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Storie di numeri
Narrare e narrarsi mettono
in comunicazione mondi
solo all’apparenza distanti.
Non mi sono soffermata a trattare il concetto di narrazione, ma mi sono narrata. Nel mio racconto sono intervenute narrazioni diverse fatte di parole timide e titubanti, di parole austere e solenni che si scontravano con parole irruenti che saltavano i confini e si perdevano. Spesso ho sentito l'intensità delle parole non dette, ma sempre il filo che ha unito il racconto è stata la narrazione, pilastro di ogni conoscere.
Leonardo
Ho conosciuto Leonardo: il suo essere diretto, critico, la sua allegria, la leggerezza e l’affettuosità.
Mi avevano detto che era un ragazzo difficile, aggressivo; mi aspettavo un bullo che non riesce a stare da nessuna parte, strafottente; ero molto preoccupata, forse addirittura spaventata.
Leonardo mi incuriosiva: l’ho visto come un personaggio che osava e quando chi osa lo fa in modo così plateale diventa ancora più interessante. Mi faceva sorridere il fatto che un quattordicenne tenesse in scacco una scuola.
Ho cominciato diventando l’osservatrice della classe: mi sono seduta in fondo all'aula e con gli occhi cercavo di capire chi era il sorvegliato speciale.
Un ragazzino dal viso di bimbo, con una corporatura scomoda che lo rende goffo quando cerca di farla stare tutta nei confini della sedia, continuamente scivolata fuori sul lato del banco, un animale che non ha ancora cambiato pelle, che cerca il contatto con gli adulti e i compagni, maldestramente, irrompendo come un torrente su tutti.
Quando è sbattuto fuori dalla classe ha bisogno di stare nel gabbiotto con le bidelle, di andare a trovare la più simpatica, di ricevere valorizzazioni dagli adulti, di stare vicino ad insegnanti che fanno sostegno ad altri ragazzi. Deve sentirsi parte, appartenere.
Non so se mi ha snidato lui o l’ho snidato io; con la scusa di poter stare un po’ con tutti, in classe stavo alla giusta distanza da lui. Facevo l’intervento mirato, andavo a vedere l’attività che stava svolgendo senza dedicarvi troppo tempo.
Il fatto che mi vedesse stare anche con altri mi ha aiutato a far sì che non mi rifiutasse. Leonardo non ha problemi cognitivi ed è difficile per un ragazzo della sua età, già adolescente, accettare un aiuto, un adulto vicino solo per lui. Il fatto che ci fossero nella classe altri compagni maggiormente in difficoltà mi ha permesso di prendere tempo con lui e fargli vedere cosa io facessi.
Ci siamo, insomma, annusati a distanza.
Il ghiaccio si è rotto definitivamente il giorno dello sciopero: mi sono trovata a gestire lui e altri ragazzi della classe, da sola, autorizzata dalla dirigente. Mi sono trovata ad avere l’occasione di fare parlare questo ragazzone che spaventa tutta la classe con le tre persone più spaventate da lui. Di farli parlare e stare insieme, di far vedere a ciascuno di loro cosa faceva l'altro, in trasparenza, portandoli ad accettare reciprocamente le proposte altrui e forse, per la prima volta, a riconoscersi.
È un Leonardo che inizio a conoscere e che non mi ha mai preoccupato. Anzi, gli avrei dato fiducia totale nel gestire la classe, perché so che è responsabile, maturo, capace di ascoltare e paziente con gli altri più che con se stesso.
Mi sono inventata il gioco degli animali: un gioco di identificazione e di presentazione in cui si chiede ad una persona il nome di tre animali preferiti, a cui corrispondono, in sequenza, tre aspetti del nostro essere: come uno si presenta, come pensa che gli altri lo vedano e come vorrebbe essere. Questo ragazzino mi disse: “Il primo animale è la tigre perché è forte. Il secondo è il pittbull, perchè non ha paura. E il terzo lo scoiattolo perché è dolce”.
Il mio viso si è incredibilmente illuminato. Ne ero sicura... ecco lì una tigre che vorrebbe poter essere uno scoiattolo, affettuoso, dolce.
Quando l’ho fatto riflettere su quanto aveva detto, ha riconosciuto in sé la caratteristica della dolcezza e non ha avuto problemi nel mostrarlo agli altri, a differenza dei suoi compagni. La cosa di cui mi rammarico è il suo vedersi un pittbull e quanto il contesto scolastico si limiti a scorgere in lui questa apparenza.
Con Leonardo uso il racconto tutte le volte che voglio agganciarlo. Con lui non ha senso attenermi alla sola parola scolastica. Quando gli devo chiedere di svolgere un compito, di non esagerare, di limitare le battute sugli insegnanti, devo usare necessariamente una relazione creata con lui, in cui entrambi ci siamo giocati e narrati con i nostri limiti e caratteristiche.
Quando Leonardo è provocatorio e si scaglia contro le ingiustizie, o resta in silenzio e risponde “Boh, non so”, è solo narrandogli il suo sentire ed il mio che riesco a comunicare con lui: lui sorride e iniziamo a parlare. Mi racconta delle sue fatiche scolastiche, della classe dell'anno scorso, dei suoi amici, di casa, di papà, dei suoi sabati sera, della musica che ascolta e di come va vestito in discoteca. Io ne resto affascinata. È dichiaratamente un mondo che non conosco e lui, con santa pazienza, me lo racconta, mi ci fa entrare: c'è una persona che lo ascolta e lo fa diventare il protagonista. Lui diventa l’insegnante del suo essere, del suo racconto di se stesso a me.
E, a me, questo permette di vedere un Leonardo nuovo, altro, di conoscerne i diversi volti e le sfaccettature: la sua capacità di relazionarsi con degli adulti diversi da quelli della scuola.
Non racconta la bravata di una sera, l’eccezionalità di una sera in cui uno va in discoteca a prendere uno sballo, ma racconta questo mondo notturno, come se fosse una famiglia che lo riconosce, lo protegge e che gli dà importanza; per quanto pericoloso per un quattordicenne, mi rassicura la sua criticità e consapevolezza.
La fiducia, quella che pochi gli concedono, cerco di rilanciargliela: gli concedo il movimento, la distanza, il tempo, lo spazio. Non può essere imprigionato in un banco, in un personaggio o un'etichetta. Lo ascolto e parlo con lui senza giudicarlo, cerco di capire il senso, il significato anche delle cose negative che succedono.
Bisogna agire verso di lui senza pressione, in attesa di Leonardo, affinché si senta accolto e possa concedere il contenuto delle sue esperienze, scendendo dalla cattedra e andandogli incontro.
Leonardo apre le porte di emergenza, disturba i compagni, si alza dal banco. Sovente lo trattengo e lo rimprovero, ma a volte mi sono concessa la possibilità di vedere dove lo portava l'azione, fino a dove si sarebbe spinto, non come sfida verso l'autorità, verso la trasgressione, ma come spazio di crescita e di fiducia concessa. È sempre tornato. Arricchito, emozionato, come da un viaggio di ritorno, anche sorpreso, contento per la mia presenza discreta e accogliente senza bisogno di essere interventista ed invasiva.
Con Leonardo bisogna far spazio ad un ospite inatteso dove, al sapore amaro di cioccolato, si affiancano il burro e le nocciole che si incastrano spesso e volentieri tra i denti, ma che rendono il piacere del gusto del cioccolato.
Ho conosciuto Leonardo.
Elena
Ho conosciuto Elena e, quando l'ho vista per la prima volta, mi sono sentita a disagio. Vedendola aggrappata sempre ad un adulto ero preoccupata della sua fragilità fisica e mentale e del mio potermi relazionare con lei. In realtà, è molto allegra, solare, chiacchierona, con una testa ricciolina, continuamente chinata, che non permette di vederla.
Sto con lei per due ore al mattino e arrivo da lei nell'ora di religione. È seduta di fronte al suo computer su una sedia apposita, io mi siedo accanto a lei. In corteo, arrivano le sue compagne a conoscermi. Mi parlano delle cose che sanno fare, di Ele, delle lingue che conoscono, una addirittura lo spagnolo, e proviamo qualche scambio di saluti in lingua straniera, ridendo, e poi ognuno torna al suo posto.
Le chiedo quali sono i suoi giochi preferiti e mi racconta delle fate che lei adora. Così le domando di scrivere una storia in cui lei è una fata:
SONO UNA PRINCIPESSA DI NOME ELENA
IL MIO RENIO E C.
SONO UNA PRINCIPESA BUONA E INIZIO
LE MIE MAGIE CON SALACADULA MEGICADULA
DITIDOTIDU.(PITIPIPODIBU)
LAMIA CORONA E ROSA CON IDIAMATI COME
QUELA DELA BELLA ADDOR METATA NEL BOSCO
OHUNPESCE DOROTI ROSSO E UN CANARINO
PISSI. PIS VIVE INUNA GABIA E EDOROTI VIVE NI
NU A QUARIO A IL COPERCIHIO BLU.
PIS È GIALLO A LEPIUME BIANCE SOTTO.
EIOVOGLIOLA MIABACCHEETA MAGICA VORREI
TANTE PALE DACALCIO COLORATE POIVOREI
ALCUNIDOLCINI IN PIU'. E LANCIARE LA PALLA
NEL CANESTRO.
VOGLIO DIRE AL MIO POPOLO DI C.
PCHE GLIVOGLIOBENE.
Il colore fucsia è stato scelto da lei perchè è il suo preferito e i caratteri nell'originale erano più grandi perchè Elena ha difficoltà visive.
Ho riportato il testo come lei lo ha scritto perchè, nella costruzione delle parole e degli spazi, vedo lei: una principessa che saltella e a volte corre maldestramente e poi di colpo si ferma, scivolando libera e creativa. Mi ha colpito scoprire un nuovo modo di unire le lettere che non annulla il senso, ma lo amplifica fin quasi a renderlo una formula magica.
Mentre scriveva era molto concentrata, sfinita sulla giusta formula come un’apprendista fata che deve ricordare i componenti del suo incantesimo. Ad ogni tasto pigiato era una risata, uno scuotere la testa e si ricominciava di nuovo. Il suono che le arrivava dalla mia lettura la faceva divertire come se fosse una melodia precisa, fosse quella nella testa. Sfido chiunque a scriverla con maggiore precisione. È stato molto facile accompagnare i suoi occhioni, illuminati dallo scintillio della fantasia.
È nata così una principessa che abbiamo fatto conoscere alla classe e agli insegnanti, molto stupiti del suo racconto. La mia commozione è stata grande nel leggere la semplicità dei desideri espressi alla bacchetta magica: palle da calcio colorate ed alcuni dolcini in più. Il terzo desiderio, lanciare la palla nel canestro, mi racconta della sua aspirazione ad essere come gli altri, lei bimba con difficoltà di deambulazione e di coordinazione, il cui corpo si allunga con la palla verso il cesto per fare canestro. Un'immagine nitida, lucida, senza aggiunte né sfumature.
Il lieto fine è un annuncio al suo popolo, al suo RENIO... diamore.
Grazie, ranocchietta, per il tuo coraggio e per la tua innocenza.
Nicla Prevedini
Assistente educatrice
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