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Remake

Pinocchio in Valle d’Aosta, una divertente riscrittura del testo collodiano.

Un falegname valdostano, cercando pezzi di legno da scolpire per la Fiera di Sant’Orso, legge su internet un annuncio lasciato da un tal Mister Ciliegia e decide di comprare all’asta di e-boy un bel tronchetto di legno in vendita a 20 euro…
C’è un libro in cui si intrecciano una fiera millenaria appartenente alla più antica tradizione valdostana e vendite su internet: è Pinocchio in Valle d’Aosta,1 frutto di un lungo lavoro di gruppo che ha coinvolto diverse classi della scuola primaria di Pont Suaz, riscrittura sotto forma di attualizzazione di una delle storie più conosciute al mondo in un contesto vicino e contemporaneo, che risponde alla sfida di narrare e riscrivere un classico a più voci.
L’importanza della narrazione orale e scritta come strumento didattico è ormai riconosciuta, soprattutto dopo i lavori di Duccio Demetrio in Italia. Essa è funzionale allo sviluppo del linguaggio, della capacità affabulatoria e delle facoltà argomentative e descrittive; al tempo stesso, favorisce la formazione di un pensiero, in cui si intrecciano logica e creatività, che difficilmente trova modo di costruirsi attraverso pratiche educative più tradizionali. Le riscritture permettono anche di osservare i meccanismi con cui la memoria e l’immaginazione agiscono nel soggetto e come una nuova creazione nasca su stratificazioni di nozioni precedentemente acquisite, più o meno consciamente interiorizzate.
Riscrivere un classico con i bambini, quindi, oltre a dar vita ad un ipertesto, un testo di secondo grado,2 è anche un pretesto per sviluppare abilità e competenze e per permetter loro di dirsi agli altri, agli adulti in primis, che imparano così a osservare il mondo con gli occhi di chi cresce.
Il libro si configura come un’opera uniforme ma polifonica, per riprendere una famosa categoria di Bacthin:3 dall’intreccio di tante voci diverse è nata una storia che è non solo un’originale revisione del testo collodiano, ma anche una fonte preziosa che può illuminarci su tante contraddizioni del nostro tempo, darci delle chiavi di lettura di un contesto, quello in cui viviamo, in cui antico e moderno si compenetrano così fortemente da non sembrare neppure più antitetici e dove i concetti classici di spazio e tempo sfumano.

PlayStation e motocross

La vicenda è ambientata in un contesto tradizionale: ci sono prati e valli con mucche al pascolo, fienili e campi di letame, lo chalet in cui abita Geppetto, la casa-fienile della fata Turchina, stufe a legna o pellet, voli sul Monte Bianco. Accanto a questo mondo d’antan c’è però tutto un mondo nuovo, moderno, che emerge prepotentemente e che finisce per oscurare l’altro: è fatto di negozi, di supermercati con telecamere e allarmi, di bar, di hotel.
Qui ci si muove in macchina, mini-motocross, treno ed anche i lupi vanno in taxi o in camper; c’è soprattutto un mondo virtuale, fatto di playstation, televisione, internet, Eurolandia, con tutte le sue Euromachines, che moltiplicano gli euro in men che non si dica, magico luogo dove ogni sogno diventa realtà: è un po’ il simbolo di questi mondi altri. In fondo, l’Euromachine non è altro che la versione moderna dell’albero di monete d’oro del Pinocchio collodiano con la differenza che quello che nell’800 pareva un miraggio (con una moneta guadagnarne mille), un’ingenuità che poteva far sorridere anche i bambini è divenuto oggi realisticamente possibile, alimentando così, soprattutto nei piccoli, desideri utopici di improbabili metamorfosi.
Nel mondo di Pinocchio in Valle d’Aosta la vita sembra molto più facile di quella del Pinocchio collodiano: i bambini vanno a scuola vestiti all’ultima moda, con jeans, bandana e zaino di Spiderman sulle spalle. Ma il loro grande obiettivo è di comprarsi la playstation, unico oggetto dei desideri ed emblema di un’intera generazione, la caramella che la fata offre a Pinocchio dopo la medicina (“Se mangi il minestrone ti farò fare una partita alla playstation 4) o per indurlo a dire la verità (“Se non dirai più bugie… potrai giocare alla playstation tutti i giorni al ritorno da scuola5), il balocco per avere il quale Pinocchio si reca nel Paese degli Scatenati (versione moderna del Paese dei Balocchi appunto), dove “ci sono tutti i tipi di playstation a cui si può giocare giorno e notte” perché possiede una palazzina con 100 postazioni per playstation 3 2008!6

Un mondo di denaro e di cibo

E, se la playstation non si può avere e la scuola resta sempre quel luogo dove si diventa ciechi perché si leggono i libri e zoppi perché le maestre danno frustate sulle gambe,7 resta ancora fortunatamente l’altra grande scatola che può dare vita: la televisione. Non poteva mancare nel libro una troupe televisiva che filma la scomparsa di Geppetto in mare, né la promessa di una notorietà assicurata per il burattino birichino: Pinocchio decide di seguire la Faina e il Lupo (doppio del gatto e della volpe) perché gli assicurano che, così facendo, potrà andare in TV.
Ma forse non c’è da stupirsi se queste scatole virtuali restano l’orizzonte ultimo di queste generazioni… Ai loro occhi, almeno da quanto dicono, il mondo reale non sembra troppo allettante! È pieno di ladri e contrabbandieri, usa i conigli come cavie per gli esperimenti scientifici o li espone in vetrina dentro gabbie di vetro, e non solo non protegge gli animali, ma neppure i poveri burattini (“Non basta che abbandonino i cani, ora abbandonano anche i burattini! Che mondo! Che mondo!8).
È un mondo, soprattutto, in cui tutto è cosificato e in cui ciò che conta è solamente la vetrina: apparire e possedere. Interessante è notare l’insistenza con cui i bambini associano il denaro ad ogni cosa: 200 euro costa il legno per Geppetto, Mangiafuoco dà 500 euro a Pinocchio perché suo padre possa ricomprare lo scalpello, la cena a Le Bois Doré con la faina e il lupo costa ben 300 euro, ecc. Lo stesso Pinocchio, il burattino pasticcione, ma in fondo buono, le cui marachelle erano segno del suo perenne desiderio di divertirsi, si trasforma in questo libro in un ladro pur di avere ciò che desidera: come il suo omonimo ottocentesco, oscilla tra piacere e dovere, ma quando si trova davanti un’auto parcheggiata con il motore acceso non ci pensa due volte a salirci sopra e partire come un razzo;9 già prima, se non fosse stato per la paura dei poliziotti che sopraggiungevano, avrebbe volentieri sottratto la refurtiva ai ladri incontrati sulla strada: “A Pinocchio brillarono gli occhi. Con anche uno solo di quei lingotti avrebbe potuto comprare pizze e playstation a volontà”;10 egli invita persino la fatina a diventare un’imbrogliona, ad abusare della propria magia pur di vedere moltiplicati i suoi soldi!11
È un mondo, infine, in cui, se non si può accumulare denaro, non resta che sfogarsi col cibo. Quest’ultimo è un leit motiv che percorre tutto il libro, senza troppa distinzione fra tradizione e modernità: accanto alla cucina tipica valdostana ci sono pizze, patatine e fiumi di caramelle e cioccolato di tutti i tipi; nel Paese degli Scatenati le mura delle case sono crostate di marmellata, i tetti crêpes e i paesaggi dolcissimi collinette di marzapane, mentre la verdura - broccoli, cavoli e cavolfiori - è, come sempre, declassata a medicina.

Specchio dei tempi

Da tutte queste esemplificazioni si capisce bene quanto tale libro sia, come direbbe Paul Ricoeur, una traccia,12 non solo di un tempo e di un contesto storico, ma anche e soprattutto di un’intera generazione, quella dei nati attorno al 2000, uno specchio perfetto dei suoi sogni e del suo immaginario.
Se è vero che questo esperimento narrativo testimonia la grande fantasia che i bambini manifestano sin dalla più tenera età quando viene dato loro modo e tempo per esprimersi liberamente, esso è però, soprattutto, uno strumento che permette agli adulti - genitori, pedagogisti e psicologi - di entrare nel mondo magico, misterioso e talvolta inquietante dei loro figli o pazienti, di alzare il velo sui loro desideri e sulle loro paure.
L’impellenza inconscia di raccontarsi, che emerge tra le righe del libro, prevale nettamente sulla capacità affabulatoria. La trama narrativa del testo non presenta, infatti, grandi novità, è ricalcata in modo quasi perfetto su quella collodiana e la struttura resta quella originale, in 36 capitoli. Anche la corrispondenza tra quanto accadeva nel Pinocchio classico e quanto accade qui è pressoché totale, se non fosse che spesso la riscrittura reca in sé traccia della fonte e anticipa elementi che nell’originale comparivano solo a narrazione inoltrata (per esempio Pinocchio è sin dall’inizio il bambino-burattino che dice le bugie o che ha paura delle punture, elementi che Collodi introduceva al capitolo 17). Potremmo dire che Pinocchio è sin dall’inizio proprio quello che conosciamo: a distanza di più di 100 anni non ha imparato niente, ricade anzi sempre negli stessi errori! Il progresso dell’ultimo secolo lo ha munito di oggetti più tecnologici, ma non gli ha insegnato nulla, di certo non ha mutato la sua natura. Anche gli altri personaggi hanno cambiato forma ma non sostanza: per fare solo qualche esempio, se gli animali sono sempre antropomorfizzati, i medici della Fata non sono più il corvo, la civetta e il grillo parlante, ma diventano locali (lo stambecco albino, Flocon de Neige, un’aquila ed un cane), oppure il grillo parlante è sostituito da altri animali quali la pecorella bianca o un merlo indiano.
Le varianti, dunque, non si situano tanto a livello di intreccio quanto piuttosto di morfologia: le funzioni restano quasi sempre le stesse, cambiano solo i nomi e le configurazioni.
Su questa riconfigurazione agiscono tanto modelli delle fiabe classiche quanto i nuovi personaggi dei cartoni animati che popolano l’immaginario contemporaneo. Ritroviamo allora lupi, pecorelle e case da mangiare, come in Hansel e Gretel; al tempo stesso, accanto alle marionette tradizionali di Arlecchino e Pulcinella, compaiono Remi, Tigro e Goku con le sue onde magnetiche, e diventare un mago come Harry Potter è un sogno anche per Pinocchio.

Tra fantasia e territorio

Tali contaminazioni portano ad un prodotto che, da un lato, come il capolavoro collodiano, inghiotte materiale letterario e lo fonde in un nuovo e originale scenario, dall’altro lascia spazio anche ad elementi popolari o bassi: fanno sorridere la fine della corsa in macchina di Pinocchio nel letame o il lassativo nella torta dei carabinieri, ma sono anche indici di come sull’immaginazione e sulla creatività dei bambini agiscono fonti diverse che attingono sia alla letteratura sia alla realtà circostante. Qui si comprende bene cosa intendeva Michail Bacthin quando parlava di dialogismo e interdiscorsività per spiegare un testo:13 nel libro dialogano elementi letterari e discorsi orali, immagini pubblicitarie, modelli televisivi; esso testimonia di quanto i bambini abbiano assimilato ciò che hanno letto, ma anche di come essi siano impregnati di una cultura dell’immagine e dell’apparenza che affiora nel linguaggio e nella narrazione.
E se tutto è già stato scritto, come ci ha insegnato Jorge Luis Borges, se anche questo testo non è che un remake, una riproposizione di un testo identico in un contesto che si è trasformato, ricollocare uno stesso testo in un mutato contesto fa sì che quel testo non sia più lo stesso. È così che, in fondo, anche a otto o nove anni si può contribuire a diffondere cultura, a trasformare la letteratura - i classici soprattutto - in materia viva, che sempre e ancora ha qualcosa da raccontarci... e almeno provare a farlo capire ai grandi.

Manuela Lucianaz
Chercheuse du CIERL
Université Libre de Bruxelles
Contrattista
Università della Valle d'Aosta (letteratura per l'infanzia)

Note
1 AA.VV. Pinocchio e le sue avventure in Valle d’Aosta, VIDA, Aosta, 2008.
2 Cfr. G. Genette, Palimpsestes. La littérature au second degré, Seuil, Paris, 1982.
3 Cfr. M. Bacthin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino, 1979.
4 Pinocchio … op. cit, p. 58.
5 Ibidem, p. 61.
6 Ibidem, p. 98.
7 Ibidem, p. 45.
8 Ibidem, p. 20.
9 Ibidem, p. 52.
10 Ibidem, p. 28.
11 Ibidem, p. 62.
12 Cfr. P. Ricœur, « Qu’est-ce qu’un texte ? », in Du texte à l’action, Essais d’herméneutique II, Seuil, Paris, 1986, p. 156.
13 M. Bacthin, op. cit.

 

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