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Narrare con la voce, nel silenzio

Vajont 9 ottobre '63: orazione civile di Marco Paolini e Gabriele Vacis
Einaudi, 1999 (libro+vhs)

La parola e la memoria al centro della scena - In occasione del 34° anniversario della sciagura del Vajont, il 9 ottobre 1997, va in onda su Rai 2 la diretta televisiva dello spettacolo
teatrale di Marco Paolini e Gabriele Vacis: un attore in scena, Paolini, la diga del Vajont per fondale, un palcoscenico all’aperto, i valligiani come pubblico. Lo spettacolo, che durerà tre ore, inizia con questa frase: “Rubiamo la scena all’attualità e facciamo una diretta sulla memoria”. Può sembrare una sfida persa in partenza, ma l’indice d’ascolto va al di là delle migliori previsioni: tre milioni e mezzo di telespettatori. Quest’opera teatrale, così difficile da classificare, è la ricostruzione appassionata, documentata e sincera della tragedia che in quattro minuti spazzò dalla faccia della terra cinque paesi e provocò la morte di duemila persone.
La tragedia in sé occupa solo la parte finale dello spettacolo; quello che gli autori vogliono raccontare è l’antefatto con le responsabilità umane che provocarono tale disastro. Fatti già conosciuti, già studiati, già riportati nel libro della giornalista Tina Merlin. Ciò che fa la differenza è come vengono qui raccontati: gli autori hanno frugato tra i giornali e i libri, negli atti dei processi, hanno parlato con la gente, hanno incontrato ingegneri e geologi per poi riassumere e produrre un testo dove la scrittura drammaturgica supporta e dà respiro ai fatti reali.
E, a dar voce a quest’epica ricostruzione, è sempre lui, Marco Paolini, un grande attore, anzi, un grande affabulatore che conosce profondamente l’arte del narrare, fatta di pause e silenzi; egli cambia registro con facilità e precisione, alternando momenti di denuncia e indignazione ad altri carichi d’ironia e simpatia, lascia che il racconto abbia respiro, lo spettatore non viene mai soffocato da un eccesso di tragedia o d’ilarità, tutto è ben calibrato affinché egli possa essere condotto a un finale intenso, sincero, sofferto, la commozione che provoca è intima e profonda, senza enfasi, come si conviene quando le vittime hanno un nome e cognome e non sono personaggi di fantasia.

 

Koyaanisqatsi (1982)
Powaqqatsi (1988)
Naqoyqatsi (2002)

di Godfrey Reggio

Il racconto per immagini e musica - Nell’anno 1975, Godfrey Reggio inizia a concepire questa trilogia come monito all’umanità riguardo agli effetti devastanti della vita moderna sulla natura e sulle popolazioni più deboli. Ha trascorso gli anni precedenti occupandosi di problemi sociali ed educativi e quelli della giovinezza in silenzio e preghiera. Per raccontare questo disastro ecologico, egli pensa ad un film fatto d’immagini e musica, un concerto visivo, costruito apparentemente senza un filo logico, dando così origine ad una forma cinematografica completamente nuova.
Il primo episodio, che in lingua indiana Hopi significa Vita in disequilibrio, mostra paesaggi naturali d’armoniosa bellezza contrapposti a scenari urbani dove gli uomini vivono freneticamente e privi di ogni contatto con la natura.
Powaqqatsi, La vita in trasformazione, presenta, invece, gli effetti che la tecnologia e il progresso hanno sui popoli in via di sviluppo: indimenticabili i volti catturati nelle varie parti del mondo.
L’ultimo episodio A vicenda uccidere molte vite, forse il più complesso ed anche il meno riuscito, vuole raccontare il mondo in cui viviamo: gli effetti che il progresso tecnologico ha sull’arte, i media, la politica, la guerra, la medicina, lo sport.
Il racconto è spogliato del suo elemento primario, la parola, per poter narrare la globalizzazione con un linguaggio universale.
Magnifica la colonna sonora di Philip Glass.

Ebe Riviera
Bibliotecaria
Biblioteca Regionale di Aosta

 

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