IL MATERIALE INORGANICO
Anche nell'antichità era molto diffusa la pratica del riciclaggio dei materiali da costruzione: ecco alcuni esempi di come potevano essere reimpiegati.
ANCHE IN ANTICO...
di Rosanna Mollo
Aosta: miliario di Costantino reimpiegato come colonna nella cripta di Sant'Orso.Anche nell'antichità il fenomeno del reimpiego era molto diffuso, talora a seguito di eventi catastrofici come terremoti, alluvioni o incendi, talora come puro e semplice fatto speculativo.
Nel mondo romano, pur essendo fondamentale la scelta del materiale da costruzione, tuttavia venivano frequentemente riutilizzati materiali litici precedentemente messi in opera, nonostante la loro ridotta capacità di presa. Regola fondamentale era il recupero di tutto il materiale disponibile: si preferiva frantumare le pietre e rilavorare i blocchi di cava direttamente in cantiere per ottenere pietrame da muratura; le scorie venivano impiegate nelle piccole bonifiche o riciclate nella preparazione dei pavimenti cementizi e degli intonaci parietali.
Per quanto riguarda l'edilizia antica importante è anche la riutilizzazione e la trasformazione dei manufatti laterizi, o più in generale dei residui di "cotto". Scarti di fornace e ceramiche difettose venivano spesso utilizzati come riempimento leggero nelle volte o nelle soffittature; il pezzame di tegole fratte veniva invece frequentemente usato nei sottofondi pavimentali o nelle murature in opera mista. Gli scarti risultanti dal taglio dei laterizi erano normalmente impiegati nella composizione delle malte idrauliche e del cocciopesto.
Documentato è anche l'uso edilizio delle anfore con funzione di "palo" di fondazione drenante o in relazione con muri come isolamento dall'umidità o per opere di bonifica geotecnica.
Il reimpiego come materiale da costruzione di elementi architettonici di spoglio, in marmo o in cotto, pertinenti a precedenti edifici pubblici è ampiamente attestato negli interventi di ristrutturazione di età media e tarda imperiale; tale pratica si riscontra, ad esempio, nelle Terme del Foro. Nella ristrutturazione del complesso della fine del III-IV secolo d.C. le murature perimetrali e di suddivisione interna di alcuni ambienti mostrano un largo uso di materiali di reimpiego: dalle suspensurae, colonnine in cotto tipiche degli ambienti dotati di riscaldamento, alle cornici in marmo appartenenti alla prima fase d'impianto dello stabilimento termale.
La pratica del riuso si riscontra anche nelle pavimentazioni marmoree tardoromane - i cosiddetti sectilia pavimenta - redatte con marmi di recupero, variamente composti per la realizzazione dei motivi decorativi. Indicativa è in questi casi la frequente disomogeneità redazionale delle formelle, nonché la presenza di marmi di taglio e di spessore diverso, privi di concordanza cromatica. Un esempio di riutilizzazione di lastre pavimentali marmoree di forma geometrica diversa, provenienti da un edificio più antico, è attestato nella navata della primitiva Cattedrale di Aosta, risalente alla fine del IV inizio del V secolo d.C.
Le superfici pavimentali in lastre litiche marmoree diventano, nella tarda antichità, oggetto di radicali spogliazioni. Nei livelli di distruzione tardoantica della villa romana della Consolata come nelle residenze urbane di tipo signorile, le cosiddette "domus", si sono riscontrate sia trincee di asportazione delle murature d'ambito che impronte delle formelle pavimentali asportate sullo strato di preparazione in cocciopesto.
Ad epoca tardo-antica è ascrivibile il reimpiego di iscrizioni lapidee e di are marmoree di epoca precedente. A copertura di una canalizzazione di deflusso delle acque nelle terme del Foro era stata utilizzata un'iscrizione di marmo con dedica all'imperatore Marco Aurelio (161-180 d.C.); analogamente la parte superiore di un'epigrafe funeraria in bardiglio di Aymavilles era inserita come elemento di una canalizzazione che fiancheggia l'insula 52.
Il reimpiego e il recupero di materiale antico avveniva correntemente anche nelle aree sepolcrali tardoantiche: J. B. De Tillier documenta il rinvenimento nel 1728, en creusant les fondaments de la nouvelle église de Saint Etienne, di una tomba tardoantica en forme de coffre costituita da due sarcofagi in bardiglio riutilizzati, decorati da motivi vegetali e zoomorfi jointes ensemble.
Villa romana in regione Consolata: particolare dell'impronta delle formelle pavimentali sul letto di malta di preparazione.Che i materiali lapidei romani assumessero un notevole valore a scopo edificatorio, anche durante il corso del primo Medioevo, è dimostrato dallo spoglio sistematico, più volte riscontrato, di interi settori delle aree pubbliche e private della città romana. Gli elementi architettonici andavano polverizzati e dispersi ed i materiali asportabili venivano frequentemente riutilizzati. Con il frantumarsi della romanità criteri utilitari ispiravano rovinose distruzioni e, nel contempo, le riutilizzazioni per necessità pratiche assumevano un valore diverso e si inserivano nell'ambiente assimilandosi alla fisionomia della nuova realtà urbana.
Edifici che comportano la radicale demolizione e lo spoglio degli elementi architettonici e murari occupano gli spazi pubblici: le abitazioni altomedievali e posteriori sovrapposte alla distruzione dell'area monumentale forense sfruttavano i resti romani ancora emergenti come delimitazione degli ambienti.
Dei nuovi fermenti costruttivi è testimonianza un forno da calce (fornace) messo in luce nello scavo dell'ex Caserma Challant, nei livelli di distruzione delle strutture forensi. La costruzione, a pianta circolare e di forma tronco-conica era destinata, mediante cottura a 1000 gradi, alla calcinazione delle pietre calcaree e dei marmi.
Capitelli ionici e corinzi, rocchi di colonne di varie dimensioni e rilievi architettonici di età romana confluivano nelle nuove costruzioni e costituivano sovente un rilevante elemento di decoro. Elementi strutturali riutilizzati provenienti dal magnifique batiment des Romains - l'attuale complesso forense - come già sottolineava J. B. De Tillier, costituiscono le decorazioni architettoniche e pavimentali della cripta della Cattedrale. Un miliario in "puddinga" dell'epoca di Costantino (326-328 d.C.), con l'indicazione della collocazione topografica, a due miglia dalla città, funge tuttora da fusto di una delle colonne della cripta di S. Orso.
Nella generale riutilizzazione di elementi litici antichi come materiale da costruzione non mancano esempi di epigrafi funerarie marmoree reimpiegate per usi particolari, come la mensa d'altare negli esempi della chiesa Chatillon e nella Cappella di Colombier a Gressan.
Il riciclaggio dei rifiuti di vetro tramite rifusione era una pratica molto diffusa nel mondo romano sia per motivazioni di ordine economico che pratico, dal momento che eliminando alcune fasi del trattamento termico consentiva di abbreviare il processo normale di lavorazione, partendo già da un semilavorato. Anche le fonti letterarie testimoniano il riciclaggio del vetro: Marziale (Epigramma 43.3-5) e Stazio (Silvae VI, 73-4) documentano la commercializzazione praticata a buon mercato da venditori ambulanti di "zolfanelli" in cambio di vetri rotti.
L'"edictum de pretiis" di Diocleziano stabilisce prezzi diversi per il vetro non lavorato rispetto al vasellame destinato alla vendita.
In numerosi laboratori antichi si servivano di materiale vitreo riciclato sia sotto forma di pani che di frammenti. Ad Aventicum (40-70 d.C.) i forni erano utilizzati per la fusione di pani ottenuti da vetro riciclato, a Nijmengen è stato scoperto un deposito di vetri rotti datati tra l'epoca flavia e il secondo secolo, probabilmente destinati al riciclaggio ed infine nell'officina di Jalame, attiva in Palestina nel corso della metà del IV secolo, sono stati ritrovati pezzi di vetro e vetri rotti destinati alla rifusione.
Ulteriori forme di riciclaggio consistono nel recupero dei metalli: acquedotti urbani di piombo, le fistulae plumbeae, sono stati asportati e fusi in tutto il mondo romano, dalla caduta dell'impero sino al sette-ottocento; gran parte della mirabile statuaria bronzea è stata rifusa in ogni tempo.
La più antica attestazione aostana del recupero di metallo pregiato risale ai momenti che precedono la fondazione della città romana. Nella zona subcollinare, non lungi dalla villa della Consolata, sono state isolate varie discariche ricche di materiale ceramico e di reperti numismatici, che abbracciano un periodo di tempo compreso tra la metà del secondo secolo a.C. e la fine del primo secolo a.C. In questo contesto si è pure raccolta la metà di un'armilla aurea di tradizione gallica, tranciata e avvolta da filamenti dello stesso metallo, che sembrano indicare un oggetto destinato alla rifusione.
   
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