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Ripensare il ruolo dell'insegnante
Dopo avere presentato le potenzialità e i rischi di un sistema di istituzioni scolastiche autonome, l'autore individua nella professionalità docente lo strumento per migliorare l'offerta formativa.
I dati dell'indagine PISA-OCSE sulle competenze degli studenti italiani sono a dir poco deprimenti. È dunque necessario correre ai ripari, chiedendosi cosa sia veramente necessario alla scuola italiana del 2008 per uscire dal suo stato di crisi: non abbiamo la presunzione di rispondere esaustivamente ad una domanda così impegnativa, ma vorremmo provare a stilare una sorta di indice degli argomenti su cui riflettere concretamente, con uno sguardo alla nuova condizione di autonomia in cui si trovano ad operare le istituzioni scolastiche, che costituisce certo una potenzialità, ma anche un rischio di anarchia inconcludente se si perde di vista il progetto formativo complessivo.
Potenzialità e rischi
dell'autonomia scolastica
Negli ultimi anni il termine “progetto” è entrato di prepotenza nel linguaggio scolastico. I progetti si sono moltiplicati, nascendo spesso dalla collaborazione fra la scuola ed agenzie esterne. Il discorso sarebbe molto ampio e comporterebbe una discussione sulla reale valenza delle singole iniziative, nonché sul rischio di un'abdicazione al proprio ruolo da parte della scuola che in alcuni casi sembra voler appaltare ad altri pezzi di formazione. Qui ci interessa invece avanzare un'osservazione più generale. L'autonomia scolastica che in questi anni si è venuta affermando consente di modulare l'offerta formativa dei singoli istituti in funzione delle diverse esigenze in riferimento alle quali esso si trova ad operare, e ciò costituisce un aspetto positivo; così come è in sé positivo il fatto che, proprio in funzione dell'autonomia, la programmazione delle singole discipline e quella di carattere pluridisciplinare e multidisciplinare si arricchiscano attraverso la realizzazione di progetti. Non si può tuttavia sfuggire all'impressione che, in alcuni casi, i progetti siano proliferati in maniera disordinata, rischiando di far venir meno la costruzione di solidi assi culturali, di cui la formazione degli studenti ha enorme bisogno. Sarebbe quindi necessario ripensare il ruolo di tali progetti, in modo che essi si inseriscano effettivamente in un lavoro più complessivo di cui siano ben individuate le finalità e le strutture generali: insomma,
per dirla con una battuta, si dovrebbe evitare che i progetti finiscano per vanificare il progetto. Più in generale, occorre combattere una certa tendenza alla frammentazione del processo formativo, che si manifesta fra l'altro nella moltiplicazione delle materie,
che andrebbero invece ricondotte il più possibile agli ambiti disciplinari fondamentali, essi stessi non
limitati al “disciplinarismo” ma modulati nelle loro reciproche relazioni.
Ridefinire il ruolo degli insegnanti
Quale può essere il ruolo degli insegnanti in una simile situazione? E su cosa devono essere formati i docenti della scuola italiana? Le trasformazioni degli ultimi anni, in particolare la diffusione delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, hanno indotto una profonda trasformazione nelle stesse funzioni del sistema di istruzione. Fino a non moltissimo tempo fa la scuola era la principale agenzia di formazione presente nella società, dalla quale i giovani traevano la maggior parte delle informazioni e delle competenze di cui entravano in possesso: compito della scuola era pertanto essenzialmente quello di fornire la maggior quantità possibile di nozioni. Oggi la situazione è radicalmente mutata e, soprattutto per le nuove generazioni, Internet è diventato la principale fonte di dati. Sul fronte della quantità di informazioni, la scuola non ha la minima possibilità di competere con la Rete e prima se ne renderà conto, meglio sarà. Ciò non significa affatto che il sistema scolastico abbia esaurito la sua funzione all'interno delle società moderne e si stia avviando verso un inesorabile tramonto. È vero semmai che i compiti che si trova ad affrontare risultano del tutto nuovi, se non addirittura capovolti, rispetto al passato: oggi la funzione fondamentale della scuola sta diventando sempre più quella di fornire alle giovani generazioni gli strumenti per discernere nel mare magnum di Internet le informazioni attendibili da quelle infondate, i dati essenziali da quelli inutili e pleonastici. Si tratta di sviluppare competenze complesse che hanno che fare innanzitutto - nella nuova situazione in cui i dati a disposizione sono ormai troppi e non più troppo pochi - con la capacità di selezione e, ad un livello più elevato, con una più generale ermeneutica dell'informazione. Sembra dunque che si debba sempre più puntare sul metodo anziché sui contenuti sia nell'ambito dell'insegnamento sia, di riflesso, in quello della formazione dei docenti. A questo proposito, tuttavia, vorremmo fare qualche precisazione su ciò che si intende per metodo, e, più specificatamente, sulla questione del rapporto fra metodo e contenuti, per evitare di cadere nel “metodologismo”. Per ogni disciplina di studio e di insegnamento non si può dare metodo senza contenuti e, in primo luogo, esistono contenuti disciplinari che rivestono per la loro importanza un valore anche metodologico: per fare un esempio, la conoscenza del pensiero di Platone ed Aristotele è sicuramente questione di contenuti, ma essa risulta indispensabile per una reale comprensione di gran parte della riflessione filosofica successiva, finendo per rivestire una valenza anche metodologica; in altri termini, i principali concetti elaborati da quei pensatori costituiscono strumenti del mestiere della conoscenza filosofica e dunque dell'insegnamento e dell'apprendimento della filosofia. Analogo discorso vale per le competenze: è necessario evitare che quello delle competenze diventi un motto sostanzialmente privo di contenuti o, peggio, una moda: non esistono competenze senza contenuti o, quantomeno, senza la conoscenza di quei contenuti che costituiscono gli assi portanti delle diverse discipline, i nodi attorno ai quali esse si costituiscono e di conseguenza gli attrezzi che consentono di applicare le conoscenze. Ci sembra, dunque, che la questione centrale della formazione e dell'aggiornamento dei docenti debba tornare a costruirsi attorno alla conoscenza dei contenuti, quella conoscenza reale
e fruttifera che non ha carattere meramente enciclopedico, ma consente di muoversi attraverso i contenuti stessi, di sceverare nel loro ambito i nodi tematici
fondamentali e quindi di individuare ed utilizzare
concretamente gli strumenti necessari alla loro applicazione didattica.
Oltre la cultura umanistica
e quella scientifica
Per rimanere in tema di contenuti, l'ultima indagine PISA-OCSE ha evidenziato la drammatica carenza di conoscenze e competenze in ambito scientifico. Non vorremmo qui insistere troppo su questo tema, non certo perché scarsamente importante, quanto piuttosto perché sotto gli occhi di tutti. È semmai interessante osservare come, più ancora, o comunque al di là, della mancanza di informazione pesi sulla scuola italiana l'assenza di una vera e propria cultura scientifica. Non si intende certo trascurare il problema di un aggiornamento dei contenuti e dei metodi dell'insegnamento delle scienze matematiche, fisiche e naturali, sempre più e più di altre chiamate a tenere il passo con uno sviluppo impetuoso delle conoscenze. Piuttosto, si vuole portare l'attenzione su un difetto per alcuni versi anche più profondo del sistema scolastico ed in generale degli ambienti culturali del nostro paese. La scuola e la società italiana risentono infatti di una tendenza alla marginalizzazione delle scienze che affonda le proprie radici in tempi remoti. Certo, lo scienziato viene spesso ammirato, a volte con sfumature di banalizzazione tardopositivistica, ma non viene accettato fino in fondo nel palazzo ideale della cultura: la scienza, insomma, è in genere considerata soprattutto una tecnica, utile per le sue applicazioni pratiche; quand'anche le si concede la dignità di conoscenza, si stenta a riconoscerle il ruolo di pilastro fondamentale della cultura accanto alle discipline umanistiche ed a pari merito con loro; meno ancora si è pronti ad un reale superamento del vecchio discrimine fra umanesimo e scienza, quasi vigesse la convinzione che in fondo essi si escludano sostanzialmente a vicenda. A conferma di quanto detto vorremmo
sottolineare un aspetto di costume: una persona incapace di citare, ad esempio, i titoli di almeno qualche composizione di Leopardi sarebbe considerata un
emerito ignorante, mentre un analogo giudizio non è riservato a chi confessi di non conoscere anche le più elementari nozioni scientifiche; quanto alla matematica, la dichiarata incompetenza in tale disciplina è ancora oggi quasi la cifra orgogliosa di chi voglia essere considerato un autentico uomo di cultura. Tale situazione si ripercuote all'interno della scuola: al di là della carenza di conoscenze e competenze specifiche (su cui bisognerebbe aprire un discorso puntuale), non si può non rilevare il sostanziale isolamento in cui le discipline scientifiche sono ancora troppo spesso confinate rispetto al progetto culturale e formativo complessivo. È anche e soprattutto tale deficit culturale che andrebbe combattuto e superato ripensando la funzione dell'interdisciplinarietà anche fra gli ambiti - se
proprio vogliamo continuare ad usare tali superate distinzioni - umanistico e scientifico: per inciso, merita ricordare che analoghe problematiche riguardano anche altri importanti ambiti disciplinari, quale quello musicale, sostanzialmente assente dalla scuola italiana.
Il riconoscimento alla professionalità
docente
Ma torniamo ai docenti, che dovrebbero essere i principali attori, insieme agli studenti, delle prospettive sopra suggerite. Qualsiasi ipotesi di miglioramento della formazione scolastica non può non fondarsi sul concreto impegno degli insegnanti,
della cui professionalità è indispensabile prevedere reali forme di riconoscimento, anche di carriera e di stipendio. È indubbio che tale riconoscimento deve passare anche attraverso meccanismi di valutazione del lavoro dei docenti, ma crediamo che
la strada timidamente intrapresa in tale direzione e che anche alcune organizzazioni sindacali vorrebbero potenziare debba essere almeno parzialmente corretta. Tutti i meccanismi di incremento delle retribuzioni e tutte le ipotesi di carriera oggi in discussione sono infatti esclusivamente incentrate su quanto si fa di più (corsi di recupero, ecc.) o di diverso (svolgimento di ruoli intermedi fra docente e dirigente scolastico) rispetto alla normale attività di insegnamento. Pur non volendo sminuire l'importanza di quelle funzioni, siamo convinti che sia necessario individuare forme di valutazione e di significativa incentivazione economica e professionale della specificità della docenza, del concreto insegnare, che resta, al di
là delle mode del momento, il principale pilastro del sistema scolastico e la fondamentale attività su cui conviene scommettere per garantire il successo formativo.
Marco Chiauzza
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