TERRITORIO E IMPRESA
L’impresa che mette le sue radici nel territorio è come il seme di un albero, che trasforma in frutti quello che il suolo gli fornisce.
LE RADICI DELL'IMPRESA
di Flaminia Montanari
L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro
. Il primo articolo della costituzione contiene un’affermazione di cui oggi forse abbiamo un po’ dimenticato il valore: nella cultura di oggi, il lavoro viene visto prevalentemente come uno strumento per procurarsi soldi, per emergere, per acquistare potere; pochi lo sentono come un diritto di libertà, meno ancora come un modo di partecipare alla costruzione sociale. Nel panorama di ricostruzione postbellica che chi scriveva la Costituzione aveva davanti, il lavoro è invece concepito da un lato come un diritto (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, art. 4 §1) ma dall’altro come un dovere (Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, art. 4 § 2). Il lavoro è visto quindi nella Costituzione nella sua funzione di costruzione della convivenza, dello sviluppo economico, del benessere sociale; poiché il lavoro costituisce il valore aggiunto, quello che determina la trasformazione di un bene in un altro di maggior pregio e valore. Come dire che la vera ricchezza deriva dal lavoro; un concetto a cui forse ci si è un po’ disabituati, in cinquant’anni che hanno visto il nostro paese affidare il risparmio soprattutto alla rendita immobiliare. In Valle d’Aosta in particolare il veloce passaggio da un’economia rurale essenzialmente non monetaria ad un’economia terziaria è avvenuto procurandosi i capitali necessari per mezzo della vendita di case e terreni; capitali utilizzati prevalentemente per aprire un’attività turistica o per far studiare i figli, con l’intenzione di sottrarli alle difficoltà sperimentate della condizione di agricoltori.
Ma dove sono finiti oggi quei capitali? A parte quelli investiti nelle attività turistiche (ma anche qui in buona parte già concepiti o ritrasformati in mera rendita immobiliare), l’ingente capitale investito dai Valdostani negli studi dei figli, che cosa ha prodotto? Oggi assistiamo infatti a una pericolosa divaricazione tra offerta e domanda di lavoro: un’offerta ampia ma di bassa qualificazione che proviene dal settore turistico, contrapposta a una domanda di posti qualificati che viene invece dal mercato giovanile locale. Di conseguenza la nostra Regione attrae sempre più manodopera esterna a bassa qualificazione, mentre i giovani valdostani trovano sempre più lavoro all’esterno della Regione. Ciò significa che il capitale investito nella formazione va a vantaggio delle altre Regioni: esportiamo cioè il capitale umano, che è la risorsa di maggiore importanza di cui un territorio dispone per lo sviluppo. Abbiamo venduto il territorio per investire nelle risorse umane, ed ora perdiamo anche quelle.
Questa riflessione, solo apparentemente un po’ astratta, vuole fare da premessa ad un numero della rivista che abbiamo dedicato al tema dell’imprenditorialità, vista come incontro tra opportunità territoriali e capacità dei singoli e delle Comunità locali di investire per utilizzarle. Le occasioni e lo spunto possono essere offerte dal territorio stesso (in questo caso la nascita di impresa è legata alla capacità di analizzare e scoprire le risorse locali non ancora adeguatamente valorizzate), o nascere invece dal contesto generale (congiunture economiche che creano temporanee situazioni di vantaggio territoriale, capacità di cogliere tendenze e bisogni sociali nuovi non ancora pienamente espressi dalla domanda, e di immaginare nuovi modi per soddisfarli). Saper cogliere queste occasioni e investirvi le proprie capacità e risorse è ciò che chiamiamo “impresa”: l’investimento di capitali e di lavoro (materiale o intellettuale) in grado di aggiungere valore e trasferire sul mercato una risorsa territoriale in modo da generare benessere sociale. (Naturalmente, quando si parla di “risorse” o di “capitali”, ci si può riferire tanto alle risorse fisiche che a quelle immateriali o umane e sociali). Perché ciò sia vero occorre però che l’uso della risorsa, anziché esaurire le potenzialità del territorio, generi nuove economie ed occasioni; una risorsa può essere sfruttata e contemporaneamente ricostituita (come per esempio il legname), o può produrne una nuova – ad esempio, lo sfruttamento di una cava condotto con criterio può lasciare nuove aree riutilizzabili o siti da valorizzare dal punto di vista agrario o turistico. Parliamo cioè sempre di sviluppo “sostenibile”, ovvero di uno sfruttamento delle risorse che non sottragga valore al territorio, ma che lasci a disposizione di chi verrà sempre nuove occasioni.
Per rifarsi al concetto di sistema, un apporto di energia intesa sotto la forma di capitale e di lavoro può produrre una maggior complessità e un maggior grado di libertà – traducibile in qualità della vita e in allargamento delle scelte ed opportunità occupazionali per tutti gli abitanti di un territorio. La capacità di impresa del singolo accresce allora il capitale sociale e territoriale, redistribuendo i vantaggi su tutto il tessuto locale.
In questa visione l’attuale fase di adeguamento dei Piani Regolatori Comunali al PTP potrebbe essere un’occasione molto importante. Purtroppo questo “adeguamento” è stato interpretato nella gran parte dei casi, per quanto per ora si è potuto vedere, come una mera revisione normativa, esattamente al contrario di quello che era lo spirito del Piano Territoriale Paesistico, che tendeva a indicare piuttosto degli obiettivi e delle occasioni, oltre ad individuare delle criticità cui mettere riparo. Ma anche le criticità, a ben vedere, possono spesso essere interpretate come chances: il metter mano alla riqualificazione di una zona industriale dismessa o al disordine delle zone commerciali cresciute a caso può essere visto in una pura logica di rattoppo o al contrario essere inquadrato in una visione strategica come motore di sviluppo, in quanto la riqualificazione di un tassello può avere effetti di ricaduta positiva sulle zone contermini o sulle reti in cui esso è inserito, ripercuotendosi così su di un territorio più ampio e innescando circuiti positivi di nuove economie.
Sarebbe quindi oggi necessario il massimo sforzo da parte delle Amministrazioni locali nel valutare con attenzione le risorse potenziali del territorio; e questo, alla luce di quanto detto sopra, richiede per prima cosa di redigere un inventario delle risorse umane. Bisogna cioè partire dalla considerazione delle effettive attitudini, capacità e attese della popolazione - con particolare riferimento ai giovani in cerca di occupazione – e tentare di incrociare queste attese con le risorse territoriali.
Naturalmente questo processo richiede uno scambio di idee e di informazioni tra i cittadini e le Amministrazioni più intenso e collaborativo di quanto attualmente non avvenga; è un approccio che richiede infatti di togliere gli occhi dal suolo per scovare solo i ritagli che ne rimangono, guardarsi attorno e capire come vorremmo viverci, ossia partire dalla visione del come le cose potrebbero essere, e sulla base di questa visione reinterpretare il quadro territoriale. Dobbiamo cioè incominciare ad “immaginare il futuro”partendo da un lato da quello che abbiamo e che spesso non conosciamo o non consideriamo, come le risorse umane (e in questo senso la piccola dimensione dei nostri Comuni, che viene sempre vista come un limite, può essere considerata un notevole vantaggio). Ci accorgeremmo allora che quei ritagli di suolo che ci sono sembrati una risorsa scarsa potrebbero avere un valore strategico; ci renderemmo conto che in realtà il territorio ci offre molte opportunità più di quanto non ci sembri, e che necessita, più che di nuovi investimenti, di una razionalizzazione di quelli già fatti e di un miglior raccordo tra le sue strutture e chi su quel territorio vive e lavora. In quest’ottica diventa quindi fondamentale che le Amministrazioni analizzino anche le necessità formative utili ai fini della valorizzazione delle professionalità e delle capacità d’impresa dei loro cittadini: l’imprenditorialità non nasce dal nulla, ma dalla capacità di formare, oltre all’occasione, le capacità per capirla e utilizzarla. L’impresa che mette le sue radici nel territorio è come il seme di un albero, che trasforma in frutti quello che il suolo gli fornisce.
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