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Parlami di te
Sul numero 2 di febbraio 2009 della rivista Dirigere la scuola, un articolo di Ivana Summa (dirigente scolastico e collaboratrice abituale della pubblicazione) dal titolo Narrare la nostra scuola coniuga il complesso tema della narrazione in relazione all’autovalutazione del servizio, sottolineando la significatività dell’argomento affrontato anche dai nostri collaboratori nelle pagine successive e declinandone un’ulteriore sfaccettatura.
La narrazione, come ricorda J. Bruner, è la modalità attraverso la quale i soggetti ricercano e costruiscono significati. Ogni racconto offre una lettura interpretata di fatti, persone, teorie, consente di riandare al passato, di indagare il presente e di progettare il futuro. La scuola, dunque, è luogo di narrazione, di sapere, di relazioni, di cambiamenti. Raccontare ad un alunno i suoi insuccessi, ricordarglieli, sicuramente nella convinzione di aiutarlo a superarli, può anche significare restituirgli un’interpretazione di sé che allontana la speranza, giocare nei suoi confronti il ruolo di pigmalione negativo. Raccontare, al termine delle lezioni, che “Anche oggi il vostro comportamento è stato negativo” contribuisce a definire prototipi di studenti che non si riconoscono la capacità di cambiare, che ne perdono soprattutto la voglia. I racconti degli insegnanti, che hanno la funzione di elaborare l’esperienza scolastica attraversandola criticamente, non potranno articolarsi solo intorno a presentazione di contenuti, registrazione di atteggiamenti, segnalazioni di disallineamento rispetto alle regole, ma dovranno restituire agli alunni le loro potenzialità, individuare per ognuno gli spazi di miglioramento, costruire legami di senso tra le storie dei ragazzi e i contenuti disciplinari.
Il racconto attento e valorizzante che l’insegnante fa del lavoro svolto in classe e dei suoi alunni piano piano deve diventare parte della storia che anche gli alunni si
raccontano, insinuandosi positivamente tra le cronache terrifiche (“Siamo i peggiori
della scuola!”) che a volte sostituiscono narrazioni più realistiche. Particolare attenzione va posta alla comunicazione che la scuola fa ai genitori. Quale racconto costruire per captare la collaborazione delle famiglie, soprattutto di quelle più refrattarie alle responsabilità educative? Un repertorio di azioni scorrette, con implicite sottolineature della maleducazione del ragazzo, figlio loro e da loro educato? Le risposte più frequenti che si ottengono sono “Se ha dimenticato il compito è colpa mia che...”, “Il ragazzo ha reagito a provocazioni da parte dei compagni, dell’insegnante...”, sono racconti di tipo giustificatorio che si oppongono alle considerazioni degli insegnanti e che non colmano la distanza tra la scuola e la famiglia. Le storie narrate dalle famiglie e quelle esposte dalla scuola devono intrecciarsi, altrimenti è come se avessero protagonisti diversi (“Non riconosco mio figlio in quello che lei mi dice”) e, quindi, nessuna interazione possibile. L’unico punto di contatto possibile è credere nel lieto fine, ricostruire gli episodi che hanno visto il nostro eroe trionfare (un sei meritato, un atto di solidarietà...) e concordare azioni di rinforzo.
In generale, la scuola dovrebbe raccontarsi ed essere raccontata meglio, anche per rinforzare e motivare chi ci lavora con serietà e passione, inutile ricordare che tutti gli articoli che noi pubblichiamo hanno proprio questo intento.
Questo numero vede un avvicendamento nella segreteria della redazione. Gabriella Giordano che è stata con noi per anni ed ha collaborato alla buona riuscita di tanti numeri va a lavorare in un altro ufficio. Ne approfittiamo per ringraziarla infinitamente.
Con l’occasione, vogliamo anche presentare la nuova segretaria di redazione, Barbara Vuillermoz. Siamo certi che inizierà una proficua collaborazione.
Giovanna Sampietro
Sul come e il perché |
Siamo al sicuro, tra le mura del castello. Le mura sono alte, fatte di solida pietra e svolgono egregiamente la loro funzione. Tengono il mondo al di fuori. Così attraversiamo la vita, circondati dalle mura del nostro castello, osservando sovente chi c’è dall’altra parte.
Spesso la paura, la diffidenza ostacolano il nostro rapportarci con
chi vive lontano da noi. Da qui il titolo della raccolta di immagini proposte in questo numero, Cento Passi, la distanza simbolica. Perché
i castelli possono essere collegati da un filo sospeso su cui si può camminare, accettando il ruolo inconsueto di funamboli, sfidando il senso di vuoto, la paura di cadere, per andare a vedere chi sta vivendo vicino a noi. Questo è il gioco proposto. Anche se può risultare difficile decidere di salire su quella corda tesa.
Possiamo parlare di Coraggio. E di Fiducia. Questo è il percorso. Cento Passi possono bastare.
Raffaella Moniotto |
Lievitatore di nostalgie |
A dire cielo
non si racconta
Ci sono nuvole che corrono
ed azzurri
rossi
gialli violenti
e strisce
lunghe tracce di aerei
E monti illuminati
bui
senza accenti
delicati
violenti
E le storie li percorrono
rigide
sempre nuove
Ma
a dire cielo
non si racconta
Bruno Fracasso |
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