RISCALDAMENTO GLOBALE
l clima terrestre dipende da una complessa rete di interazioni tra fattori quali l’energia solare, gli oceani, l’atmosfera, la biosfera.
CAMBIAMENTI CLIMATICI
tratto dal volume Cambiamenti Climatici in Valle d’Aosta
Che cosa si intende per clima? Mentre ciò che chiamiamo tempo è rappresentato dall’insieme delle condizioni atmosferiche (stato del cielo, temperatura, umidità relativa, visibilità, velocità e direzione del vento...) osservate in un preciso momento su una località, il clima consiste nel comportamento atmosferico mediamente atteso su una regione, sulla base di misure e osservazioni quotidianamente condotte per un lungo periodo di tempo (di solito almeno un trentennio, in accordo con le normative della Organizzazione Meteorologica Mondiale).
In altre parole, tempo è ciò che puntualmente si osserva, clima è invece ciò che ci si aspetta di osservare in un dato periodo (giorno, mese, stagione, anno) e in dato un luogo.
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Il clima terrestre è il risultato di un insieme di complesse interazioni tra l’energia in arrivo dal Sole (motore di tutti i processi climatici), l’atmosfera, gli oceani, le nubi, i suoli, la biosfera e la natura della superficie terrestre (copertura vegetale, presenza ed estensione dei ghiacci, superfici artificiali create dall’uomo...).
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La natura della superficie terrestre, nonché la copertura nuvolosa, determinano la quantità di energia solare riflessa o assorbita dal pianeta. La neve fresca appena caduta ha un’elevatissima albedo (frazione di radiazione incidente che viene riflessa da un corpo), circa 0.9: questo significa che il 90% della radiazione che la colpisce viene nuovamente riflessa verso lo spazio. Gli oceani invece hanno un’albedo molto bassa (circa 0.03), per questo assorbono molta energia termica proveniente dal sole. Sono le nubi il principale fattore di controllo dell’albedo terrestre, che globalmente ammonta in media a 0.3: dunque il 30% della radiazione solare incidente sulla Terra viene immediatamente riflessa verso lo spazio per via delle caratteristiche ottiche delle superfici colpite (nubi, oceani, ghiacciai, foreste, deserti, città). L’albedo del pianeta Venere è molto elevata (0.78), per via della densa copertura nuvolosa che riflette buona parte della radiazione solare, ma l’atmosfera è composta per il 97% di CO2 e la temperatura è di circa 450 °C.
In sintesi, l’albedo determina la quantità di energia assorbita o riflessa, dunque la temperatura, sia localmente (differenze nel riscaldamento di un prato rispetto a una strada asfaltata), sia a livello planetario.
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Oggi però le attività umane stanno modificando la composizione chimica dell’atmosfera, incrementando artificialmente l’effetto serra naturale e inducendo cambiamenti climatici, in primo luogo un anomalo aumento delle temperature globali.
L’elevata capacità termica degli oceani, ovvero la capacità di assorbire e immagazzinare (e dunque anche di rilasciare lentamente) enormi quantità di calore proveniente dal Sole - di gran lunga superiore a quella dell’atmosfera - ne fa uno dei principali fattori di regolazione del clima planetario: gli oceani infatti giocano un ruolo fondamentale nel ridistribuire il calore intorno alla Terra.
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La radiazione solare attiva il ciclo dell’acqua, che è alla base della formazione di nubi e precipitazioni. La quantità d’acqua evaporata da oceani e terre emerse eguaglia quella delle precipitazioni, che globalmente durante l’anno ammontano a 496.000 km3 (13.000 volte il volume del Lago Maggiore). Durante i passaggi di stato (evaporazione, condensazione, fusione, solidificazione, sublimazione) che avvengono nell’ambito del ciclo dell’acqua, si verificano importanti scambi di calore latente, assorbito durante l’evaporazione e la fusione o rilasciato durante la condensazione e la solidificazione in atmosfera: ciclo dell’acqua e scambi di energia termica in atmosfera sono dunque strettamente correlati.
Tra i cicli biogeochimici, quello del carbonio è particolarmente importante per il clima terrestre, in quanto partecipa alla regolazione della quantità di carbonio atmosferico che - sotto forma di CO2 (biossido di carbonio o anidride carbonica) - concorre all’effetto serra, a sua volta strettamente legato alla temperatura dell’aria. Esiste un attivo stoccaggio di carbonio atmosferico da parte degli ecosistemi marini e terrestri (pozzi di carbonio o carbon sinks): si stima che negli Anni ‘90 gli oceani abbiano assorbito mediamente 1.9 GtC (gigatonnellate di carbonio atmosferico, vale a dire 1012 kg) per anno.
Le foreste sono una notevole sorgente di vapore acqueo, che viene immesso in atmosfera attraverso l’evapotraspirazione dalle piante. La fotosintesi clorofilliana consente la temporanea cattura del carbonio emesso in atmosfera dalle attività umane, ma in modo efficace soltanto nel caso di piante giovani, in fase di attivo immagazzinamento del carbonio nei tessuti vegetali in crescita. Il taglio di estese porzioni di foresta può portare, specialmente nella fascia equatoriale, a sostanziali alterazioni nei regimi delle piogge, nonché a gravi perdite di suoli per erosione e dilavamento.
Vi è dunque una complessa rete di interazioni di natura fisica, chimica e biologica all’interno del sistema climatico, in cui i fattori elencati sopra sono solo alcuni tra i più importanti, e le cui dinamiche peraltro non sono ancora del tutto note in dettaglio, ragion per cui la comprensione della macchina atmosferica - e soprattutto la previsione del suo stato futuro - è questione assai difficile. Si tratta infatti di un sistema complesso, non lineare, nel quale la variazione di uno solo dei componenti può riflettersi sullo stato di tutto il sistema, in modo spesso difficilmente prevedibile.
Proprio verso la migliore comprensione di queste interazioni oggi si concentrano grandi sforzi di ricerca scientifica. Il fatto che vi siano ancora molte relazioni da chiarire e meccanismi di azione da comprendere, non riduce tutavia il valore della gran quantità di argomenti ormai noti e la necessità di agire per proteggere il clima.
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Nella storia geologica della Terra il clima è cambiato più volte, talora in maniera eclatante, per cause naturali: variazioni periodiche dell’attività solare, della distanza Terra-Sole, dell’inclinazione e dell’orientamento dell’asse terrestre, dell’eccentricità dell’orbita planetaria, tutti fattori che portano a cambiamenti nella quantità di energia ricevuta dal Sole, dunque in grado di dare inizio a una fase glaciale oppure di segnarne la fine.
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Oggi a questi fattori naturali si sovrappongono però quelli antropici, essenzialmente l’emissione di gas che incrementano l’effetto serra, e di aerosol di origine industriale.
L’uomo sta alterando la composizione dell’atmosfera e gli equilibri del clima, sistema già di per sé molto complesso e di difficile comprensione. Un pericoloso esperimento a cielo aperto condotto a scala globale, senza precedenti nella storia del nostro pianeta…
L’effetto serra è anzitutto un fenomeno naturale che comporta il trattenimento - all’interno dell’atmosfera terrestre - di una parte della radiazione termica solare che viene ri-emessa dal pianeta sotto forma di raggi infrarossi a onda lunga (6÷14 mm). Questa radiazione, in assenza di atmosfera e dunque di effetto serra naturale, verrebbe completamente dispersa nello spazio, e la Terra avrebbe una temperatura media di -18 °C, anziché i 15 °C attuali. Responsabili di questo fenomeno sono gas a effetto serra quali - in ordine di importanza tra quelli presenti in natura - il vapore acqueo, il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4), l’ozono (O3), il protossido di azoto (N2O): agiscono come una sorta di coperta termica che impedisce al calore terrestre di sfuggire completamente verso lo spazio.
Ora però l’effetto serra sta diventando un grave problema per gli ecosistemi terrestri e l’umanità, poiché le attività umane ne stanno aumentando artificialmente l’intensità. Conseguenza più evidente è l’incremento della temperatura globale del pianeta.
Con l’avvento dell’era industriale, nella seconda metà del ‘700, l’uomo ha iniziato a utilizzare quantità crescenti di risorse energetiche fossili, prima carbone, e poi - dalla fine del ‘800 - petrolio e gas naturale, la cui combustione comporta ingenti emissioni di gas serra, in particolare di CO2, nonché di altri composti chimici e particolati (polveri fini) pure dannosi per l’ambiente e la salute.
I processi industriali liberano perfino nuove molecole ad effetto serra, non esistenti in natura: ad esempio i CFC (clorofluorocarburi), gas utilizzati come propellenti nelle bombolette spray o come refrigeranti; responsabili anche della distruzione dell’ozono stratosferico, ora sono banditi grazie al Protocollo di Montréal del 1987.
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Attualmente il cambiamento climatico è già percepibile con un vistoso incremento delle temperature globali, che negli ultimi 100 anni sono aumentate di 0.6 ± 0.2 °C, e i modelli climatici prevedono un ulteriore aumento compreso tra 1.4 e 5.8 °C entro il 2100, in assenza di politiche di riduzione delle emissioni (fonte: UNFCCC). Il riscaldamento ha subito una brusca accelerazione negli ultimi due decenni, benché la presenza degli aerosol solfati e del particolato che rende più opaca l’atmosfera possa avere in parte mascherato la reale entità dell’aumento termico. La comunità scientifica è concorde nell’attribuire una considerevole parte di responsabilità all’azione umana. Infatti l’entità e soprattutto la rapidità dei cambiamenti
climatici già osservati (gli Anni 1990 sono stati i più caldi dell’ultimo millennio) non è più spiegabile solamente all’interno della naturale variabilità del clima; ci sono infatti molte evidenze per affermare che gran parte dell’aumento termico misurato negli ultimi 50 anni sia attribuibile all’attività dell’uomo.
Il livello dei mari è già aumentato da 10 a 20 cm negli ultimi 100 anni, sia per la dilatazione termica degli oceani, sia per la maggiore fusione delle calotte glaciali, e un ulteriore incremento tra 9 e 88 cm è previsto entro il 2100 (fonte UNFCCC): questo aspetto tuttavia non riguarderà direttamente la Valle d’Aosta, la cui altitudine minima è di 300 m (Pont-Saint-Martin).
Gli effetti del futuro cambiamento climatico potranno ripercuotersi pressoché in ogni ambito degli ecosistemi terrestri (con estinzione delle specie animali e vegetali che non riusciranno ad adattarsi in tempo), dell’agricoltura, dell’economia e della società umana, intimamente legati
da una fitta trama di relazioni.
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I dati meteorologici strumentali consentono di ricostruire con buona precisione l’andamento climatico degli ultimi due-tre secoli: la serie continua e omogenea più antica è la Central England Temperature (inizio dei dati a risoluzione mensile nel 1659, di quelli giornalieri nel 1772). Sulle Alpi il primo osservatorio venne istituito nel 1817 al colle del Gran San Bernardo, e ad Aosta Georges Carrel iniziò le misure di temperatura nel 1840. Per le epoche anteriori, in assenza di dati strumentali, occorre fare riferimento a metodi indiretti, che prendono in considerazione parametri geo-ambientali correlati all’andamento climatico (proxy-data), ad esempio:
• anelli di accrescimento degli alberi (dendrocronologia), la cui ampiezza è indice dell’andamento climatico della stagione vegetativa (secoli);
• esame dei pollini (palinologia), per lo più in torbiere, che fornisce un’idea della distribuzione delle specie vegetali nell’intorno (da secoli ad alcuni millenni);
• carotaggi glaciali profondi, da cui è possibile analizzare campioni di aria fossile, rimasta intrappolata e inalterata anche per centinaia di migliaia di anni, ottenendo la concentrazione di gas serra, e l’andamento delle temperature attraverso i rapporti isotopici dell’ossigeno e dell’idrogeno. Quest’ultimo metodo consente di ottenere ricostruzioni paleo-climatiche molto antiche, nel caso di carotaggi effettuati in particolari settori delle calotte polari (interno dell’Antartide, inlandsis della Groenlandia) in cui non vi è flusso orizzontale che alteri le successioni cronologiche del ghiaccio stratificatosi.
Il progetto italo-francese EPICA (European Project for Ice Coring in Antartica), sviluppato alla base di Dome Concordia (Antartide orientale, 3233 m), ha consentito finora di ricostruire l’andamento delle concentrazioni di biossido di carbonio, metano e della temperatura terrestre negli ultimi 650.000 anni (SIEGENTHALER & al., 2005; SPAHNI R. & al., 2005), e costituisce dunque una tra le fonti più preziose oggi a disposizione per la conoscenza del clima passato. Il grafico 3 mostra l’andamento ricostruito del CO2, che peraltro consente di evidenziare l’alternanza di almeno 7 fasi glaciali (riconoscibili per il calo di concentrazione del gas serra), le quali sulle Alpi hanno portato i ghiacciai a raggiungere talora gli sbocchi in pianura sul versante padano, e altrettante fasi interglaciali, compresa quella attuale (aumento del gas serra).
Ma uno dei risultati più impressionanti riguarda la presenza dei gas serra in atmosfera: in oltre mezzo milione di anni - fino all’era preindustriale - la concentrazione di CO2 non era mai salita oltre le 300 ppmv, oggi siamo giunti a 381 ppmv, e questo fornisce un’idea dell’importanza del cambiamento ambientale e climatico che oggi stiamo vivendo.
Per la regione alpina occidentale, i risultati ottenuti dagli studi paleo-climatici di diversi autori, in particolare OROMBELLI (1998), LISTER & al. (1998), HORMES (2001), DAVIS (2003), MOBERG (2005), consentono di tracciare un quadro approssimativo dell’andamento delle temperature
medie degli ultimi 11 mila anni, riportato nel grafico 4. Allo studio del clima alpino in epoca storica hanno pure contribuito analisi polliniche condotte in Valle d’Aosta, presso la torbiera del Rutor (BURGA, 1995). Tra 11.000 e 10.000 anni fa la temperatura media aumenta di circa 5 °C, segnando la fine dell’ultima glaciazione e l’inizio dell’Olocene (l’epoca geologica in cui oggi viviamo): i ghiacciai si ritirano ad alta quota, e il clima si stabilizza su un assetto temperato simile a quello attuale, che favorisce la colonizzazione umana delle valli alpine, nonché l’affermarsi dell’agricol-tura e dell’allevamento verso 6500-7000 anni fa (BP = before present), proprio durante l’Optimum termico olocenico, periodo mite durante il quale peraltro si forma anche la torbiera del Rutor. La fluttuazione delle temperature medie tra questa fase mite e altre successive più fresche, come l’episodio Neoglaciale Göschenen I (3000-2500 BP) e la Piccola Età Glaciale (1300-1850 d.C.), rimangono contenute entro 2.5 °C circa. Dati provenienti dalla larghezza degli anelli di accrescimento degli alberi, da dati archeologici e datazioni al radiocarbonio, da fonti storiche, hanno permesso di ricostruire le oscillazioni storiche dei ghiacciai svizzeri dell’Aletsch, del Gorner, e di Grindelwald inferiore (HOLZHAUSER & al., 2004): sono emerse avanzate pressoché simultanee dei tre apparati nel 1000-600 a.C. (Göschenen I), 500-600 d.C. (Göschenen II), 800-900, 1100-1200 e 1300-1860 d.C. Queste fluttuazioni si collocano in fase con le oscillazioni di livello di laghi della Francia orientale (Jura e Prealpi) e dell’altipiano svizzero.
Gli ultimi 1000-1200 anni di storia hanno conosciuto una fase mite nel Medioevo, collocabile tra il 900 e il 1200 d.C. circa, seguita da un raffreddamento più pronunciato tra la fine del XIII e la metà del XIX secolo, periodo diffusamente conosciuto come Piccola Età Glaciale. Di entrambi i momenti storici sono disponibili documenti e cronache che attestano gli effetti delle mutate condizioni climatiche sulle comunità alpine, sulle vie di comunicazione, sull’agricoltu-ra, la cui interpretazione va però effettuata con cautela. Quanto al periodo mite medievale, si trovano cenni del più agevole passaggio attraverso alcuni valichi alpini rispetto a oggi (Colle di Teleccio tra Valnontey e la Valle Orco; Colle del Teodulo tra il Breuil e Zermatt), e della diffusa coltivazione di specie tipicamente mediterranee quali la vite e l’ulivo anche in Valle d’Aosta, testimonianze che talora avevano indotto a ritenere - troppo semplicisticamente - che a quei tempi le temperature fossero nettamente più elevate di oggi. Il fatto che durante il Medioevo alcuni valichi alpini fossero praticabili non esclude necessariamente l’esistenza di ghiacciai, così come la coltivazione di specie termofile, magari spinta in condizioni marginali e con mediocre produttività, non implica per forza un clima più mite dell’attuale (peraltro anche oggi vite e ulivo prosperano sui versanti della Valle centrale rispettivamente fino a 500-600 e 700-800 m di quota).
Secondo recenti analisi paleo-climatiche, ad esempio quella condotta da OSBORN & BRIFFA (2006), l’anomalia positiva di temperatura registrata tra l’890 d.C. e il 1170 d.C. è sì in accordo con la definizione di Optimum termico medievale, tuttavia il riscaldamento osservato nella seconda metà del XX secolo mostra un’intensità, una rapidità e un’esten-sione spaziale di importanza ancora maggiore, e costituisce la più notevole caratteristica dell’evoluzione climatica negli ultimi 1200 anni, peraltro in fase con le massime concentrazioni di gas serra in atmosfera.
Dunque vi sono serie evidenze per ritenere che gli Anni 1990 siano stati i più caldi del millennio, e probabilmente anche degli ultimi 2000 anni.
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