzione di 2 punti per le graduatorie permanenti,
ai sensi dell'art. 1 novies della legge 43/05.
INFO DIDIT/L2
Ufficio Placement
Università della Valle d'Aosta
ref. Federica Vielmi
tel. 0165 306763
e-mail: u-placement@univda.it
www.univda.it |
Non potendo, in questa sede, dedicarci ad ulteriori approfondimenti, ci
limitiamo a presentare la sintesi di un’attività di semplicazione
testuale, una fra le diverse tecniche di facilitazione per migliorare
la comunicazione disciplinare, sperimentata da due insegnanti all’interno
dei gruppi di lavoro del Laboratorio dello scorso anno, rimandando chi
fosse interessato a approfondire e tematiche qui accennate a una prossima
edizione dell’azione Italiano L2 in Valle d’Aosta.
Luisa Revelli
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