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Édito
Più e meno – Settembre e scuola. Un abbinamento oggi inevitabile, eppure anche solo trenta anni fa
non era così: il primo ottobre di cui già ci parlava l’Enrico di De Amicis era il fatidico giorno dell’inizio delle lezioni per i ragazzi italiani. Oggi più ragazzi studiano di più, per più giorni all’anno e per più anni, studiano anche più adulti, provenienti da più paesi, si confrontano a più discipline, a più lingue, ricorrendo a più fonti e a più strumenti. Ma la scuola vale meno, il suo ruolo è fortemente discusso, criticato, giudicato debole se non del tutto insufficiente. La preparazione dei diplomati, degli stessi laureati valutata carente, non adeguata. Eppure, dall’anno scolastico 2000/2001 ad oggi, la percentuale dei diplomati è aumentata di più di quattro punti, passando dal 67,4% al 71,7%; se si confrontano poi i dati della popolazione tra i 45-54 anni con quella dei giovani tra i 20 e i 24 anni si scopre che solo il 25,5% tra i primi aveva acquisito un diploma, mentre tra i secondi la percentuale sale al 63,5% (dati MIUR), al tempo stesso, ancora il 23,5% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni non sta frequentando nessun corso di studi o di formazione, a fronte di una media UE del 15,9%. Per quanto riguarda lo studio delle lingue, in base all'ultima indagine Eurobarometro, i Paesi europei che possono vantare cittadini almeno bilingui (in grado, cioè, di conversare in un'altra lingua rispetto alla propria) sono Lussemburgo (99%), Lettonia, Malta (93%) e la Lituania (90%), mentre Francia (45%), Spagna, Italia (36%) e Inghilterra (30%) sono ancora sotto la media UE del 50%.
Tuttavia, l’idea che i nostri ragazzi stiano più tempo a scuola per saperne di meno serpeggia e alimenta luoghi comuni (mio figlio è diplomato, ma ne sa meno di me che ho fatto la vecchia media!), paludati dibattiti, chiassosi articoli di giornale e può anche essere occasione per legittimare riduzioni di finanziamenti, per invalidare l’impegno di chi nell’insegnare e nell’apprendere spende le sue energie: per trasformare il più in meno.
È ovvio che un giovane diplomato sappia meno di un adulto sperimentato e provato, meno ovvio è
confrontare il contesto di potenzialità che si offriva ai ventenni trenta anni fa (forte sviluppo economico, possibilità di impiego, prime concessioni ai consumi) con le difficoltà che incontrano i giovani oggi (recessione, concorrenza internazionale, innalzamento dei livelli richiesti di competenza). Il meno di oggi è
forse anche frutto di tutto il più di cui apparentemente possiamo disporre con facilità: eccesso di informazioni, proliferare delle interpretazioni, sollecitazioni consumistiche continue e all’interno del quale è sempre più difficile costruire un sé positivo e sufficientemente forte.
A valutare la formazione dei giovani, e di conseguenza la scuola, sono oggi migliaia di adulti, che devono fronteggiare le contraddizioni di un mondo del lavoro in rapidissima evoluzione, sovente espulsivo, che non riesce a trovare un giusto equilibrio tra il prolungamento del periodo di attività favorito da un invecchiamento intellettuale e fisico posticipato e l’inserimento delle nuove energie; tra adulti che non sempre aspirano alla pensione e che vorrebbero continuare a spendere le competenze acquisite e a mantenere uno status attivo e riconosciuto e giovani, sovente costretti alla condizione di “bamboccioni”, che trovano nello studio un’occupazione solo culturalmente produttiva e accedono ad attività precarie, poco retribuite in termini economici e sociali. L’attitudine a valutare negativamente la scuola e i suoi insegnamenti può essere allora letta come una delle molte sfaccettature con cui l’adultità si difende dalla giovinezza?
« Cette jeunesse est pourrie depuis le fond du cœur. Les jeunes gens sont malfaisants et paresseux. Ils ne seront jamais comme la jeunesse d’autrefois. Ceux d’aujourd’hui ne seront pas capables de maintenir notre culture ». Questa modernissima affermazione è la traduzione di un’iscrizione scoperta su di un vaso in argilla tra le rovine di Babilonia.
Riconoscere la complessità e l’incertezza, continuare ad attribuire alla scuola, con crediti economici e sociali, il ruolo di costruttrice di futuro, non trasformare i più in meno ci può aiutare ad affrontare con determinazione il nuovo anno scolastico.
Geneviève Crippa lascia il suo lavoro in redazione. Ci mancherà, per la sua attenzione, la sua profondità, la sua ricerca di senso e la sua cura del dettaglio. A lei, pensionata debuttante, e a Bianca Zoe, piccola
donna debuttante, figlia di Chiara Del Missier, il nostro grafico, auguriamo buona fortuna. Dal prossimo numero, collaborerà con noi Vito Specchi, professore di francese all’Istituto d’arte e, da settembre, distaccato a L’école valdôtaine.
Giovanna Sampietro
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