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Quasi a rischio di solitudine
I numerosi interventi del convegno, Autonomia: lavori in corso, organizzato dall'IRRSAE a Saint-Vincent nel 1999 avevano richiamato l'attenzione sulla normativa dell'autonomia scolastica. In particolare, era stato messo in evidenza che la futura riforma rappresentava
la cornice giuridica di libertà e di responsabilità in grado di consentire miglioramenti nel delicato processo di insegnamento e apprendimento. Gli argomenti trattati erano interessanti perché mi facevano intravedere il rinnovamento del fare scuola nel quotidiano. Non era possibile, infatti, rimanere freddi dinanzi a spunti quali Autonomia didattica e autonomia della ricerca, quando si desidera esplorare la professione di insegnante nella dimensione dell'innovazione. Insomma, consideravo questa riforma una sfida affascinante e necessaria.
Sono passati ormai sette anni dal faticoso decollo dell'autonomia e ho la sensazione che vari protagonisti che ruotano intorno al mondo della scuola facciano fatica a vedere i vantaggi apportati da questa riforma. D'altra parte, quest'arco di tempo è stato contraddistinto da un alternarsi di disposizioni di legge che hanno creato un clima di incertezza e di confusione. Più volte siamo stati impegnati a comprendere le parole chiave delle varie norme e a introdurre nuovi strumenti didattici per poi abbandonarli l'anno successivo. Ripenso, in particolare, al tempo dedicato alla riflessione sui nuclei fondanti delle discipline, ai profili, d'entrata, intermedio e d'uscita, della scuola di base e, successivamente, alle ore dedicate alla selezione delle abilità e delle conoscenze disciplinari, indicate dalle normative, da utilizzare nella programmazione didattica per generare competenze in ogni singolo alunno. E che cosa dire del portfolio, documento che avrebbe dovuto raccogliere il percorso scolastico e i processi di apprendimento di ogni alunno, ma che purtroppo è stato accantonato e riposto incompleto nell'armadio della classe? Tra scelte, non scelte, dubbi e incertezze, insieme alle mie colleghe, ho continuato ad entrare nelle classi, ma, in un contesto scolastico dove le regole non sono chiare, abbiamo perso di vista alcuni principi importanti dell'autonomia didattica. Nel quotidiano, di fatto, siamo inseriti in struttura autonoma: ogni scuola elabora il suo POF caratterizzando, mediante tale documento, la sua identità culturale e progettuale
ed esplicitando la sua progettazione curricolare - extracurricolare, educativa ed organizzativa. Se analizziamo, ad esempio, il POF dell'istituzione scolastica di cui
faccio parte, rileviamo, sinteticamente, che i progetti proposti si muovono nella direzione di promuovere
l'arricchimento culturale e la crescita personale di ogni allievo sulla base dei bisogni degli alunni, delle famiglie degli insegnanti e del territorio in collaborazione con l'Amministrazione regionale, con il Comune e i vari Enti locali. Effettivamente, nelle varie istituzioni, molti progetti si muovono in questa direzione:
• la collaborazione con il comune per l'elaborazione
del progetto mensa e Pedibus, lo scuolabus a piedi nell'ambito della educazione alla mobilità;
• l'elaborazione di risposte coerenti con le diverse
esigenze dei genitori e degli alunni, Porte Aperte, apertura della scuola alle 7,40 e chiusura alle 17,30 e
la realizzazione di studio assistito doposcuola per i bambini alla luce dei loro bisogni;
• la cooperazione dei vari soggetti dell'Istituzione
scolastica, genitori compresi, per favorire il passaggio tra gli ordini di scuola, mediante varie attività di accoglienza che si svolgono durante tutto il percorso
formativo;
• la proposta di attività di orientamento per facilitare
le scelte e l'inserimento dei ragazzi nella scuola secondaria di secondo grado;
• la promozione della cultura informatica e la conoscenza delle nuove tecnologie, quindi l'organizzazione di laboratori per l'utilizzo della comunicazione multimediale e dei vari programmi;
• l'introduzione dell'inglese per un'ora alla settimana, ricorrendo a personale con competenze certificate;
• l'attivazione su base annuale e o pluriennale di
progetti che valorizzino il percorso scolastico degli alunni. I titoli sono molto accattivanti ne cito alcuni: Tamtando, Il mondo delle api, Festa del libro, Computeriamo, Le jardin potager, Un palco all'opera.
Questi esempi mettono in risalto come i collegi docenti si siano comunque attivati per la realizzazione di importanti innovazioni dal punto di visto organizzativo. I vari progetti, infatti, riflettono una scuola moderna, aperta al territorio, flessibile e capace di cogliere le innovazioni, eppure pare che l'autonomia faccia fatica ad entrare nell'agire quotidiano del fare scuola. Sembra quasi che vengano modificate le procedure per le progettazioni e le operazioni organizzative, ma l'autonomia delle istituzioni non riesca a incidere in modo soddisfacente nella didattica, anzi molti di noi rimpiangono,
per un certo verso, gli anni '90 che una mia collega ha definito “gli anni d'oro”. In particolare, di quel periodo, ricordava la figura dei Collaboratori didattici che avevano avuto una funzione di stimolo per favorire l'interazione nelle attività di programmazione didattica, per l'organizzazione della formazione degli insegnanti e per la raccolta e diffusione delle esperienze didattiche.
Attualmente, nella scuola lavoriamo molto per la definizione dei vari progetti, decidiamo con quali strumenti, con quali percorsi educativi attuare l'insegnamento per raggiungere gli obiettivi di apprendimento, partecipiamo anche a numerose iniziative di aggiornamento proposte dall'istituzione scolastica, dall'amministrazione regionale e dai vari enti, ma non abbiamo spazi adeguati da dedicare alla riflessione sulla relazione educativa.
E non possiamo dimenticare che l'insegnante, oltre
l'organizzazione dei progetti, deve mantenere viva, in modo costante, l'attenzione degli alunni per « susciter l'adhésion, vaincre la résistance pour libérer le désir
d'apprendre, de comprendre, de transformer le monde. » (Gautier).
La programmazione settimanale, quando il clima del modulo lo rende possibile, è sicuramente uno spazio importante per entrare nella didattica, per analizzare
le osservazioni effettuate, per confrontarsi, per decidere di introdurre nuove pratiche educative, ma sentiamo sempre di più la necessità di confrontarci con il sapere teorico perché molti sono i problemi che si vivono quotidianamente sul campo: alunni demotivati, atteggiamenti aggressivi, classi di difficile gestione, difficoltà di apprendimento, insuccesso scolastico, malgrado l'impegno, scarsa capacità d'ascolto, l'inserimento di alunni stranieri, l'educazione plurilingue, colleghi poco collaborativi, genitori poco partecipativi. I quesiti sono tanti e la difficoltà di gestire queste situazioni provoca malessere e talvolta si percepisce la sensazione di essere abbandonati e di vivere la propria professione in solitudine. Forse non saremo responsabili e in grado di essere protagonisti della nostra formazione mediante decisioni prese nell'ambito dei collegi docenti, ma è anche vero che la preparazione e il lavoro in classe ti lasciano poco tempo per pensare ad un'organizzazione di apprendimento che non sia separata dal POF. Quando penso alla scuola vedo insegnanti e dirigenti che vanno sempre di fretta e sono sempre molto impegnati. Il tempo non basta mai. La responsabilità dovrebbe essere diffusa,
ma talvolta la stanchezza non permette di partecipare attivamente.
Se è vero che la qualità della scuola non si misura solo attraverso una buona organizzazione, ma anche mediante una didattica di qualità che si basi sulla riflessione sulla propria esperienza e sulla rielaborazione alla luce di teorie e di confronti di modelli didattici esterni,
perché non recuperare le modalità di organizzazione di progetti che nel passato hanno avuto successo, come il progetto PEDRA o le Séquences didactiques, e assicurare una formazione iniziale obbligatoria per gli insegnanti a tempo determinato (naturalmente per coloro che non hanno seguito il corso di laurea in scienze della formazione primaria) e una formazione continua per gli insegnanti in servizio? Costruire un linguaggio comune, un sapere culturale e metodologico non potrebbe facilitare l'autonomia di didattica e di ricerca in ogni équipe pedagogica?
Carla Berlier
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