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Oggi anderò a sentire i pifferi

Studiare genera inevitabili momenti di noia. Di fronte al desiderio di abbandono presente in non pochi adolescenti, i docenti sono chiamati a mostrare che si può ancora desiderare ed amare la vita, che la banale quotidianità è proprio l’alveo che ci contiene e ci fa crescere e che la cultura fa avanzare la vita, le dona senso e la trasforma.

“Che cosa è questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no…
E rimase perplesso. A ogni modo bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.
- Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo.”

Pinocchio, C. Collodi(1)

Scelta deplorevole, in apparenza, quella di Pinocchio. Ma come biasimare il burattino che lascia la strada della scuola per andare verso il teatro delle marionette? “Quello è il suo mondo - commenta a ragione Biffi-, fuori della norma non è lui che ricerca i suoi simili e un’esistenza che gli convenga, ma il suo creatore che, con l’aria di fare la cosa più naturale del mondo, procura un sillabario ad un burattino e lo manda a studiare(2).
Forse siamo anche noi come Geppetto ciechi e folli, “fuori dalla norma” appunto, quando pretendiamo che gli adolescenti di oggi, cresciuti in un’epoca in cui basta un semplice clic per entrare in mondi pieni di meraviglie tecnologiche, vengano a lezione contenti e trovino la scuola fatta ancora di gessi, lavagne e libri, volti, voci e corpi non virtuali interessante e divertente.

La scuola non è virtuale

Il mondo virtuale pare più attraente non solo della scuola, ma persino del teatro di burattini di Pinocchio, dove la commedia non durava in eterno. La tecnologia sembra offrirci la soluzione ideale per arginare ogni forma di noia: da un lato tutto è lì, sempre a portata di mano, ogni curiosità può essere esaudita, qualunque conoscenza appresa, raggiungibile in un soffio e senza fare un passo; al tempo stesso ogni cosa “parla” solo finché corrisponde ai nostri parametri, fino a quando non ci tedia, in caso contrario è sufficiente disconnettersi e in un istante scompare, come e quando lo desideriamo.
La scuola non può reggere al confronto: spazi “bianchi”, privi di immagini, musica, movimento, abitati solamente da volti e voci spesso fastidiose, da libri che non si animano né parlano da sé, in cui il tempo, al contrario di quello dello zapping, è lentezza, poiché l’apprendimento e lo studio richiedono approfondimento, riflessione, silenzio. Se il professore annoia, se le ore non passano, è impossibile far svanire tutto con un clic… Non c’è scampo, nessuna Second Life, né svago né vita alternativa possibili.
“Connettersi”, è noto, oltre ad essere una delle parole più diffuse degli ultimi quindici anni, è una delle operazioni più praticate dalle giovani generazioni. Ovunque, verrebbe da dire, tranne che nel mondo reale, dove le relazioni interpersonali sembrano divenute troppo difficili, e nelle aule scolastiche, in cui, secondo un’espressione comune tra gli adolescenti, tutto o quasi fa dormire, dunque la “disconnessione mentale” resta l’unica via percorribile.

La noia è sempre esistita

Se la noia è sempre esistita, oggi, forse anche per l’influsso significativo di questo nuovo contesto culturale, essa si è significativamente trasformata: “Les élèves avaient appris à s’ennuyer poliment. Ce qui a changé, c’est que les élèves l’expriment aujourd’hui dans un langage qui n’est pas scolairement acceptable”, spiega Philippe Meirieu.(3)
La noia esce allo scoperto, si fa essa stessa visibile, assume il volto della sfida, dà adito a comportamenti ostentati e provocatori: alla distrazione mascherata, alla chiacchiera nascosta sono subentrate disinvolte pratiche di maquillage durante le stesse ore di lezione, uso di videogames, iPod, telefonini in totale naturalezza. Nei contesti più difficili, l’ostentazione può trasformarsi da provocazione in vera e propria aggressività, verbale o persino corporale, nei confronti dei docenti stessi.

Le derive attuali

Di fronte ai recenti e sempre più numerosi fenomeni di bullismo, non pochi hanno ipotizzato un nesso di causa (o quanto meno condizione)-effetto tra noia e violenza: se Pinocchio scappava, gli adolescenti di oggi, per sfuggire alla noia della quotidianità scolastica, preferiscono lanciare accuse, quando non oggetti contro gli insegnanti stessi, imbrattare muri, allagare corridoi. L’allagamento del Parini a Milano nel 2004 ci ha confermato che nessuna scuola è esente da tale deriva, neanche i licei che, in seguito alla scolarizzazione di massa, hanno perso il loro tradizionale ruolo di élite.(4)
Tali azioni, a detta di molti, non sarebbero segni di protesta contro gli insegnanti né insofferenza verso discipline ritenute insignificanti, bensì, tristemente e semplicemente, prassi comportamentali di generazioni che non nutrirebbero interesse per nulla e nei confronti delle quali ogni tipo di intervento didattico risulta vano. Persino le minacce e le ingiunzioni dirette, non solo di conseguenze immediate (come “Se non segui la lezione, otterrai un brutto voto”), ma anche quelle assai più sottili e perciò maggiormente inquietanti (del tipo “Se non studi la tua vita domani sarà un disastro”) sortiscono più reazioni in tali adolescenti.
D’altronde per questi ultimi, come emerge da una ricerca sulla noia condotta nei licei tecnologici francesi dallo psicologo Jacques Birouste, la scuola è solo una parentesi nella loro vita: “pour les élèves, la vie est ailleurs”, egli commenta, sostenendo che manca loro un rapporto libidinale nei confronti del sapere,(5) quella tensione alla conoscenza che fa sì che la scuola, nonostante la fatica e la noia, sia vista come luogo di crescita e di apprendimento.
Di fronte a queste nuove tipologie di alunni, totalmente disinteressati e demotivati, sfuma il “potere di tipo magico, l’alchimia che permette delle trasmutazioni, che può far nascere l’altro e rinascere con lui […], risvegliare ciò che dorme(6). Il segreto di quella alchimia è per l’insegnante sempre più inaccessibile, cosa che accresce in lui il fantasma sempre associato alla formazione, il desiderio di distruzione dell’essere che resiste, che sfugge,(7) quando questi non gli restituisce un’immagine positiva di sé e in tal modo anch’egli, pur non avvedendosene, contribuisce ad alimentare tensioni e conflitti. Si entra così in un vortice molto profondo di dinamiche conflittuali in cui entrambi le parti – docenti e discenti – perdono qualunque motivazione e convinzione di poter agire per mutare condizioni e risultati dell’apprendimento.

Nelle scuole superiori della Valle d’Aosta

Senza andare troppo lontano, basta limitarsi al nostro contesto per comprendere quanto la motivazione sia fondante. Secondo una recente ricerca sull’insegnamento della letteratura nelle scuole superiori della Valle d’Aosta, il primo problema che gli insegnanti individuano è proprio la mancanza di motivazione da parte degli studenti; il dato emerge fortemente anche nei licei delle scienze sociali, classico e linguistico, dove si presupporrebbe una propensione ed un interesse maggiore per le materie umanistiche.(8)
La pedagogia e la didattica, per cercare di arginare il problema, hanno valorizzato in questi anni modelli di insegnamento che assumono quale istanza primaria l’aspetto motivazionale. In tal direzione esse evidenziano la necessità di promuovere un’azione didattica attenta al contesto, alla scelta di strumenti adeguati e alle dinamiche relazionali e di spostare l’attenzione dai prodotti ai processi e dalla trasmissione alla costruzione del sapere. Quest’ultima dipende dall’efficacia dell’interazione tra allievi ed insegnanti, dalla loro abilità nel valorizzare ogni punto di vista, pensiero ed emozione e di coniugare obiettivi cognitivi ed affettivi, per promuovere l’acquisizione di competenze e saperi significativi e coinvolgenti.
In tal direzione, strumenti fondamentali risultano essere le pratiche di differenziazione, efficace strumento per contenere, oltre che la demotivazione dei discenti, la dispersione scolastica,(9) l’interdisciplinarietà, finalizzata ad abbattere la settorializzazione dei saperi, e soprattutto le nuove tecnologie e l’uso dei media, da concepire non solo quale fine ma anche e soprattutto come mezzo per attivare forme più dinamiche e funzionali di apprendimento(10).

Riaccendere il “rapporto libidinale” nei confronti del sapere

Tuttavia l’interrogativo che resta aperto è se tutto ciò sia sufficiente a riaccendere a scuola il “rapporto libidinale” nei confronti del sapere, quel desiderio di apprendere che sembra oggi orientato verso altri orizzonti. Quand’anche le lezioni fossero le più interessanti ed affascinanti possibili, non ci sarà forse sempre un altrove possibile verso cui andare?
La musica che richiama, la “strada traversa(11) che porta al teatro dei burattini, se non con le proprie gambe sicuramente con la fantasia, sono sempre dietro l’angolo.
Quella della scuola è la strada dell’umanizzazione, della crescita, della metamorfosi: inutile illudersi che percorrerla sia cosa semplice, divertente, facile, che non annoi mai, che non susciti desideri di fuga. Leggere, scrivere, ragionare giorno dopo giorno annoia, sfibra, fa sognare mondi altri, più leggeri e meno impegnativi. Che esistono appunto solo virtualmente.
Il desiderio di evasione dall’aula assume allora, a ben vedere, una valenza ben più profonda, diventa manifestazione di una volontà di fuga mundi, demone che insegue e seduce specialmente gli adolescenti più fragili, con conseguenze talvolta tragiche: l’abbandono della scuola è spesso un riflesso del desiderio di abbandonare la vita. Benaysag, che da anni lavora a contatto con adolescenti in crisi, lo dice chiaramente: “i problemi di apprendimento sono rivelatori di una difficoltà a desiderare nella vita, a desiderare la vita”.(12)
Ma come possono essi desiderare la vita se per primi gli adulti con cui si relazionano sono tristi e demotivati? “Se gli adulti si esprimono in termini di minaccia è senza dubbio perché pensano che quella attuale non sia un’epoca propizia al desiderio […]. Ma è una trappola fatale, perché solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare dei legami e di comporre la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastro”.(13)

Il ruolo dei docenti

In tal senso, i docenti, oltre ad aggiornarsi per crescere in professionalità ed efficacia, sono chiamati a mostrare che si può ancora desiderare ed amare la vita, che la banale quotidianità in cui si iterano gesti, riti, parole è proprio l’alveo che ci contiene e ci fa crescere, e soprattutto che la cultura non lascia la vita nel medesimo stato in cui l’ha trovata, ma la fa avanzare, le dona senso, la trasforma.(14)
D’altronde, se gli adolescenti di oggi passano il tempo a “navigare”, non si può dire che essi non siano interessati a nulla, che non siano in perenne viaggio: la “navigazione” è semplicemente la forma nuova di una ricerca antica, tipica di una fase, quella adolescenziale, sospesa tra domande, illusioni e disillusioni continue, in cui si anela, oggi come un tempo, a trovare qualche filo che leghi e conferisca senso alle diverse esperienze e conoscenze e che tenti di ricomporre la frammentazione del reale e del sé offrendone letture possibili.
In tal direzione, il lavoro in aula mantiene il suo ruolo insostituibile e può, se costruito bene, essere altamente motivante: proprio grazie alle nuove tecnologie, essa non è più il luogo in cui si trasmettono dati (facilmente reperibili sul web), ma diventa lo spazio in cui imparare a correlarli in maniera approfondita, in cui scoprire che la verità non è quella che ci viene additata da un compilatore casuale di una pagina Web ma è sempre oltre, complessa, percepibile solo se si scava in profondità. Quello passato sui banchi di scuola diventa così il tempo della riflessione, del dialogo paziente, in cui il confronto e persino il conflitto insegnano a guardare oltre il sé, anziché rinchiudervisi, e a confrontarsi con l’altro da sé. Se non siamo tutti come Petrarca, che scriveva a Cicerone, Virgilio, Seneca, trattando gli antichi alla stregua di contemporanei con cui dialogare,(15) tutti siamo pur sempre in cerca di altro, di un altro
Tessere legami è un lavoro lungo, che richiede pazienza, un’impresa spesso anche faticosa e noiosa. Ma meglio imparare a farlo subito, perché Pinocchio è pur sempre Pinocchio: talvolta non è vero che “per andare a scuola c’è sempre tempo”.

Manuela Lucianaz

Note
(1) COLLODI C. (2002), Pinocchio, Fabbri, Milano, p. 42.
(2) BIFFI I. (1977), Contro Maestro Ciliegia, Yaca Book, Milano, p. 72.
(3) Cfr. MEIRIEU P., DARCOS X. (2003), Deux voix pour une école, Desclée de Brouwer, Paris.
(4) Cfr. FRABBONI F. (2002), Il Curricolo, Laterza, Bari, p. 25.
(5) Intervento al colloquio " La culture scolaire et l'ennui ", ripreso in BRONNER L., " L'ennui à l'école, l'une des causes de la violence scolaire ", Le Monde, Paris, 14.01.2003.
(6) Cfr. POSTIC M. (1983), La relazione educativa: oltre il rapporto maestro-scolaro, Armando, Roma, p. 147.
(7) Ibidem, p. 155.
(8) I maggiori problemi che gli insegnanti rilevano nell’insegnamento della letteratura sono, nell’ordine: mancanza di motivazione nei ragazzi (33%), difficoltà legate all’apprendimento della lingua (32%), disinteresse per la letteratura (19%), mancanza di motivazione nell’insegnante (0,5%), altro/vari (15.5%). Cfr. LUCIANAZ M., “Nuove frontiere e vecchi muri. Un'indagine sull'introduzione della letteratura europea nella scuola valdostana” in DELLEPIANE E. (a cura di) (2006), Letteratura, Europa e Scuola, Armando, Roma, vol. I, pp. 162-172.
(9) Cfr. CRAHAY M. (2000), L’école peut-elle être juste et efficace ? De l’égalité des chances à l’égalité des acquis, De Boeck, Bruxelles.
(10) Ancora poco diffusi, nonostante le sollecitazioni del contesto, i modelli pedagogici incentrati sulla Media Education, intesa sia quale educazione ai media sia quale educazione con i media. Cfr. GRANGE SERGI T., ONORATI M.G. (2006), La sfida della comunicazione. Prospettive di Media education, FrancoAngeli, Milano.
(11) COLLODI C., Pinocchio, op. cit.
(12) BENAYSAG M., SCHMIT G. (2004), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, p. 63.
(13) Idem.
(14) Cfr. ZAMBIANO M. (1996), Verso un sapere dell’anima, Cortina, Milano.
(15) PETRARCA F., Familiares. I,1.

 

 

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