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La pertica

Qualcuno lo chiamava secchione, con sarcasmo, invidia, forse con ammirazione, ma a Umberto quell’epiteto non piaceva, perché secchione è chi il secchione fa, chi sta tutto il giorno a imparare a memoria e poi ripete a pappagallo le cose studiate. A Umberto veniva facile assimilare concetti e nozioni serviti a scuola e non aveva bisogno di perdere tempo sui libri. E poi ci teneva a essere accettato dai compagni, a non essere diverso da loro, e quindi fingeva di avere le solite paure: interrogazioni a sorpresa, impreparazioni e brutti voti.
Ma c’era qualcosa che inquietava davvero Umberto: l’ora di ginnastica con i suoi impossibili esercizi al quadro svedese, le capriole, i salti mortali, le pertiche.
Egli odiava qualsiasi azione che implicasse la perdita della posizione verticale così faticosamente conquistata da un suo antenato non ancora erectus, e chi era lui per vanificare questa vittoria dell’Uomo?
Se la testa è lassù, perché la devi ficcare tra le gambe per fare una capriola? Perché le chiappe dovrebbero stare più in alto della testa? Per non parlare di staccare i piedi da terra per appendersi a scivolose pertiche o ignobili corde.
Lui si sforzava, detestava fare la figura dell’imbranato, ma tutta la sua volontà e i pochi muscoli dei dodici anni non bastavano a farlo a salire oltre metà pertica.
Ma poi, tra una goffa arrampicata e una capriola sbilenca, l’ora di ginnastica finiva e, dopo tre anni, finirono anche le medie e arrivarono gli esami di idoneità.
Un pomeriggio, mentre Umberto stava ripassando per gli orali, squillò il telefono. Rispose sua madre: “Come? Non so. Aspetti che lo chiamo. Umberto! C’è la segretaria della scuola!
Sì, pronto?
Ciao Umberto. Non è che ti sei dimenticato qualcosa?
Non credo, perché?
Stamattina non avevi l’esame di ginnastica?
Oddio! Me lo sono scordato! Mi bocceranno! Umberto sudava freddo e le gambe gli tremavano, proprio come quando affrontava le pertiche. Possibile che la maledizione della ginnastica colpisse così duramente?
E adesso che faccio?
Non ti preoccupare, - rispose la voce per non farlo friggere troppo a lungo nello strutto della paura - il professore ti farà l’esame domani alle 10.
Da solo?
Da solo.
Grazie.
Tutto sommato non era una cattiva notizia: poteva fare l’esame senza nessuno a ridere delle sue prestazioni atletiche.
La mattina dopo fu puntuale. Il professore gli fece fare un po’ di corsa, qualche esercizio a terra, qualche palleggio sotto canestro e poi lo fece avvicinare alla pertica.
Eccoci qua - pensò Umberto. - Io e te da soli: coraggio!
Impugnò con decisione la pertica e si sentì subito più leggero del solito, posizionò gambe e piedi come da manuale e, tirando con le braccia e spingendo con le gambe, pian piano si sollevò fino al fatidico traguardo della barra orizzontale, lassù nel cielo della palestra; la toccò e ridiscese subito per gustarsi il trionfo. Era la prima volta che ci riusciva, proprio durante l’esame e proprio quando non c’era nessuno ad ammirare la sua più grande impresa scolastica.
Bravo Umberto, - gli disse il professore - vuoi fare anche la corda?
Non esageriamo, prof. Credo che possa bastare.
Va bene, puoi andare. E buona fortuna.
Il professore tese la mano, Umberto tese la sua ancora arrossata per lo sforzo e i due se le strinsero vigorosamente.
Proprio come fanno i veri uomini.

Gianni Barbieri

 

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