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La didattica per laboratori
Come costruire un laboratorio?
Cosa implica? Quali modificazioni comporta nell’organizzazione didattica?
Storia di un’idea
Svolgere una riflessione circa la genesi della didattica per laboratori significa, per lo meno, ricapitolare gli snodi più significativi della pedagogia della scuola del Novecento e dell’Attivismo pedagogico in particolare. Segnatamente, a quest’ultimo possiamo fare risalire i tentativi della scuola recente di rinnovarsi “attraverso un impegno convinto della sperimentazione scientifica” intesa come uso sistematico dell’apprendimento e, perciò, quale pratica corrente di intervento razionalmente modificatorio innestate su situazioni educative considerate ormai inadeguate o insoddisfacenti”. (Gennari M. (a cura di) Didattica dell’educazione visiva)
Dalle intuizioni di Dewey all’esperienza di Decroly, della Parkurst fino ai contributi di Cousinet e Freinet la storia delle scuole attive è il tentativo, non sempre compiutamente realizzato, di avvicinare insegnamento ed apprendimento - quindi matesi e didassi - intessendo un curricolo tanto più significativo quanto più denso di motivazione ed attento alle dinamiche evolutive degli alunni.
John Dewey
• Motivazione e interesse sono i principali attrattori dell’apprendimento;
• la scuola può essere educativa soltanto se attiva, ovvero strettamente aderente al principio della motivazione e della vita;
• il modello della democrazia deve costituire la regola della disciplina e della conduzione della scuola;
• la conoscenza è una costruzione sociale conseguibile attraverso la ricerca e l’esperienza;
• anche l’insegnante è un ricercatore che deve agire con rigore e disciplina.
Ovide Decroly
• Sostituisce una programmazione centrata sui contenuti disciplinari con una più aderente all’esperienza vitale del bambino, quindi più rispondente ai suoi bisogni ed interessi;
• assume come punto di partenza la realtà nella sua naturalità ed interezza: il reale, quindi, è colto interamente attraverso la ricchezza della percezione infantile e non è offerto all’apprendimento come prodotto già elaborato in forma testuale dall’adulto;
• implementa la didattica su centri d’interesse così ripartiti: l’uomo e l’universo, l’uomo e i suoi simili; l’uomo e i minerali, l’uomo e gli animali; l’uomo e i vegetali, l’uomo e il suo organismo.
Helen Parkurst
• Prevede l’individualizzazione del carico didattico attraverso una procedura iniziale di contratto che mira a responsabilizzare lo studente in relazione al proprio progetto formativo;
• introduce laboratori di tipo disciplinare attrezzati con materiale didattico specifico e guidati da un esperto;
• prevede che gli spazi della scuola siano liberamente fruiti dai ragazzi secondo il loro piano di lavoro a prescindere dalla loro appartenenza ad una classe scolastica;
• precorre la didattica sia delle non graded school che delle open classroom sviluppando percorsi di autentica ricerca-azione.
Maria Montessori
• Intende il bambino come luogo di forza che tende alla sua pienezza;
• realizza una scuola intenzionalmente organizzata come ambiente scientificamente funzionale all’apprendimento;
• sviluppa una metodologia, fondata sul presupposto sensoriale dell’esperienza apprenditiva, che ha il suo referente didattico nel materiale di sviluppo, media attraverso il quale realizzare una piena proceduralizzazione-automazione-espansione delle capacità intellettuali del bambino.
Rosa e Carolina Agazzi
• Primato del tirocinio dell’azione quale agente di potenziamento della facoltà di "trasformazione delle cose" agita dal bambino nei contesti di vita pratica;
• importanza del lavoro manuale educativo, sviluppato come gioco ed aperto alle forme più progredite della socializzazione e della collaborazione tra pari;
• valore educativo della prima educazione linguistica e quindi primato dell’espressività in tutti i contesti formativi;
• ordine come condizione essenziale al successo educativo (significato strategico delle "cianfrusaglie", "dei contrassegni", del "museo didattico" e del "giardino"). |
Per una didattica del laboratorio
Come afferma Cesare Scurati, quando si parla del laboratorio è bene distinguere l’accezione generica, come concetto metaforico di scuola attiva, laboriosa e sperimentatrice, da quella specifica in senso tecnico che indica “uno spazio-tempo dedicato e differenziato rispetto a contenuti ed obiettivi ben definiti”. Cercando di identificare più puntualmente il concetto di laboratorio possiamo, con il De Bartolomeis, qualificarlo come “un luogo organizzato ed attrezzato in vista delle attività di ricerca degli studenti rispetto cui l’attività dell’insegnante ha funzione di guida e di supervisione”. I presupposti pedagogici della definizione del De Bartolomeis poggiano su una matrice schiettamente costruttivista: una teoria della conoscenza come elaborazione attiva ed una coerente teoria dell’apprendimento come (ri) costruzione e (ri) scoperta del sapere.
Organizzativamente, implica che il laboratorio sia concepito come:
• un ambiente opportunamente realizzato ed attrezzato per lo svolgimento di attività definite;
• un alveo specifico rivolto alla ricerca sul campo, che si offre come luogo di prelievo di problemi da realtà complesse rispetto a cui i libri e gli strumenti culturali fanno da mediatori;
• uno spazio qualificato per attività che implichino il diretto coinvolgimento degli educandi nell’esecuzione e nell’uso di materiali o strumenti specializzati, che facilitano e rendono possibili processi di insegnamento-apprendimento euristicamente progettati in termini di scoperta, di negoziazione e di costruzione sociale;
• un ambiente separato dall’aula tradizionale e in cui gli allievi apprendisti possono sperimentare l’operatività e la pratica, e quindi imparare l’arte sotto la guida di un esperto docente artigiano;
• un luogo del fare e quindi dell’imparare facendo incentrato sull’uso intensivo e strategico di attrezzi specifici (Bruner) necessari alla costruzione di oggetti culturalmente rilevanti (i prodotti dell’apprendimento). Il concetto di buona forma del prodotto e di eccellenza formativa rimanda, in questo senso, alla forza traente dell’esperienza estetica: la scuola, infatti “diviene il luogo dove gli studenti hanno l’opportunità di elaborare soggettivi percorsi culturali imparando
a produrre belle immagini, a comporre con gusto musiche o poesie, a discorrere con proprietà di linguaggio, a muoversi e danzare con eleganza, a costruire oggetti ben fatti” (TIZZI E.W., “Insegnamento e apprendimento”);
• un ambiente educativo non solo rassicurante e protettivo, ma capace di offrire una molteplicità di stimoli culturali, un luogo dal quale attingere e nel quale produrre oggetti culturali;
• una struttura in continuità orizzontale e verticale, dotata di un’identità specifica ed in grado di raccogliere e mettere i bambini in contatto con materiali di alto livello di produzione. Laboratori, quindi, quali ambienti specifici per esplorare direttamente le cose e fare esperienza diretta con esse: guardare con i propri occhi e toccare con le proprie mani la stessa realtà fisica, simbolica e culturale così da approdare direttamente ad esperienze di conoscenza che potranno essere apprezzate nella loro congruenza e nel loro potere illuminante (Borghi). In questo senso si può dunque addirittura pensare, come afferma Miriam Pertica, “ad un sistema formativo integrato che, ipotizzando l’interconnessione dinamica tra le istituzioni scolastiche di base e gli enti preposti alla tutela e conservazione del patrimonio sviluppi conseguentemente la corrispondenza fra i laboratori didattici allestiti nelle scuole e le sezioni didattiche sparse nel territorio, in quanto nate ed afferenti in seno alle sedi degli enti medesimi”.
Da queste caratteristiche emerge come, soprattutto
nella scuola dell’infanzia, il laboratorio costituisca uno snodo didattico fondamentale pur non risultando tuttavia esaustivo, ossia completamente alternativo all’organizzazione per sezioni. Là dove i laboratori hanno incrociato il tradizionale lavoro di classe, però, i primi hanno rappresentato “una dimensione educativa strutturata secondo un processo di riqualificazione pedagogica” (Gennari, Lo sguardo iconico) connotato dalla
ricerca, dall’interdisciplinarietà, dalla socializzazione e dalla produttività culturale. In particolare, mettendo a confronto i presupposti psico-pedagogici che fondano una didattica integrata, ossia organizzata tanto per sezioni quanto per laboratori possiamo elaborare due prospetti sinottici (vedi box).
Se ne ricava che i laboratori si caratterizzano, rispetto agli altri ambienti scolastici, per alcuni segnali di qualità che, con Scurati, possiamo così riassumere:
• Intensificazione: un laboratorio ha senso nella misura in cui si verifica una particolare concentrazione dell’attenzione ed un particolare arricchimento delle occasioni e delle strumentazioni finalizzate di apprendimento. A questa condizione “nei laboratori viene rispettata la natura del processo di apprendimento
e di produzione che si realizza con il metodo della ricerca; assorbimento nel problema, pianificazione, incubazione, continuità di sforzi in una direzione determinata” (De Bartolomeis F., Le attività educative). Con ciò, inoltre, il laboratorio diviene uno spazio-tempo arricchito (organizzato, strumentato) rispetto alle altre opportunità formative, che non dovrebbe consentire nessuna dispersione delle energie impiegate (massima focalizzazione) e dovrebbe quindi garantire il massimo conseguimento degli effetti voluti;
• alternanza: la scuola dell’infanzia interamente progettata per laboratori è esposta al pericolo di un eccesso di specializzazione. È dunque consigliabile la proposta di diversi tipi di attività e di laboratori, la partecipazione a più di uno di essi ed anche l’esistenza di momenti e forme non laboratoriali (cioè distensive e connettive) finalizzate a formare psicologicamente i gruppi, generare appartenenza, produrre discontinuità di età e di capacità concettuale;
• contenuto-relazione: nella proposta curricolare è necessario equilibrare la dimensione numerica (quantitativa, lineare, contenutistica) e quella analogica (qualitativa, circolare, relazionale) dell’esperienza della comunicazione, in modo che i dati, i fatti e le informazioni da una parte, così come le emozioni,
i sentimenti dall’altra non restino isolati ed appartenenti a due mondi reciprocamente distinti e separati;
• evidenziazione: il laboratorio è un luogo ed un periodo di parole forti, di punti esclamativi, di acquisizione di conoscenze ed abilità precise, di guadagni oggettivamente rilevabili. Ciò che il laboratorio consente è proprio l’ottimizzazione delle evidenze cognitive e procedurali rispetto al campo considerato;
• decontestualizzazione: l’aspetto di settorialità, condizione della sua efficacia, pone il laboratorio in una situazione sospensiva rispetto al resto dell’esperienza collocandolo in una posizione piuttosto parentetica e potenzialmente discontinua rispetto ad esso. Abbiamo a che fare quindi con uno spazio-tempo nel quale è importante entrare, ma dal quale è ugualmente necessario uscire (Scurati C., Tra spazio e tempo).
PROSPETTI SINOTTICI |
DIDATTICA PER SEZIONI
Classe come famiglia
• Scuola come sistema relazionale e triangolo primario: la coppia genitoriale impersonata dagli insegnanti, il gruppo dei pari età dai fratelli, articolati in maggiori (i 5 anni), quelli di mezzo (i 4 anni) ed i piccolini (i 3 anni).
Obiettivi espliciti:
• Ispirare appartenenza, promuovendo processi transferali forti in grado di modellare l’identità;
• saturare il bisogno di sicurezza e protezione, forte all’interno di una stagione della vita contrassegnata dalla dipendenza;
• promuovere un’effettiva continuità tra stili educativi familiari e forme d’educazione istituzionale;
• non disgiungere la dimensione affettiva da quella cognitiva e sociale promuovendo un tirocinio ordinato di esperienze preposte ad essere un modello estensivo di formazione.
DIDATTICA PER LABORATORI
Classe come svincolo
• Modello post - cognitivista (Vygotskij, Bruner, Gardner);
• il presupposto esplicito è che agendo sul curricolo (intensificandolo e diversificandolo) si influisca sullo sviluppo della mente;
• la scuola è luogo d’iniziazione ai sistemi simbolico culturali attraverso la frequentazione di esperienze intensive d’apprendimento;
• divaricazione tra momenti intenzionali (segnati dai principi dell’intensificazione, dell’evidenziazione e della decontestualizzazione) e momenti non intenzionali (sezione come area della ri-creazione, del gioco spontaneo, della socializzazione). |
L’ organizzazione delle attività laboratoriali
L’individuazione delle specifiche attività laboratoriali innerva l’intera progettazione curricolare dell’attuale scuola dell’infanzia, poiché presuppone alcuni aspetti imprescindibili:
• Il riordino/riprogettazione dell’orario di servizio del personale docente, per ricavare i tempi di compresenza necessari al lavoro per piccoli gruppi;
• l’eventuale negoziazione di una riduzione del tempo scuola, necessaria per concentrare le attività didattiche e la presenza degli insegnanti;
• l’organizzazione/riorganizzazione dei tempi e degli
spazi, al fine di permettere la mobilità dei gruppi all’interno della scuola e la loro armonica gestione didattica (come ripartizione dei carichi di lavoro, rispetto per i bisogni di riposo e rilassamento del bambino e come coerenza con i tempi di attenzione e concentrazione di ciascuno);
• la costruzione preliminare di una congrua atmosfera di fiducia ed armonia all’interno della sezione, nonché lo sviluppo di processi di attaccamento tra insegnanti ed alunni sufficientemente consolidati;
• l’innesco disciplinato, nei singoli e nel gruppo, della motivazione ad apprendere, del problem solving e della propensione alla costruzione/interpretazione di significati culturali. In questi termini l’apprendimento nei laboratori scaturirebbe dalla pressione del problema e dall’attrazione dell’obiettivo. (De Bartolomeis F., Scalettone pedagogico)
• la costruzione di un sistema di bilanciamento tra opzionalità di taluni laboratori/insegnamenti e prescrittività di taluni insegnamenti fondamentali (core curriculum);
• l’implementazione didattica, organizzativa e pedagogica della professionalità dell’atelierista con quella del personale docente e non docente;
• la costruzione di un efficace raccordo (docimologico, didattico ed epistemologico) tra i vari insegnanti impegnati nella gestione della sezione. Come annota il De Bartolomeis, infatti, “la struttura a laboratori senza un centro di programmazione e di controllo e senza insegnanti specializzati genera una confusione che fa rimpiangere l’orario e le classi dell’ordinamento tradizionale”;
• l’efficace comunicazione/documentazione ai genitori ed agli alunni delle attività laboratoriali;
• la stipulazione di un contratto formativo che impegni tutte le controparti nella gestione di contesti educativi complessi, quindi caratterizzati da sistemi normativi particolari (come ci si comporta in aula di psicomotricità o giochi motori, qual è l’abbigliamento, quali le condizioni per svolgere attività motoria all’aperto, quali sono le protezioni che i genitori chiedono, quali i bisogni dei bambini e degli insegnanti);
• l’apertura all’ambiente (la scuola si allunga sull’intera rete dei luoghi dell’educazione, naturali, socio-culturali, valorizzati quali potenziali aule didattiche decentrate);
• la partecipazione-gestione sociale della comunità intesa come occasione per tramutare la scuola in casa della cultura ove le risorse offerte dai genitori e dal territorio rivestono un ruolo orientatore e di stimolo per un apprendimento significativo ed identitario;
• la ricerca ed il lavoro di gruppo intesi come strategie ineludibili per tramutare la scuola in officine di metodo, in una bottega in cui si impara ad imparare;
• l’interazione classe-interclasse intesa come strategia per introdurre la pratica dell’open classroom.
(Frabboni F., Il laboratorio)
A partire da questi presupposti operativi la scuola dei laboratori risulta alternativa tanto alla scuola delle nozioni quanto a quella delle occasioni palesando come decisiva la sua qualità di ambiente intenzionale di
formazione di apprendimento. Pur essendo la scuola
dell’infanzia un ambiente culturale elettivamente immersivo, nel senso che “la stessa convivenza in una condizione culturalmente definita consente al bambino di assorbire informazioni, schemi di comportamento, modelli culturali” (Paparella N., Pedagogia dell’apprendimento), infatti, alle forme dell’educazione indiretta si affiancano quelle connotate da una più precisa intenzionalità formativa, che intendono il curricolo quale fondamentale dispositivo formale preposto alla gestione ed all’organizzazione degli apprendimenti e delle diverse opportunità formative. In questo senso la didattica per laboratori assolve a quelle condizioni delineate dal Giugni e che possiamo così riassumere:
• le attività della scuola consentono di ripercorrere gli itinerari operativi e logici costruiti dall’uomo per dare forma e struttura agli aspetti particolari del sapere (esigenze logiche);
• le attività stesse consentono di ricavare una o più idee generali raccordabili organicamente con altre idee dello stesso genere, così che vengono a formarsi, per gradi, nuclei di conoscenze capaci di far germinare la scienza sia pure a livello embrionale (esigenze strutturali);
• motivo culturale di fondo è sempre la riflessione sull’esperienza concreta; i temi culturali devono perciò risultare facilmente sperimentabili o, per mezzo di adeguati sussidi, facilmente intuibili; il punto di partenza è sempre un problema (esigenze psicologiche).
(Giunti A., La scuola come “centro di ricerca”)
Questi tre presupposti prefigurano una concezione dell’apprendimento di tipo profondo, costruttivo e trasformativo, che, così come descritto nella tabella che segue (Antonietti A., Apprendimento: senso e significati per l’individuo), prefigurano un percorso didattico sempre più incardinato sul conseguimento di competenze certificate da una valutazione autentica e frutto di una pratica professionale, quella dell’insegnante, di tipo riflessivo e collegiale.
APPRENDIMENTO: SENSO E SIGNIFICATI PER L'INDIVIDUO |
Accrescimento quantitativo delle proprie conoscenze |
Sapere come aggregato di conoscenze dal valore unicamente pragmatico e funzionale. Concezione riproduttive e centrata sulla manipolazione di segni. Apprendimento come addestramento |
TEORIE
QUANTITATIVE
DELLA
CONOSCENZA
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Memorizzazione e riproduzione delle informazioni |
Applicazione |
Comprensione |
Apprendimento significativo, trasformativo e costruttivistico |
TEORIE
PROCESSUALI |
Visione da una diversa prospettiva |
Evoluzione dell'intera persona |
Andrea Bobbio
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