|
Cambiare
per conservare
Riscoprire i maestri di una
volta può aiutare a leggere la realtà di una scuola che
cambia pelle a velocità inusitate.
Son passati quasi cinquanta anni da quando, giovane supplente, sono entrato
per la prima volta come maestro nella scuola elementare; ne sono uscito,
come direttore didattico, nel 1992.
In trentacinque anni il mondo della scuola, in particolare quello della
scuola primaria, ha subito trasformazioni profondissime, rapide, inimmaginabili
mezzo secolo fa. Nel 1957, vigevano la legislazione scolastica del 1928
(Testo Unico e Regolamento Generale) e i nuovi Programmi didattici del
1955. Il Concorso Magistrale del 1958/59, che ebbi la fortuna di superare,
richiedeva, per la prova scritta, di commentare un pensiero di Platone
sul gioco e di dedurne personali riflessioni pedagogico-didattiche.
La mia generazione magistrale ha vissuto, in rapida successione, alcuni
cambiamenti epocali nella società, nella scuola, nella professione
docente:
• la Scuola Media Unica (dall’anno scolastico 1962/63) ha
condizionato e gradualmente modificato, di fatto, finalità, obiettivi,
contenuti e didattica della scuola elementare. Anche la Scuola Media diveniva
scuola dell’obbligo, cioè per tutti: non era più necessario
l’esame di ammissione per accedervi; l’acquisizione di conoscenze,
abilità e formazione di base poteva avvenire nell’arco di
otto anni;
• la contestazione, esplosa nel ’68 e proseguita negli anni
successivi, ha inciso direttamente sulle scuole superiori e sull’università,
ma ha gradualmente messo in crisi le nostre certezze pedagogiche e didattiche.
Destava sensazione ed entusiasmo Il paese sbagliato del maestro Mario
Lodi che raccontava un’esperienza didattica innovativa: il guidare
gli alunni alla riflessione ed alla discussione per maturare proprie valutazioni,
esprimere liberi giudizi, avanzare concrete proposte di lavoro;
• la rivoluzione normativa degli anni ’70 ha dato una spallata
decisiva al vecchio ordinamento. I Decreti delegati (Legge 30 luglio 1973,
n. 477) istituiscono gli Organi Collegiali e prevedono nuove norme di
stato giuridico, tra cui l’obbligo della laurea anche per i maestri;
• vengono soppresse le scuole speciali e le classi differenziali,
con l’inserimento degli alunni con handicap nella scuola di tutti;
• la legge 517/1977 estende la durata dell’anno scolastico;
dispone per tutti i docenti l’impegno della programmazione; stabilisce
nuove modalità di valutazione. Il bambino, con le sue personali
caratteristiche e le sue reali esigenze sulle quali misurare il lavoro
didattico, viene prima del programma ministeriale, al quale, precedentemente,
tutti dovevano adeguarsi. La programmazione mira, invece, a valorizzare
le differenti capacità, individualizzando, per quanto possibile,
i percorsi di apprendimento. Erano gli anni in cui si diffondeva la pedagogia
di Bruner che auspicava di sviluppare nella scuola il “pensiero
divergente”, creativo, accanto a quello “convergente”
fino ad allora privilegiato;
• i Programmi didattici del 1985 e le relative disposizioni applicative
ed organizzative hanno provocato, a mio giudizio, la più sconvolgente
mutazione della condizione professionale del maestro elementare: distribuzione
delle competenze, accordo e corresponsabilità nella programmazione,
scelta condivisa di metodo e di didattica, collegialità di valutazione
e confronto con i colleghi, non solo con genitori e superiori. È
stata la fine del tradizionale maestro tuttologo, ma anche del responsabile
unico della classe. Si affermava il concetto rivoluzionario di lavoro
collegiale. Per molti maestri non più giovani la conversione professionale
è stata un’autentica sofferenza: bisognava operare rinunce
dolorose, abbandonare certezze da tempo collaudate, abdicare al ruolo
di unico riferimento per alunni e genitori. Si doveva, con i programmi
del 1985, assegnare le classi a più docenti, passare dai fondamentali
contenuti nozionistici e strumentali (leggere, scrivere, far di conto)
alle molteplici competenze, alle acquisizioni critiche, alla maturazione
di una propria metodologia di apprendimento per le diverse discipline.
È stato necessario scegliere abbinamenti e relative specializzazioni,
evitando tuttavia il paventato rischio di secondarizzazione della scuola
primaria.
Oggi la società ha subito ulteriori, sconvolgenti trasformazioni.
Ultimamente è divenuta multietnica e multiculturale. Il processo
di trasformazione è ancora in corso e non è facile prevederne
gli sviluppi e gestirne l’andamento.
Che cosa ne è dell’alunno, destinatario
principale di ogni riforma scolastica?
Di certo non è più lo stesso bambino d’una volta:
vive la complessità del nostro tempo, riceve molteplici e spesso
contradditori condizionamenti, è bombardato dalle continue e non
facilmente controllabili sollecitazioni dei media, viene programmato senza
scampo nelle sue attività extrascolastiche.
A scuola è passato da una rigida monogamia didattico-relazionale
(con relativi problemi e difficoltà) ad una pletorica poligamia
didattico-relazionale che mette a dura prova le sue capacità di
accettazione, adattamento, sintonizzazione alle diverse lunghezze d’onda.
Ma com’erano i maestri di un tempo (ai miei esordii professionali)?
Per il maestro d’un tempo “il far scuola” richiedeva
sicure capacità didattiche, grande umanità, autorevolezza
nei confronti degli alunni, delle famiglie, della comunità. Il
suo lavoro era impegnativo (anche per l’elevato numero di allievi
affidatigli), ma decisamente meno complesso e stressante di quello del
maestro attuale: tutto era più semplice, prevedibile, controllabile.
I ritmi della vita, della scuola, della formazione professionale, dei
rapporti con i colleghi, i superiori e i genitori, scorrevano lenti, ripetitivi,
con rituali consolidati (riunioni di inizio e fine anno, scelta dei libri
di testo, visita del direttore, distribuzione delle pagelle e consegna
dei registri).
Anche la morale, l’etica erano più lineari,
scontate e, almeno all’apparenza, condivise; al maestro era generalmente
riconosciuta l’autorità di imporre la disciplina onde consentire
la produttività del lavoro scolastico ed ottener il massimo di
risultati possibili. La ripetenza della classe era sovente considerata
un fatto positivo per consolidare gli apprendimenti e per consentire la
frequenza della scuola a chi non intendeva proseguire gli studi. I programmi
del 1955 prevedevano per gli alunni di quinta licenziati la possibilità
di continuare la frequenza delle classi sesta, settima, ottava (le cosiddette
“post-elementari”) nella stessa scuola elementare in classi
affidate ad un maestro disponibile. Il problema è stato superato,
nel 1963, con l’istituzione della Scuola Media Unica obbligatoria.
Allora, il discorso valeva soprattutto per le piccole scuole di paese.
È proprio in queste scuole che il maestro diveniva una figura di
tutto rilievo, una vera personalità, soprattutto se “enfant
du pays”, se appassionato delle tradizioni e della cultura locale,
se stimato per le sue doti umani e professionali, per lo spirito di servizio
e l’impegno nelle istituzioni.
Mais… où sont les maîtres d’antan?
Qualcuno è stato immortalato nelle targhe che denominano le strade
dei nostri paesi, a perenne ricordo dell’apprezzato lavoro svolto
per lunghi anni nelle scuole elementari. La maggior parte ormai dei residenti
e qualche curioso turista si chiede: “Chi era costui?”. Così
accade a Donnas per il maestro Rocco Janin, il quale ha istruito e educato
generazioni di donnassins, tanto appassionato e convinto della propria
collaudata didattica da scrivere, far stampare e adottare un proprio libro
sussidiario.
Altrettanto avviene a Champoluc, dove gli amministratori comunali, memori
della lunga e benemerita attività magistrale di Jean-Baptiste Dondeynaz,
gli hanno dedicato la principale via del paese. Non l’ho conosciuto
personalmente, ma ne ho sentito parlare con stima, affetto, ammirazione
e riconoscenza da quanti l’hanno avuto come maestro.
Alcune di queste prestigiose figure di maestro/a sono ancora vive e impegnate
al servizio della comunità: collaborano a varie iniziative culturali,
al mantenimento delle tradizioni, alla ricerca storica, linguistica, etnografica;
sono impegnati nel sociale, nelle istituzioni, nel volontariato; scrivono
su giornali e riviste; pubblicano libri. Altri purtroppo sono scomparsi
lasciando sincero rimpianto e grato ricordo in chi ha beneficiato del
loro servizio generoso e multiforme.
A quando una via, un piazza o una scuola intitolata a Lucio Duc (Arnad),
a Orfeo Zanolli e a Gioconda Lazier Vercellin (Lillianes), ad altri benemeriti
maestri di scuola, di cultura, di civico impegno nei diversi, rispettivi
paesi?
Elio Reinotti
|
|
|