Attraverso i geositi finora illustrati, abbiamo avuto occasione di conoscere forme legate alla morfologia glaciale (il geosito di Bard), forme legate all’erosione dell’acqua (il geosito di Saint-Nicolas e di Guillemore) e frane (la frana storica di Bard e la recente frana di Champlong a Cogne), tutti elementi del paesaggio che da sempre hanno attirato l’attenzione dell’uomo. In questo numero andremo a scoprire un paesaggio apparentemente privo di grandi singolarità geologico - morfologiche, ma che, ad uno sguardo più attento, rivela invece di essere soggetto ad un grande movimento gravitativo noto agli esperti come depressione gravitativa profonda di versante, la cui sigla, di seguito utilizzata, è DGPV.
La depressione gravitativa profonda di versante è un movimento gravitativo estremamente lento, si parla di millimetri annui, che coinvolge spessori di roccia dell’ordine di centinaia di metri ed è un fenomeno molto diffuso che caratterizza le fasi finali della formazione di una catena montuosa (nel nostro caso le Alpi). I fattori che all’origine determinano lo scivolamento di vaste porzioni di versante possono essere molteplici: scosse sismiche, sollevamenti tettonici associati a rapida erosione fluviale, mancanza del sostegno laterale per decompressione glaciale in seguito al ritiro dei ghiacciai würmiani, presenza di livelli di rocce facilmente dissolubili, elevata energia del rilievo, fattori climatici.
Questi fenomeni oltre che per le ampie dimensioni, interessano interi versanti, si contraddistinguono a livello macroscopico da evidenze geomorfologiche quali sdoppiamenti delle creste, scarpate, depressioni chiuse, rocce disarticolate, fratture profonde la cui evoluzione può portare alla formazione di trincee, intensa produzione di detrito e fenomeni di rigonfiamento che conferiscono al versante un marcato profilo convesso. Negli stati evolutivi più avanzati, le DGPV possono inoltre evolvere in frane vere e proprie. La descrizione del fenomeno può indurre a pensare che i luoghi interessati da DGPV siano tetri e cupi; al contrario sono generalmente luoghi paesaggisticamente molto belli, si pensi al Mont de la Saxe a Courmayeur, alla Motta di Pleté a Cervinia, al versante tra la punta Palettaz e Lavassey in Val di Rhêmes, a Vollein sopra Quart, al Mont de Ros ad Emarèse.
Andando a visitare il geosito di Emarèse abbiamo subito l’impressione di trovarci in una località molto amena. Il profumo del fieno in estate e le tipiche case in stile walser ci portano con la mente in un ambiente agreste d’altri tempi. Il versante su cui sorge il comune di Emarèse ed in particolare l’abitato di Erésazè infatti caratterizzato da un’ampia spalla glaciale coltivata a prato delimitata a NE da un’imponente cresta rocciosa. Uno sguardo più attento però ci mostra subito che il settore è pervaso da una potente coltre di materiali detritici, ed è contraddistinto da ampie zone subpianeggianti separate da balze rocciose dove affiora la litologia del substrato riconducibile al complesso dei calcescisti ofiolitici, rocce con caratteristiche meccaniche per lo più scadenti. Dal punto di vista idrogeologico si rileva la mancanza di un reticolo idrografico superficiale definito. Oltre a queste caratteristiche morfologiche generali, l’itinerario proposto consente di riconoscere una serie di elementi significativi che ci permettono di capire i meccanismi deformativi in atto. Se qualcuno volesse compiere una breve passeggiata lungo la cresta del Mont de Ros, raggiungibile dall’area pic-nic del Col Tsecore, si renderebbe immediatamente conto di trovarsi in un luogo dove c’è qualcosa di anomalo: infatti la morfologia molto accidentata è caratterizzata da depressioni chiuse, continui sali-scendi, fratture nel terreno, trincee, affioramenti rocciosi disarticolati. Se invece non desiderate avventurarvi troppo, da Erésaz con un comodo sentiero è possibile raggiungere la Borna da Ghiasa. Tipica espressione di un settore in DGPV, l’ampia fessura era un tempo utilizzata, nel periodo estivo, per tenere al fresco gli alimenti, data l’aria fredda che vi spira all’interno; a testimonianza dell’uso attivo vi sono iresti di una porta in legno datata 1892.
Questo fenomeno è dovuto ad un sistema di fessure collegate tra loro ed in particolare si verifica quando due o più fratture si trovano ad una quota diversa; in estate la frattura alla quota più elevata aspira aria che si raffredda nel percorso all’interno delle rocce e fuoriesce come aria fredda dalla frattura posta a quota inferiore. Da notare, salendo, la frana di recente formazione. Sempre da Erésaz, percorrendo la caratteristica mulattiera che si snoda a mezzacosta sotto la cresta del Mont de Ros, ci si addentra in un susseguirsi di paesaggi e di elementi apparentemente insoliti ma ben comprensibili se interpretati nell’ottica del fenomeno in atto. Cartina alla mano, appena imboccata la mulattiera ci aspettiamo di trovare un lago, il Lago di Lot, ma in realtà notiamo soltanto una piccola depressione, e dell’acqua neanche l’ombra… come mai? Il Lago di Lot è un lago effimero in depressione gravitativa originatasi in depositi glaciali compatti e impermeabili che possono aver favorito la formazione del lago. Il piccolo invaso è soggetto a fenomeni discontinui di riempimento dovuti a variazioni del livello della falda acquifera probabilmente correlate a deviazioni dello sbocco della sorgente alimentatrice connesse con il lento scivolamento del versante. Il lago, escludendo l’eccezionale episodio legato all’alluvione dell’ottobre 2000, è ormai privo di acqua da circa 10 anni; denominato affettuosamente Lago Fantasma, farebbe la sua apparizione per annunciare l’inizio di un periodo favorevole. (Nella caratteristica trattoria del paese di Erésaz è possibile osservare la fotografia testimoniante l’evento del 2000).
Proseguendo lungo la mulattiera, ad un certo punto il paesaggio muta radicalmente: il bosco lascia infatti il posto ad immense falde detritiche che conferiscono al luogo un aspetto lunare. L’intensa produzione di detrito individuabile in queste ampie falde di estensione chilometrica che orlano la base della cresta del Mont Ros è un chiaro indizio di un settore in deformazione. Il versante è infatti caratterizzato dalla presenza di blocchi rocciosi a granulometria variabile prodotti dalla disgregazione della parete rocciosa a monte. Se poi dalle falde detritiche si osserva verso est si nota un curioso cupolone completamente vegetato: è il primo dei due torrioni che si incontreranno lungo il percorso.
La formazione di questi torrioni è dovuta sia ai fenomeni gravitativi che interessano il versante nel suo complesso, sia all’azione dell’acqua associata a forti variazioni di temperatura che, agendo su fatturazioni preferenziali della roccia stessa, ne provocano lo sfaldamento e lo sgretolamento, risparmiando soltanto le parti più compatte; queste ultime restano in posto, quasi isolate dal resto della massa disgregata, costituendo così caratteristici torrioni più o meno elevati. I due torrioni, ormai totalmente separati dalla parete di origine, rappresentano due stadi evolutivi diversi: il cupolone, è più antico, più ampio, completamente vegetato e separato dal settore di cresta attraverso un’ampia trincea; il più recente, visibile alla fine del percorso proposto, si presenta invece come una possente torre di serpentinoscisto alta circa 10 m di forma prismatica e parzialmente fratturata. Quest’ultimo è conosciuto come Flambeau d’Arlea o Bec dell’Uja, nome assegnatogli dai valligiani, per la sua somiglianza al becco dell’aquila. Approfittando delle sue lunghe fessurazioni è stato possibile scalarlo: sono ben visibili vecchi cunei di legno e chiodi di ferro. L’area circostante il Flambeau d’Arlea è costituita da enormi blocchi, a testimonianza della continua attività gravitativa del settore. Ben visibile anche la cresta del Mont de Ros, la cui parte mediana è attraversata da una bellissima vena di quarzite: se ne trovano blocchi di svariata dimensione lungo la base della cresta. Ad ulteriore testimonianza della deformazione avvenuta osserviamo come l’area di accesso ai torrioni sia pervasa da una serie di vallecole originatesi per scollamento dal versante.
L'ITINERARIO
Quota: compresa tra 1150 m e 1611 m.
Durata della visita: 1 giornata.
Periodo consigliato: primavera, estate, autunno; in inverno l’itinerario è praticabile in assenza di neve. Data la vastità dell’area interessata dal fenomeno di DGPV il percorso proposto è costituito da tre itinerari indipendenti tra loro: il primo, accessibile dall’area picnic del Col Tsecore, consente di osservare la morfologia accidentata della cresta e di avere un bellissimo panorama sulla vallata principale, il secondo conduce alla Borna della Ghiasa, il terzo consente di vedere il Lago di Lot, le falde detritiche ed i due torrioni.
Itinerario 1 - Da Saint-Vincent seguire le indicazioni per il Col du Joux fino al bivio per il Col Tsecore; prendere questa direzione fino al colle dove è possibile parcheggiare l’auto di fronte all’area pic-nic. Entrare nell’area pic-nic situata sulla destra e salire la scalinata; dopo aver superato lo chalet in legno proseguire verso destra lungo un sentiero, netto fino ad una piccola radura, quindi seguire i segni, rossi e bianchi, di confine forestale verso la cresta spartiacque tra il comune di Emarèse e quello di Challand St. Anselme.
Tempo di percorrenza: ore 0,45 a/r.
(Sulla cresta attenzione al dirupo!).
Itinerario 2 - Da Saint-Vincent seguire le indicazioni per il Col du Joux; dopo alcuni km imboccare il bivio per il Col Tsecore fi no ad incontrare le indicazioni per Erésa - Emarèse. Proseguire lungo questa strada; superate le prime case di Erésa, sulla sinistra è visibile un cartello giallo un po’ rovinato con l’indicazione per la Borna da Ghiasa raggiungibile seguendo il segnavia n° 6.
Tempo di percorrenza: ore 1,15 a/r.
Itinerario 3 - Dalle prime case di Erésa (vedi itinerario 2) proseguire lungo la strada fino al centro del paese e prima del Municipio svoltare a sinistra; attraversare il paese fino ad incontrare i cartelli gialli della sentieristica. Scarsa possibilità di parcheggio. Proseguire a piedi seguendo il sentiero 4 che si snoda principalmente a mezzacosta; in corrispondenza del bivio dove è stata innalzata una grande croce in legno proseguire diritto. Giunti al punto in cui si comincia ad osservare il Bec de l’Uja imboccare un piccolo sentiero sulla sinistra che, fiancheggiando la cresta, conduce direttamente al torrione.
Tempo di percorrenza: ore 3 circa a/r.
Bibliografi a:
- Mortara G., Sorzana P.F., 1987- Fenomeni di depressione gravitativa profonda nell’arco alpino occidentale italiano. Considerazioni lito-strutturali e morfologiche. Boll. Soc. Geol. It., 106, 303-314, 10 ff.
- Sacco F., 1934 - Le Alpi. Edito a cura del Touring Club Italiano, 697 pp.