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Ritrovarsi nella nebbia
Far prendere
consapevolezza
ai ragazzi del percorso
di apprendimento
nel quale sono inseriti
e nutrire la loro
autostima possono
costituire vie di fuga
dalla noia.
Una vecchia canzone canta un’intera generazione disposta, pur a malincuore, ad abbandonare il paese natio per cercare fortuna altrove: “La noia, l’abbandono, niente son la tua malattia, paese mio ti lascio e vado via”. A rileggere queste righe, da insegnante, mi viene un tuffo al cuore: la scuola è uno sperduto paese i cui abitanti, tutti, hanno una gran voglia di scappare, con tanto di sentimento malinconico a fare da sottofondo alla partenza?
La noia non è una sensazione nuova. “La noia è mal comune”, scrive Leopardi nello Zibaldone; ripensandoci subito dopo per sostenere che la noia “non è se non di quelli in cui lo spirito è qualcosa” (LXVII). Baudelaire e i poeti delle strade affollate della Parigi di metà Ottocento ricercavano disperatamente il modo di esprimere il loro disagio esistenziale attraverso le formule linguistiche dello spleen e soprattutto dell’ennui, la noia del confronto con un pubblico indifferente e tumultuoso, con una realtà che però, anche solo inconsciamente, li attraeva e verso la quale les décadents sentivano la necessità di gridare tutto il loro disgusto.
Così sostenuta nell’idea che ci sia una pars construens in un concetto, forse bistrattato, come quello
di noia, ho cominciato a riflettere sul significato profondo del binomio noia–scuola. I nostri alunni,
mi sono detta, sono annoiati perché hanno spirito e “la noia è il più sublime dei sentimenti” (LXVIII), “desiderio puro della felicità” (Leopardi, Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, 1824); sono annoiati perchè sono esseri razionali che ricercano.
Quello che pensano i ragazzi
Ho domandato ai miei studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado di motivare quel soporifero manifestarsi di stati di noia mortale in classe. Le risposte variavano dal disinteresse specifico verso qualche materia, alle difficoltà di comprensione soprattutto, ma non solo, nelle lingue straniere. Altre presunte ragioni del loro annoiarsi erano riconducibili all’incapacità di taluni insegnanti di coinvolgerli nelle spiegazioni o alla dimostrazione della loro stessa noia nel fare lezione.
Ho chiesto ai miei alunni anche quali cure suggerirebbero contro tale malattia. Ed ecco quelle che, a loro parere, sono attività divertenti: il bricolage, la visione di documentari, le attività svolte al computer, i lavori di gruppo. Ma, di fronte all’obiezione che in molte e differenti materie questo tipo di attività sono previste e svolte, le risposte si sono fatte frammentarie. Sono stati salvati dal suono della campanella dell’intervallo, per alcuni unico momento gioioso dell’attività scolastica.
Quello che io penso
Ho ripensato a quei pochi minuti di confronto con la classe. La noia, che spesso fa coppia con la scarsa motivazione, ritengo sia dovuta alla mancanza di un corretto metodo di studio, questi ragazzi necessitano di una consapevolezza e una conoscenza di sé, unite ad un rinforzo dell’autostima, che portino ad una progressiva autonomia nella gestione del percorso scolastico. Con questo strumento è possibile raggiungere l’obiettivo finale di vincere la noia, questo chiaro sintomo di disagio che gli adolescenti manifestano nella loro tipica maniera provocatoria.
Diversificare l’insegnamento è uno dei potenziali strumenti di rottura di questo cerchio di noia. Per questo l’Istituzione Scolastica San Francesco di Aosta ha attivato un percorso pomeridiano di recupero degli apprendimenti che muove dalla necessità di diversificare le modalità di insegnamento, tenendo conto dei differenti stili di apprendimento di ogni alunno. La scuola secondaria di primo grado è chiamata per compito istituzionale, essendo scuola dell’obbligo, ad assicurare il successo formativo di tutti gli iscritti. Per fare questo, è indispensabile variare le modalità di insegnamento ed adattare i contenuti agli interessi ed alle sensibilità individuali.
L’adolescente “porta a scuola” il suo vissuto: lascia la scuola e vi torna il mattino seguente senza aver avuto la possibilità di rielaborare quanto appreso per carenza di spazi, di tempi e di attenzione familiare. Questo progetto mira
a far maturare negli alunni la consapevolezza che la scuola offre loro un’opportunità irripetibile di imparare: l’attività pomeridiana di recupero fa crescere il sapere individuale, ma crea le condizioni anche di collaborare alla crescita intellettuale collettiva. Le modalità sono quelle del lavoro in piccolo gruppo, nel quale prendere coscienza delle proprie capacità attraverso un percorso metacognitivo di acquisizione di un metodo di studio, di potenziamento delle competenze disciplinari e trasversali, di utilizzo degli strumenti specifici di ogni disciplina.
Cosa fare?
Durante queste attività, vengono svolti esercizi di analisi e acquisizione delle strategie e delle regole del parlato, vengono fatti simulazioni e giochi di ruolo con l’obiettivo che i ragazzi diventino consapevoli della necessità di strutturare e progettare gli interventi orali, imparino a collegare le parti di un discorso, acquisiscano maggiore serenità nell’affrontare una interrogazione.
E, per evitare la trappola della noia i ragazzi vengono immersi nel gioco passando dall’insegnamento come trasmissione di un sapere alla mediazione di conoscenze e competenze. Certamente è impensabile prescindere dalla lezione frontale. È una necessità. È però possibile, partendo da sollecitazioni come il brainstorming, attraverso la mise en commun di esperienze, conoscenze e collegamenti con l’attualità, lasciare che gli alunni si misurino tra di loro e con l’adulto. Un adulto attivo e che opponga resistenza permettendo loro di acquisire spirito critico.
Quando in classe c’è confronto difficilmente i ragazzi si distraggono e si annoiano. Il compito dell’insegnante diventa allora quello del mediatore, del regolatore di uno scontro che deve risultare costruttivo. Entra in gioco la soggettiva capacità dell’insegnante di coinvolgere l’uditorio e gestirlo. Alcune abilità individuali possono aiutare: l’attirare l’attenzione tramite il tono della voce o il gesticolare, l’attitudine al racconto, la semplicità e la sintesi.
Attenti alla nebbia
E se è vero che ai vertici del triangolo del sapere ci sono il percorso didattico, l’alunno e l’insegnante, non si può pensare che il docente non abbia delle responsabilità nella formazione di quella nebbia che ogni tanto scende fitta sul gruppo classe. È possibile che gli alunni abbiano ragione quando parlano di insegnanti che annoiano perché si annoiano. L’aggiornamento, le programmazioni, la condivisione del materiale e delle strategie tra colleghi possono essere utili rimedi per non rischiare uno stallo professionale che non può che sfociare negli sbadigli, il cui continuo accumulo può condurre al cosiddetto burnout.
Insegnare logora! Per combattere questo genere di esaurimento è auspicabile un aumento della considerazione sociale della professione docente, ma è preziosa la condivisione con i colleghi dei patemi,
dell’ansia da ingresso in aula ed è imprescindibile un buon clima nei consigli di classe. Una visione comune degli obiettivi da perseguire e la coscienza di avere nei colleghi e nel dirigente scolastico un supporto coeso aiutano concretamente ad affrontare l’agone scolastico con serenità e stimolano il benessere professionale.
In conclusione, una soluzione alla fuga triste dal noioso paese–scuola forse c’è: lo si potrebbe ristrutturare e ricalibrare, magari reinterpretando e amplificando alcune suggestioni del film di Daniele Luchetti
La scuola. Qui gli studenti stessi
progettano la loro scuola ideale dove campi da tennis, palestre, laboratori di attività tecniche e artistiche, spazi comuni di intrattenimento e svago fanno la parte del leone. Peccato manchino le aule.
Chiara Bernardi
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