|
Il paradigma del confine
Quale rapporto c'è tra i ruoli ricoperti all'interno dell'organizzazione scolastica e la didattica nella scuola dell'autonomia? Qualche riflessione per porre dei punti fermi e fornire delle prospettive.
A ben vedere, lo sviluppo dell'autonomia è fondato sull'elaborazione del “paradigma del confine”:
• il confine dell'organizzazione che ne delinea la fisionomia e ne metabolizza gli scambi tra interno e ambiente esterno;
• il confine tra i ruoli organizzativi che individua compiti, mansioni, organigrammi e scambi tra le persone e la collettività organizzata per il lavoro comune;
• il confine tra i comparti della divisione del lavoro che articola la “macchina organizzativa” e la sua “macchina produttiva”.
È su questi confini che viene elaborata la cultura di un'organizzazione, cioè l'insieme dei significati condivisi dalla collettività di lavoro.
Il lavoro organizzato collettivamente non è un “valore naturale”, ma rappresenta un artefatto nel quale tutti impegniamo una notevole parte del nostro tempo di vita e nel quale trasferiamo elementi fondamentali della nostra identità, come le competenze, gli immaginari professionali e la nostra “maschera sociale”.
La “cultura organizzativa” rappresenta l'apparato simbolico che permette l'elaborazione e la condivisione
di significati, linguaggi, riti operativi e consente di
elaborare la “noità” contenendone le tensioni inevitabili, le paure e le ansie connesse.
L'elaborazione della cultura organizzativa implica un complesso lavoro di integrazione:
• delle persone nell'identità collettiva;
• del collettivo nella struttura organizzativa;
• della struttura nelle strategie e nelle finalità;
• dell'organizzazione nell'ambiente.
Dieci anni fa tutto ciò è stato “messo sul piatto” del nostro sistema di istruzione: gran parte delle rielaborazioni e delle riflessioni condotte sulle problematiche dell'autonomia ha esplorato i versanti istituzionali e strutturali, mentre il lavoro concreto nelle scuole ha tentato, con vari esiti, di trasferire tali elaborazioni sul piano della didattica.
Le note che seguono assumeranno come “punto di vista” proprio quest'ultimo.
Il contenitore istituzionale disegnato dal Regolamento si è dimostrato più ampio delle possibilità concrete di esplorazione messe in atto nelle scuole.
Si tratta di un esempio, raro, nel quale entro una transizione sistemica, le definizioni istituzionali sono ridondanti rispetto ai processi “molecolari” che dovrebbero interpretarle e realizzarle.
Normalmente accade il contrario.
Il lavoro scolastico nel contesto
dell'Autonomia
La struttura organizzativa tradizionale della scuola è “appiattita” su due livelli: un dirigente e un gruppo di pari, con la tradizione di un dirigente con “debole potere di posizione” e vincolato da regole eterodeterminate, al quale si sono tentate timidamente di “aggiungere” articolazioni successive (le funzioni obbiettivo, le funzioni strutturali…); ma, appunto, “aggiunte” e non effetto di ristrutturazioni strutturali.
L'elemento paradossale è che tale organizzazione “semplificata” provvede ad un lavoro concreto, quello della formazione, di estrema complessità.
La condizione operativa tradizionale è che tale complessità sia quasi totalmente trasferita sul “potenziale” professionale del singolo, che si esprime nella tradizionale “autonomia professionale” nel lavoro didattico: una sorta di organizzazione di carattere “artigianale” in un involucro collettivo come negli atelier precedenti l'organizzazione di fabbrica della prima rivoluzione industriale.
L'organizzazione si aspetta dai soggetti che la compongono ruoli reali estremamente semplificati e uniformi. Infine, propone un sistema “di processo” che si riproduce fedelmente sempre eguale a se stesso nello spazio e nel tempo, quasi a rivestire la funzione di una “seconda natura”.
A complessificare progressivamente il lavoro reale
della scuola hanno provveduto, negli ultimi trent'anni, processi che hanno continuamente sommato i loro effetti: l'allargamento delle basi sociali dell'istruzione con la scuola di massa e l'ingresso nel sistema tradizionale di tensioni ambientali e sociali una volta escluse; la definizione di traguardi formativi rifunzionalizzati rispetto alla modernità.
Per esempio: l'espansione degli indirizzi tecnologici nell'istruzione superiore; il passaggio dai programmi alla programmazione didattica e al lavoro per obiettivi e progetti; la più recente tensione verso la personalizzazione dei percorsi e comunque il traguardo del “successo formativo” proposto a tutti.
I tentativi di adeguare il modello organizzativo-didattico della scuola a tale complessificazione hanno seguito, in sostanza, due direzioni:
1. la sollecitazione alla dimensione collettiva (collegiale) del lavoro scolastico per superare una pratica tradizionale di tipo artigianale/individuale;
2. la sollecitazione alla diversificazione dei ruoli professionali con la problematica delle “figure professionali” articolate sia con definizioni formali (con diverse etichette “contrattuali”) sia con la divisione “tecnica” del lavoro con assegnazione di responsabilità di progetto, di coordinamento, di dipartimento.
Per il “lavorare insieme” si è utilizzato una sorta di richiamo “esortativo”, come se in un'organizzazione fosse “la soluzione”, trascurando il fatto che, al contrario, questo costituisce proprio “il problema” della cultura organizzativa. Accanto a tale “esortazione” vi è stata l'istituzionalizzazione del lavoro collettivo attraverso la sua “organizzazione formale” (i Consigli, il Collegio) che ha trascinato, in altro contesto, il paradigma tradizionale del “lavoro di pari” e dell'istanza del “siamo tutti eguali” largamente indipendente dal lavoro concreto erogato.
L'implementazione ingegneristica di un progetto, invece ha trascurato il fatto fondamentale che introducendo nuove figure professionali si mutavano, per tramite
di circolari o di contratti di lavoro, i confini reali dei ruoli organizzativi. Il termine “ruolo” nella scuola ha immediatamente una semantizzazione di tipo giuridico (con risvolti gerarchici), niente affatto declinata sotto il profilo organizzativo, il linguaggio è sempre una spia significativa dei pensieri che si esprimono o che si tacciono. Nell'organizzazione ogni soggetto, in quanto integrato nella struttura collettiva, acquista una sorta di altra identità, costituita dal suo ruolo. Tra i diversi ruoli si definiscono rapporti che vengono regolati sia da prescrizioni esplicite (norme e leggi, regolamenti) sia da valori anche non scritti, ma che operano come ideali e schemi di riferimento riconosciuti collettivamente stabilendo ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è proibito, permesso, accettabile, inaccettabile nell'ambito del collettivo di lavoro.
L'autonomia ha oggettivamente complessificato i problemi: da un lato, ha consolidato la figura dirigenziale
e dunque ha aperto clamorosamente la questione
che è stata di volta in volta descritta con le categorie del management e della leadership, dall'altro, ha accelerato l'urgenza di intervenire sull'articolazione dei ruoli organizzativi rispetto alla didattica.
In almeno tre direzioni:
1. Il lavoro di progettazione
Con l'autonomia esso acquisisce caratteri oggettivamente diversi dal passato anche recente: da paradigma del lavoro didattico a paradigma intrinseco del modello organizzativo.
L'effetto immediato di tale svolta, interpretata in maniera non univoca, è proprio la variabilità sostanziale dei modelli organizzativi realizzati nelle diverse istituzioni scolastiche (l'autonomia a macchia di
leopardo, come fu definita con efficacia).
Ma il passaggio entro tale break point è contrassegnato da molte timidezze: la sostanziale intangibilità dei ruoli professionali (con esclusione di quello della dirigenza) è con tutta probabilità uno dei principali “fattori limitanti” dello sviluppo dell'autonomia e del fatto che le sue potenzialità istituzionali siano in parte inesplorate dalla dinamica reale del lavoro scolastico.
Si è, infatti, proceduto finora, e forse saggiamente, con misure di basso profilo lasciando sostanzialmente immutato il profilo formale dei ruoli del personale.
Procedere nella direzione della dotazione di un “Reparto Ricerca e Sviluppo” nella scuola, come previsto dallo stesso Regolamento, significa porsi esplicitamente nella prospettiva di ristrutturare i ruoli interni e dunque procedere non con la sola ingegneria degli organigrammi, ma con la cura e la clinica delle modifiche molecolari nel rapporto tra i “confini” dei ruoli e con le necessarie conseguenze sotto il profilo delle responsabilità e del merito.
Se è un break point: occorre organizzare il break through, l'attraversamento del punto di rottura.
Come sempre il problema non è né la celerità né l'ampiezza dei passi che si compiono (si può andare a
piccoli passi verso il baratro) quanto la direzione che si assume e la sua consapevolezza.
2. Lo sviluppo dei servizi interni e dei servizi
verso l'utenza
Sul versante del rapporto interno/esterno, l'autonomia si declina anche come una generale riconversione verso la domanda. Dunque attività “pedagogiche” come l'orientamento, il servizio agli studenti, il tutoraggio, stanno accanto allo sviluppo del front office di servizio verso l'utenza.
Anche in tali casi si è proceduto finora con il basso profilo: funzioni obiettivo, miglioramento e a volte informatizzazione dei servizi all'utenza, in qualche caso organizzazione di Uffici di Rapporto con il Pubblico, commissioni del Collegio, buona volontà.
Ma, anche in tale caso, è necessario procedere a vere e proprie riconversioni e ristrutturazioni di ruolo.
In prospettiva quelle indicate si rappresentano come altrettante condizioni di sviluppo dell'autonomia stessa. Su queste due prime direzioni, un criterio operativo fondamentale è quello di non immaginare processi “eteroguidati” da apparati regolamentari o normativi definiti al di fuori dell'attenta e clinica valutazione dei bisogni “vissuti ed interpretati” dall'organizzazione stessa.
Il limite più generale dei tentativi esperiti in tali direzioni è stato quello di definire “i bisogni della scuola” sulla base di una sorta di “ideal tipo” di scuola immaginato e di tradurre tutto in circolari o in normativa, a volte di origine pattizia, che afferma soluzioni erga omnes.
È compito della specifica organizzazione interpretare i propri bisogni organizzativi e le possibili risposte ad essi. Il compito dell'Amministrazione, per essere più chiari, non può che esprimersi attraverso una normativa di tipo promozionale ed incentivante, dunque non prescrittiva, e nel mettere a disposizione risorse da utilizzare con la flessibilità necessaria.
3. Il lavoro “produttivo” in aula
Si è già ripetuto che le potenzialità di flessibilizzazione dei modelli operativi nella scuola sono senza dubbio più ampie dell'esplorazione che finora ne è stata tentata anche dalle esperienze più innovative.
Il lavoro d'aula potrebbe essere riorganizzato con un grado di flessibilità pari al 100%, quanto a involucri temporali (gli orari di lezione, le cadenze settimanali, mensili, annuali), ai modi (la classe, i gruppi per affinità, per età, per progetto, per livelli, per opzioni), agli spazi (l'aula, il laboratorio, l'esterno, lo stage).
Per contro la tradizione è quella che, dall'inizio dell'anno ogni classe ed ogni insegnante sappia in anticipo ciò che si farà quel giorno della settimana, a quell'ora, per tutto l'anno.
Tutto ciò ha la dimensione del rituale organizzativo (“si è sempre fatto così”), con la doppia funzione di dare sicurezza agli interessati, da un lato, e di deresponsabilizzare gli stessi circa la ricerca delle soluzioni più efficaci.
Intervenire su quest'ambito di flessibilizzazione
organizzativa è particolarmente difficile perché è
operazione che non riscrive necessariamente ruoli e confini di ruolo, come le precedenti, ma passa attraverso le interpretazioni consolidate e gli immaginari propri del ruolo del docente.
Alcune cautele
Si devono comunque porre alcune osservazioni di cautela.
In primo luogo, e come è ovvio, su tale versante si incontrano le più diffuse sedimentazioni di significato circa l'interpretazione del ruolo del docente, nel suo rapporto con la “sua” classe, con il modo di interpretare la “sua” disciplina, con le cadenze temporali certe delle “sue” prestazioni. Già un tentativo come quello della modularizzazione della didattica che richiede la si articoli in unità autoconsistenti per progettare e realizzare le quali è senza dubbio necessario intrecciare le competenze di progettazione e di esecuzione di più docenti, richiederebbe di superare una sorta di feticcio ancora operante come “la continuità didattica”. Si può superare il gruppo classe, l'orario settimanale, la sgranatura annuale della programmazione, ma per ciascuno di questi passi occorre un'attenta valutazione costi benefici.
In secondo luogo, mentre la padronanza dell'organizzazione sui propri modelli operativi è pressoché totale, unici vincoli il monte ore complessivo, la valutazione finale e la comunicazione con le famiglie, non altrettanto lo è la padronanza dell'istituzione scolastica sul proprio personale. Gli organici sono per quantità e composizione determinati “da fuori” e sulla loro scelta l'organizzazione può influire molto poco. Mentre per la quantità ciò è comprensibile trattandosi comunque di impiego pubblico con garanzie di distribuzione equa e compatibile delle risorse, sulla composizione qualitativa il vincolo è particolarmente gravoso. Alcuni tentativi sperimentali, difficili e,
per altro, troppo in fretta abbandonati, come il cosiddetto “organico funzionale”, stanno a dimostrare
che sarebbe possibile una determinazione della composizione del personale sulla base del modello organizzativo della didattica, della specificità progettuale e della valutazione complessiva delle competenze
reali presenti nell'organizzazione con margini un poco più ampi nella gestione del personale secondo le necessità proprie e i modelli organizzativi propri.
Ciò segnala un limite “istituzionale” dell'autonomia scolastica stessa: essa ha, da un lato, un riconosciuto rilievo costituzionale, ma non riesce, dall'altro, ad essere utilizzata amministrativamente come parametro di distribuzione del personale e delle risorse finanziarie che, invece, rimangono incardinate su procedure amministrative centralizzate e largamente indipendenti dalla configurazione reale delle organizzazioni.
Franco De Anna
|
|
|