L'Unione europea è una delle aree
economiche più ricche del mondo, ma presenta forti
disparità tra i suoi Stati membri e ancor più
tra le sue circa 250 regioni.
Quantificarle significa innanzitutto misurare e raffrontare
il grado di ricchezza di ciascuno, ossia il prodotto interno
lordo (PIL). In Grecia, Portogallo e Spagna, ad esempio,
il PIL medio pro capite non raggiunge l'80% della media
comunitaria, mentre il Lussemburgo la supera di oltre 60
punti percentuali. Il PIL delle dieci regioni più
dinamiche dell'Unione è circa il triplo di quello
delle dieci regioni meno sviluppate.
In altri termini, il fatto di abitare in una regione prospera
o arretrata, in una zona dinamica oppure in crisi, in città
o in campagna, alla periferia dell'Unione o in uno dei poli
centrali di sviluppo, determina delle differenze riguardo
alle possibilità di successo di fronte alla sfida
della mondializzazione.
L'Unione europea non si limita tuttavia ad una semplice
partecipazione finanziaria, ma inquadra gli interventi locali
in una prospettiva comunitaria e attraverso la sua politica
regionale completa, laddove è necessario, il mercato
interno e l'unione economica e monetaria.
Le nuove sfide
All'alba del terzo millennio la politica regionale
europea deve affrontare tre nuove grandi sfide:
L'Unione apre le porte a nuovi paesi le cui condizioni
economiche e sociali sono spesso più sfavorevoli
di quelle delle regioni meno sviluppate dei quindici
Stati membri attuali. Da cui la necessità di
fornire aiuti nella fase di preadesione.
|
|
Con la liberalizzazione degli scambi su scala mondiale,
la concorrenza si è inasprita e le imprese si insediano
dove trovano le condizioni migliori per accrescere la loro
competitività (infrastrutture e servizi efficienti,
manodopera qualificata) che le regioni meno attrezzate non
sono in grado di creare in tempi brevi senza il necessario
sostegno.
La rivoluzione tecnologica e la società dell'informazione
esigono una capacità di rapido adattamento a una
situazione in continuo divenire ed è perciò
indispensabile offrire a tutti i cittadini dell'UE la possibilità
di accedere al know-how più avanzato, attraverso
strumenti adeguati (reti di telecomunicazione, innovazione
e formazione professionale di alto profilo).
Le riforme come chiave del successo
Nel 1999 l'Unione europea ha ricevuto dagli Stati membri
nuove risorse finanziarie per moltiplicare i suoi interventi
nel periodo 2000-2006. Questo pacchetto di provvedimenti,
noto come Agenda 2000, è stato accompagnato da una
serie di riforme riguardanti le grandi politiche dell'UE.
La nuova politica regionale tende a concentrare gli aiuti
nelle aree più arretrate, con gravi carenze nel campo
delle infrastrutture e della formazione e scarso dinamismo
economico, attraverso una minor dispersione degli interventi
e un radicale cambiamento dei sistemi di gestione dei fondi
comunitari.
Era infatti indispensabile riconoscere che gli Stati membri
e le regioni avevano tutto l'interesse a decidere in modo
autonomo il loro futuro. Assegnata loro la responsabilità
principale della gestione degli aiuti finanziari concessi,
la Commissione interviene ormai solo per verificare l'efficacia
dei sistemi di controllo messi in atto.
I paesi candidati all'adesione non sono stati dimenticati,
in quanto vengono loro forniti nuovi aiuti di preadesione
per la tutela dell'ambiente e lo sviluppo dei sistemi di
trasporto. Non appena diventeranno membri, beneficeranno
di altri aiuti strutturali già previsti.
Un valore aggiunto reale
Subito dopo l'adozione della normativa per il periodo 2000-2006,
la Commissione europea ha indicato le priorità delle
nuove strategie di sviluppo economico e sociale, cui si
ispirano i progetti degli Stati e delle regioni. Queste
strategie tengono conto delle particolari esperienze concrete,
a livello nazionale e locale, che hanno avuto maggiore efficacia
nell'ambito dell'Unione. Possiamo dire pertanto che la proposta
di un modello europeo di sviluppo regionale non rappresenta
un'imposizione dall'alto, bensì un'opportunità
in un mondo sempre più globalizzato.