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Effetti
collaterali
La lettura ad alta voce al
bambino in età prescolare si è dimostrata uno strumento
per ampliare le potenzialità di apprendimento dei bambini e di
promozione della salute.
“Leggere ad alta voce o raccontare storie sono qualcosa di più
di semplici passatempi sostituibili o intercambiabili con altri: sono
modelli di comunicazione affettiva, secondo stili e ritmi di vita più
in armonia con le esigenze profonde del bambino e con il precoce instaurarsi
di “abitudini mentali” che avranno conseguenze molto positive
sul suo sviluppo psichico e fisico”.
Rita Valentino Merletti,
scrittrice ed esperta di letteratura per bambini.
L’imprinting materno
Le influenze e le esposizioni precoci sono determinanti
nella strutturazione del carattere e della personalità dell’adulto
e giocano un ruolo insostituibile nella costruzione di quella peculiarissima
macchina mentale che caratterizza la nostra specie. Se presenti e se congrue,
porteranno al raggiungimento delle migliori qualità cognitive che
il patrimonio genetico ha messo a disposizione di ogni singolo individuo.
Altri pilastri sosterranno la formazione della personalità: gli
eventi della vita, gli insegnanti, gli amici, la famiglia, il contesto
culturale ed economico, lo stato sociale, la società in senso lato.
Ma le fondamenta vengono prima di tutto il resto e devono essere capaci
di sostenere ciò che sopra di esse verrà costruito.
Sappiamo che il bambino, esposto ad un ambiente culturalmente ed economicamente
povero, capace di offrire pochi stimoli verbali e, a volte, anche affettivi,
raggiungerà minori performance cognitive. Ogni handicap-deprivazione
iniziale moltiplica gli handicap-deprivazioni successivi. Gli effetti
a distanza dell’orfanage, descritti cinquant’anni
fa da René Spitz, dimostrano che il bambino molto piccolo, se non
ha ricevuto stimoli dalla madre, manifesta atteggiamenti di ritiro dall’ambiente,
ansia, capacità di esplorazione ridotta, caratteristiche che manterrà
anche nell’età adulta e che potrà trasmettere alla
sua discendenza. Ma, anche là dove la madre è depressa o
con scarsa autostima, lo sviluppo cognitivo-affettivo-relazionale del
bambino sarà penalizzato e l’influenza negativa sarà
proporzionale al perdurare della situazione di carenza e/o di ipostimolazione.
La madre interviene come istruttrice spontanea e naturale nel processo
di apprendimento del bambino, rinforzandolo. Lo stile di attaccamento
sicuro e l’empatia, se presenti e forti nella diade madre-figlio,
influenzeranno positivamente la sfera cognitiva del bambino e gli permetteranno
di sviluppare un’intelligenza sociale.
La vita prenatale
Ma qualcosa capita già prima, durante la vita
prenatale che non è affatto passiva come si potrebbe pensare. Il
feto impara a conoscere suoni, ritmi, sapori, emozioni che, sentiti e
provati dalla mamma, saranno tradotti in sensazioni dai neurotrasmettitori.
Il feto impara, nello stesso modo, a riconoscere la voce e il ritmo del
cuore della madre che lo calmerà anche dopo la nascita, tenendolo
sul suo petto e battendogli la mano sul dorso con un gesto consolatorio.
Questo gesto istintivo, rituale, tranquillizzante è quello che
utilizzeremo per consolare una persona cara che sta soffrendo: avendolo
ricevuto, sin dai primi giorni della nostra vita, lo possiamo trasmettere.
Il feto conosce i suoni diversi. L’organo dell’udito è
ben sviluppato a partire dal quarto-quinto mese di vita fetale e una ninna-ninna
cantata dalla mamma può essere riconosciuta dal piccolo intorno
al terzo mese dalla nascita.
La conquista della lingua madre
Gli studi recenti di neuroanatomia, neuroimmagine ed
elettrofisiologia, dando per scontato che il numero dei neuroni non aumenterà
più dopo la nascita, confermano l’importanza degli stimoli
precoci, particolarmente nel primo anno di vita del bambino, momento in
cui si registra la massima plasticità del cervello umano per quanto
concerne le connessioni nervose.
Lo sviluppo cognitivo-affettivo del bambino si struttura attraverso:
a) una componente genetica, con geni “architetto” che controllano
lo sviluppo della rete neurale prima e dopo la nascita;
b) una componente egualmente programmata, ma modificata e modificabile
dalle esperienze offerte dall’ambiente sociale, che è legata
alle capacità di autoapprendimento della rete neurale, vera macchina
del pensiero;
c) un’ultima componente rappresentata dalla relazione con l’adulto,
in particolare con la mamma, la persona più importante.
Il cervello, i dendriti, le guaine mieliniche si sviluppano secondo un
piano, la rete neurale presente alla nascita è già adeguata
per un primo processo di riconoscimento elementare. L’esercizio
di questo riconoscimento concorre materialmente all’organizzazione
delle aree recettoriali (tipicamente nell’area visiva primaria che
meglio conosciamo), il numero delle sinapsi raddoppia dal secondo al sesto
mese di vita per poi crescere più lentamente fino all’anno
d’età e ridiscendere gradualmente per effetto della “potatura”
mirata delle sinapsi meno efficienti, fino agli 11-12 anni e poi ancora
più lentamente sino all’adolescenza.
Oggi conosciamo meglio la funzione di alcuni neuroni, chiamati neuroni-specchio,
che si attivano nell’emisfero sinistro del nostro cervello e che
concorrono probabilmente a costituire la base primordiale del proto-linguaggio
e cioè della possibilità di comunicare fra primati. I neuroni-specchio
entrano in attività quando il soggetto vede che l’altro compie
un’azione. Essi permettono di codificare le azioni viste nell’immaginario,
senza compierle, così l’azione si trasforma in pensiero e
apre la strada all’imitazione che è uno strumento potentissimo
per l’apprendimento. Dal quarto, quinto mese di vita fetale e ancor
più dopo la nascita, il bambino impara ad ascoltare i fonemi della
lingua che la madre utilizza per comunicare con lui, la lingua del cuore,
quella più importante per trasmettere emozioni e affetto, la lingua
madre.
Le filastrocche, le ninne-nanne, le storie in rima serviranno “a
fargli l’orecchio” a dargli quello che Alfred Tomatis, medico
francese, chiama “allineamento uditivo” e che gli
consentirà di aumentare la capacità di distinguere i suoni
anche in futuro.
Esiste una comunicazione preverbale molto anticipata rispetto all’acquisizione
della parola. Ogni specie ha un suo spartito predeterminato, ma nessun
usignolo potrà cantare se non sentirà cantare altri usignoli.
Al cucciolo uomo toccherà non solo apprendere fonemi, ma anche
comprenderne il significato e, più tardi, saperli leggere avendoli
codificati come scrittura.
Il bambino, intorno ai sei mesi di vita, è in grado di guardare
l’oggetto che anche l’adulto sta guardando, di rivolgere continuamente
il suo sguardo interrogativo verso l’adulto, la mamma in primo luogo,
cercando approvazione e conferme, sino ad indicare, intorno all’anno
di vita, con l’indice l’oggetto dei suoi desideri.
Per questo si consiglia di leggere ad alta voce al bambino molto piccolo,
tenendolo in braccio, in modo che possa guardare il libro che anche l’adulto
guarda e possa guardare a sua volta verso l’adulto per cogliere
approvazione e conferme.
Oggi sappiamo che i primi sei mesi di vita del bambino possono giocare
un ruolo rilevante nella costruzione della rete neurale. Perché
questo accada, occorre che l’ambiente sia sufficientemente, non
troppo, ricco e la principale ricchezza ambientale rimane l’affetto
che guida ogni cognizione. Queste considerazioni, tratte da Neuroscienze
dello sviluppo, Parte seconda: io uomo di Franco Panizon, pediatra,
Collana Medico e bambino, 2006, si concludono con la seguente riflessione
dell’autore: “Ogni tentativo di anticipare artificiosamente
l’apprendimento non ha sinora prodotto risultati”. Offrire
gli strumenti per costruire bene non significa infatti raggiungere performance
e risultati prima del tempo necessario.
Se l’offerta della lettura ad alta voce fatta al bambino, con la
sua valenza positiva, avesse come principale obiettivo anticipare l’acquisizione
della capacità di lettura sarebbe riduttiva e poco vantaggiosa
per il bambino.
Imparare a parlare è più facile che imparare a leggere,
leggere è una capacità emergente (emergent literacy).
I circuiti neuronali dedicati all’apprendimento della lettura e
quindi al riconoscimento delle immagini sono molto meno pre-organizzati
nel nostro cervello di quelli che presiedono al linguaggio. Per la lettura
non c’è spartito, né codice scritto nei nostri cromosomi.
Le competenze fonologiche che predicono la conoscenza dell’alfabeto
e della parola scritta, si sviluppano adattando circuiti cerebrali diversamente
orientati e sono influenzati in massimo grado dalla qualità e dalla
quantità del linguaggio ascoltato in casa, nonché dal numero
di correzioni che i genitori, in un giorno, sono in grado di offrire al
proprio figlio che sta imparando e che sbaglia.
Il livello di educazione e di classe sociale della famiglia farà
sì che gli interventi di correzione saranno migliaia nelle classi
più favorite, contro poche centinaia nelle classi più svantaggiate.
Alcuni bambini arriveranno alla scuola con mille e più ore di lettura
ricevuta dai genitori, altri senza averne avuta nessuna, magari con molte,
troppe ore di televisione, ritenute erroneamente equivalenti, se non più
istruttive. La discriminazione può iniziare molto presto.
Da questo presupposto era partito don Milani per lottare contro le disuguaglianze,
nella sua esperienza di Barbiana.
Ascolto, storia, fantasia e futuro
L’apprendimento della lettura, correlata con il
successo scolastico, così come la facilità di decodificare
un testo scritto condiziona il proseguimento degli studi. Per contro,
la frustrazione con riduzione dell’autostima porta più frequentemente
all’abbandono scolastico.
Un tempo si pensava che il linguaggio (parlare e comprendere) e la literacy
(leggere e scrivere) fossero processi cognitivi distinti che nascevano
con sequenze separate e cadenzate nel tempo: prima si doveva imparare
a comprendere, poi a parlare e dopo ancora a leggere e a scrivere, e quindi
si pensava che la literacy iniziasse con l’ingresso a scuola.
Oggi sappiamo che il bambino è competente ad apprendere molto prima,
già nella sua vita prenatale e queste conoscenze costringono genitori,
pediatri ed educatori a riflettere su quel gesto semplice che un adulto
mette in atto quando legge ad un bambino una storia o, prima ancora, gli
fa conoscere con la parola l’oggetto, la raffigurazione contenuta
nelle pagine di un libro.
È un gesto semplice, naturale, ma pieno di implicazioni. È
prima di tutto un gesto d’amore, un momento esclusivo dedicato all’altro,
che insegna inizialmente ad ascoltarsi ed ad ascoltare, a trovare quella
concentrazione che fa emergere le emozioni e che produrrà conoscenza
e nuova empatia. Gesto che va in controtendenza rispetto all’abbandonare
il bambino, spesso in totale solitudine, davanti alla televisione, dove
utilizzerà la percezione intesa come capacità di cogliere
il concreto, il presente, secondo schemi di stimolo-risposta (velocissima
nei video-giochi), ma non utilizzerà la sua mente, il suo spazio
mentale. Il video non lascia né spazio né tempo per immaginare,
per costruire delle immagini interiori, la fantasia e la creatività
vengono escluse, non c’è modo di arrivare ad una rappresentazione
della realtà anche in assenza della realtà, solo un guasto
provvidenziale con interruzione delle immagini televisive potrebbe venire
in aiuto. Così il tempo perde prospettiva, esiste solo l’attuale,
l’adesso e cioè quello che l’immagine dello schermo
fa vedere con scansioni ininterrotte. “Si perde il senso del
passato e con lui il valore del ricordare, si perde il senso del futuro
e quindi la possibilità di sperare… diventa così impossibile
costruire mentalmente la storia, le storie, la propria storia, ma anche
quella degli altri, tessere costitutive della memoria collettiva, la storia
con la S maiuscola” (Paolo Roccato, psicanalista).
“Ascoltare e raccontare storie è quanto più ci
caratterizza come esseri umani. È arte antica e risponde ad una
necessità profonda. La necessità di farlo precede addirittura
la conquista di alcuni degli strumenti che le sono necessari e se le parole
per raccontarle non erano disponibili, erano i gesti, gli sguardi, i suoni
a raccontare la paura, il coraggio, la conquista. Dare forma di storia,
all’esperienza vissuta significava, allora come oggi, aver capito
la necessità di dare ordine a quanto accade, conservarne la memoria,
creare un senso di appartenenza. A poco a poco, storia dopo storia, si
è formata una sterminata enciclopedia.
Del sapere, certo. Ma anche del sentire. E di quella particolarissima
forma di conoscenza che rende possibile provare ciò che prova un
altro essere umano…”.
Dalla prefazione di Raccontar storie, Mondadori, 2002 di Rita
Valentino Merletti.
Ma per iniziare i bambini alla lettura occorre scegliere i libri giusti.
Libri “ben temperati” dice la R. Wells (collana Mondadori,
Leggere le figure), parafrasando dal Clavicembalo ben temperato, “Le
melodie di Bach… emergono da una base costruita in modo molto saldo.
Qualcuno le giudica fredde, a causa della loro perfezione. Ma tutte le
grandi opere, siano esse musica, danza, pittura o letteratura, nascono
da un progetto nitido ed essenziale, non da una vaga ispirazione”.
I libri per bambini, ancora di più di quelli per adulti, devono
essere i migliori possibili, devono trasmettere il senso del bello. L’approccio
al brutto sarà, purtroppo, prevalente esperienza quotidiana e inevitabile.
I perché di una scelta
Perché, una pediatra come me, sente di dover occuparsi
di tutto ciò? Perché consigliare ad un genitore di leggere,
di raccontare, di far conoscere presto il libro al proprio figlio? Perché
fa bene al bambino; perché farà ancora più bene ai
bambini e ai genitori più svantaggiati; perché il pediatra
segue il bambino durante tutto il suo sviluppo ed ha un rapporto umano
privilegiato con i genitori che gli permette di consigliarli, di sostenerli;
perché quello che il pediatra otterrà per quel bambino avrà
una benefica ricaduta anche sulla generazione successiva; perché
può guidare nelle scelte del libro più adatto al bambino
nelle diverse età, dato che esistono studi validati che dimostrano
l’efficacia dell’intervento di lettura congiunta e, infine,
perché la lettura amorevole di un libro non potrà mai provocare
effetti collaterali indesiderati né dannosi.
“I bambini, anche quelli piccolissimi, hanno bisogno di libri
e di storie. Hanno bisogno di adulti che sappiano leggere i libri giusti,
sappiano leggerli e raccontarli. Adulti che sappiano trasformare le parole
scritte in suoni capaci di cullare, accarezzare, divertire. Così
si “accende” l’amore per la parola e per la narrazione,
quello stesso che condurrà alla passione per i libri e la lettura.
Non è semplice perché il “ mare delle storie “,
ricco, affascinante, sconfinato deve essere affrontato con consapevolezza
e sensibilità per evitare le insidie: onde troppo impetuose o bonacce
prolungate mettono a rischio il rassicurante approdo a quella memoria
collettiva, a quella enciclopedia dell’umana esperienza che –
oggi come ieri – solo i libri sanno conservare e riproporre”.
Rita Valentino Merletti
NATI PER LEGGERE |
Il
titolo del progetto nazionale è una provocazione, evidentemente
non si può essere capaci di leggere né alla nascita
né nel primo anno di vita, ma abituarsi all’ascolto
stabilendo una relazione empatica con chi legge è possibile
anche prima di nascere.
“Nati per Leggere” (NPL) è un progetto nazionale
senza fini di lucro che ha preso avvio nel 2000 per iniziativa dell’Associazione
Culturale Pediatri(1) (ACP), del Centro per la Salute del Bambino(2)
(CSB) e dell’Associazione Italiana Biblioteche(3) (AIB).
Il progetto vuole promuovere l’abitudine della lettura ad
alta voce ai bambini di età compresa fra i sei mesi e i sei
anni, da parte dei genitori e di altri caregiver, gli adulti che
si occupano del bambino.
Lettura ad alta voce significa che l’adulto legge con il bambino
pronunciando distintamente le frasi ed insieme indica le immagini
cui il racconto si riferisce. Legge quindi parole e immagini in
dialogo con il bambino (lettura dialogica). È questo il tipo
di lettura consigliato per bambini molto piccoli ed è ben
rappresentato nel logo del progetto donato da Altan alle tre associazioni
che hanno fatto nascere il progetto NPL.
La lettura ad alta voce offerta con continuità al bambino
fin dalla più tenera età e la messa a disposizione
di libri appropriati dal punto di vista sia dei materiali che dei
contenuti sono in grado di agire sullo sviluppo del cervello e sulle
sue funzioni con conseguente miglioramento delle acquisizioni cognitive,
emotive e relazionali del bambino.
NPL si ispira ad iniziative analoghe che sono in atto sia in Europa
che in America.
I pediatri italiani, sono venuti a conoscenza, negli anni 1991-1999,
del progetto americano attraverso prestigiose riviste di pediatria
quali Pediatrics che pubblicavano lavori sul progetto Reach
Out and Read (ROR) iniziato a Boston e tutt’ora condotto
dalla dott.ssa Perry Klass, pediatra.
In Inghilterra esiste il Bookstart che ha come mission
di rivolgersi particolarmente agli strati più svantaggiati
della popolazione e che prevede la consegna, a domicilio, di uno
zainetto contenente libri, effettuata da operatori che spiegano
ai genitori le finalità dell’iniziativa.
Il progetto è attivo su tutto il territorio nazionale con
circa 220 progetti locali, per lo più finanziati da Province,
Comuni, Regioni e privati. Si stima che, ad oggi, circa il 15% della
popolazione italiana, con età fra 0 e 6 anni, abbia potuto
venire a contatto con il progetto.
Note
(1) L’Associazione Culturale Pediatri (ACP) nata 25 anni fa,
raccoglie circa 3000 pediatri. Ha come finalità la promozione
di attività culturali,
pubblica una sua rivista scientifica: Quaderni ACP e collabora con
una rivista rivolta ai genitori: Un Pediatra Per Amico (UPPA) www.acp.it
(2) Centro per la Salute del Bambino (CSB) è una Onlus che
si occupa di formazione, ricerca e servizi per la maternità,
l’infanzia e l’adolescenza.
È la segreteria organizzativa di NPL e ne prepara i materiali
informativi. www.csbonlus.org
(3) Associazione Italiana Bibliotecari (AIB) è membro di
organizzazioni e reti di servizi nazionali ed internazionali. www.aib.it |
Liliana Pomi
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