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Paure di scuola

Timori diversi agitano tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo. Alla scuola il difficile compito di equilibrare il percepito di ognuno e di creare le condivisioni di crescita.

Che non tiri un’aria molto buona per la scuola e nella scuola non è certo una scoperta di questi mesi. Ed è altrettanto chiaro che questo può essere considerato insieme il risultato e la causa di disagi che toccano non soltanto le singole popolazioni – in primo luogo alunni ed insegnanti – che la abitano, ma la casa stessa (il luogo fisico, istituzionale, operativo e relazionale) che ne ospita la presenza fattuale, cioè il ‘sistema scuola’ come tale.

Tratti

I dati significativi di un disagio e di un processo di disaffezione psicologica e critica non mancano e devono far riflettere. La scuola non attira, non motiva un investimento convinto di energie e di sforzi, non regge il confronto con altre (più nuove e più ricche) forme della comunicazione e della professionalità pedagogica; in sostanza, non piace.
Già nel 1991 questa era, in definitiva, la diagnosi centrale di uno studio americano (M.D. Le Compte - A.G. Dworkin, Giving Up on School, P. Corwin, Newbury) sull'abbandono da parte sia degli studenti che degli insegnanti, nella quale si delineava una generale sensazione di impotenza, insignificanza, isolamento personale, estraniazione culturale ed individuale, disillusione delle aspettative, inefficienza, assenza di criteri affidabili, scarsa rilevanza sociale, insufficienza di risorse, carenza di leadership. L'interessante, poi, è che questi fattori operano pressoché allo stesso modo sia per gli alunni che per gli insegnanti, i quali ultimi, comunque, restano “intrappolati” (è il termine che usano) nel loro lavoro per il 71% dei casi: con quale soddisfazione, per loro e per gli altri, è facile immaginare.
Ricordo poi, per stare in casa, la provocazione (2015: fine della scuola?) lanciata nel Convegno del 26 novembre 2004 alla Fiera di Genova e ripresa da Tuttoscuola nel numero di dicembre dello stesso anno.
Vediamo gli elementi di fatto assunti per giustificarla:
• la frattura intergenerazionale basata sull’insofferenza dell’adolescente, sulla perdita di credibilità e di senso dell’istituzione scuola, sulla sua incapacità di comunicare se stessa, di usare linguaggi e strumenti diversi;
• il gap multimediale che tocca pesantemente “la funzione egemonica” della scuola nella trasmissione del patrimonio culturale e si avvia a una sorta di ritorno… al primato della conoscenza attraverso la vista e l’udito e quindi al primato dell’‘intelligenza simultanea’ nei confronti di quella ‘sequenziale’;
• le possibilità di studio domestico che mettono in evidenza non tanto la fiducia nelle nuove tecnologie quanto la sfiducia nella scuola pubblica, accusata di essere rigida, burocratizzata, inefficiente e poco sensibile alle esigenze delle famiglie;
• l’usura degli insegnanti che porta ad una disaffezione e ad un distacco professionale che inficiano a fondo il rapporto stesso con gli scolari e che denotano un disadattamento profondo alle caratteristiche costitutive stesse della condizione di lavoro;
• la multietnicità in virtù della quale culture e religioni diverse cominciano a incontrarsi sempre più sui banchi di scuola e la cui integrazione richiede competenze nuove e sostegni organizzativi diversi e porterà a stabilire la presenza di nuove figure;
• il tasso di invecchiamento giunto ormai a livelli demograficamente imponenti e tale da far ipotizzare un probabile spostamento della spesa pubblica in direzione dei servizi per gli anziani piuttosto che dell’investimento a favore dell’istruzione e della formazione dei giovani;
• lo scarso raccordo con il mondo della produzione nel quale le imprese appaiono sempre più tentate di dar luogo a proprie agenzie di formazione;
• la crescente importanza dell’educazione degli adulti in cui dovrà essere dato ampio spazio agli apprendimenti non formali provenienti da ogni settore pubblico o privato.
Se non si interverrà con decisione su questi piani – è la conclusione – la scuola non troverà terreni di persistenza: come si fa a rimanere tranquilli di fronte a previsioni di questo genere? Se non è paura questa…

Effetti

Quanto richiamato - che tocca, evidentemente, la dimensione di sistema - è più che sufficiente a delineare il contenitore complessivo dell’argomento che stiamo analizzando, ma lascia comunque il posto a qualche considerazione rivolta a dinamiche più sottili ed individualmente rilevabili. Con un’avvertenza generale a prendere timori e paure non tanto come indicatori di difetti quanto come segnali di impegno.
Parliamo allora degli attori.

Gli alunni

Credo che non sia difficile riscontrare il ricorrere di una serie di rilevazioni certamente significative ma altrettanto sicuramente contraddittorie fra di loro:
• timori di ostilità preconcetta (i grandi ce l’hanno comunque con noi…), di pregiudizio svalutativo (ci ritengono tutti ignoranti e lazzaroni…), di indifferenza (non ci ascolta nessuno…), di disinteresse (di noi se ne fregano…), di aggressività (fanno apposta e metterci in difficoltà…): si tratta di timori relativi alla sfera del bisogno di accoglienza e di rassicurazione affettivo-relazionale, la cui importanza cresce (non diminuisce) con il crescere dell’età e che portano la scuola a venire progressivamente inclusa nelle realtà di abbandono piuttosto che in quelle di sostegno;
• timori di insuccesso, di affaticamento, di infelicità, di perdita del senso del valore personale: va ricordato che la scuola non ha il solo compito di mettere alla prova, ma anche quello di mettere in condizione di poterla ragionevolmente affrontare e superare. Bisogna essere molto chiari e dire che le terapie della severità programmatica, della bocciatura fissa (se siamo seri una percentuale stabile di alunni deve essere bocciata ogni anno…) e della selezione dura non risolvono la questione del rapporto fra giustizia e serenità.

I genitori

Anche in questo caso le notazioni non sono rare:
• timori di scarsa preparazione per il futuro, di non competitività nei confronti di sentieri formativi più rapidi ed efficaci, di non funzionalità rispetto alle attese ed agli obiettivi della famiglia (un esempio tratto da una recentissima ricerca internazionale: i genitori dei bambini stranieri desiderano una scuola rigorosa e centrata sugli apprendimenti alfabetico-linguistici e si curano molto meno degli aspetti ‘carezzevoli’ del trattamento scolastico; vogliono che i loro figli siano garantiti in vista della competizione sociale futura); mi pare che ci sarebbe molto da dire a proposito del bisogno di dimostrare (non soltanto di asserire) la propria efficacia e di risolvere dialogicamente la diversità dei punti di vista per arrivare ad intendersi ed a capirsi;
• timori di non trovare corrispondenza con le proprie visioni della vita: occorrono regole chiare, ma occorrono anche confronti aperti e mediazioni mature;
• timori di venire, in qualche modo, ‘giudicati’ più che compresi ed aiutati dalla scuola: dinamica sottile e difficilmente espressa ma, mi permetto di segnalare, molto più presente di quanto sembri e comunque non ignorabile.

Gli insegnanti

Si può soltanto proporre qualche ulteriore scandaglio rispetto a quanto è già compreso nei passaggi precedenti:
• timori di inadeguatezza al compito: anche in questo caso, si tratta di reazioni quasi sempre velate o taciute ma non di meno presenti, per le quali vanno chiamate in causa, prima di tutto, le insufficienze e le ingannevolezze dell’accostamento alla carriera (illusioni di facilità, scarsissima preparazione didattica, autoinganni di orientamento) e, soprattutto, la scoraggiante costatazione di un ascolto e di un prestigio non presupposti e garantiti, ma da conquistare con la testimonianza di ogni giorno;
• timori di spiazzamento e di irrilevanza: perdita di centralità reale nella vita dei ragazzi, isolamento nei confronti delle famiglie, debolezza nei confronti delle altre agenzie formative;
• timori di esilità culturale e storica: sensazione di inesistenza decisionale, costatazione di una posizione di prevalente richiesta-consegna di compiti piuttosto che di un rilievo professionalmente pieno e autorevole; timori di disconferma continua: tutte le prerogative e le attribuzioni degli insegnanti appaiono discutibili, revocabili, opinabili, non protette da riserve di competenza e di incontestabilità. Immaginarsi forti e scoprirsi deboli: forse è qui il nodo della questione.

Riprese

Non ci si può, però, fermare qui, per cui ritengo utile riprendere qualche messaggio di meno scoraggiante tenore.
Il recupero fondamentale consiste nel ricostruire il senso della scuola come tensione fra l’educazione come promozione dell’autorealizzazione personale sul piano individuale e come creazione di una ‘civitas’ morale collettiva (J.I. Goodlad (1997), In praise of education, Teachers College Presse, New York), in cui la scuola si profila come comunità democratica caratterizzata da una “ecologia umana totale”, dove ogni componente della vita civile deve essere autoconsapevolmente educativa ed “i principi pedagogici dovrebbero contraddistinguere l’attività quotidiana riscontrabile nel far crescere il multilaterale flusso educativo entro ed attorno allo spazio civile”.
Mario Morcellini (I. Cortoni, M. Morcellini (2007), Provaci ancora, scuola, Centro studi Erickson, Gardolo) lancia un suo messaggio in controtendenza rispetto alla prevalente negatività dei discorsi circolanti. La chiave di volta sta, a suo parere, nello stabilire un nuovo rapporto fra la scuola e la comunicazione volto a ritrovare, attraverso un’alleanza con i media, una propria funzione forte di fronte alla loro incapacità di “garantire stabilità e sicurezza emotiva alle persone”. La scuola, infatti, “va oltre l’istruzione o la trasmissione delle conoscenze; la scuola infonde modelli di comportamento, stimola nel ragazzo lo sviluppo del senso sociale, del rispetto dell’attività, della convivenza e delle norme civili” - parole dal sapore antico che il pedagogista si vede ritornare dagli insospettati lidi della sociologia. Occorre, in definitiva, sviluppare una nuova cultura educativa della comunicazione nella quale “gli insegnanti non possono essere solo ‘educatori della mente’ ma ‘educatori dell’anima’”.
Sempre secondo lo stesso autore (M. Morcellini (2004), La scuola della modernità, Angeli, Milano), le prospettive connesse alla multimedialità, lungi dal distruggerlo, affidano al sistema educativo “la costruzione di una nuova e più salda mediazione culturale, parallela a quella dei mezzi di comunicazione e capace di integrarsi con essa, in grado di azzerarne asimmetrie e sperequazioni sul piano della capacità cognitiva e partecipativa degli individui”.
Va messa nel conto, allora, la differenza che passa fra un’idea morale e psicopedagogica della scuola ed una soltanto sociale e produttiva. Più che assegnarle un termine di sopravvivenza si tratta, allora, di inserirla in un quadro di maggior difesa e di maggior rispetto, per far sì che essa, piuttosto che scomparire, possa rimanere: senza paure.

Cesare Scurati

 

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