Basta salire la collina di Aosta, o affacciarsi dal curvone della statale per il Gran San Bernardo, per cogliere a colpo d’occhio la struttura attuale della città e per rendersi conto che in questo assetto urbano i confini comunali non sono neppure più chiaramente percepibili; la Dora costituisce ancora l’unico margine netto, ma più che altro perché marcato dalla rigidità delle arginature e dalla sottolineatura dell’autostrada, mentre il tessuto insediativo si sviluppa in tutto il piano con continuità, per diradarsi solo via via che si sale sui fianchi della Valle centrale e in corrispondenza dei valloni laterali. Oltre la metà della popolazione della Valle d’Aosta risiede nel fondovalle, da Saint-Pierre a Saint-Marcel; e, se consideriamo i movimenti pendolari, l’influenza dell’area aostana va ancora oltre questo nucleo di più strette relazioni. Se pensiamo “Aosta” in effetti non pensiamo più solo al comune di Aosta nei suoi confini, ma a tutto il complesso di insediamenti attorno al polo urbano che costituiscono con esso un unico sistema funzionale; si tratta di una città diffusa sul territorio, con un polo centrale denso ma con una marcata differenziazione tra le diverse parti e con una quantità di poli minori, costituiti, di massima, dagli antichi nuclei comunali della cintura, che
potrebbero essere definiti alla stregua di quartieri urbani. Alla consapevolezza della necessità di far fronte alla nuova dimensione della conurbazione urbana ha corrisposto la creazione del Conseil de la Plaine, che raggruppa con Aosta i sedici comuni di cintura. Il Conseil ha lo scopo di favorire il raccordo delle decisioni e le economie di scala nella gestione dei servizi. Alcune parti del territorio hanno connotazioni tipologiche e architettoniche ben definite, belle o brutte che le si voglia considerare: la città romana nella sua cinta muraria, il quartiere Cogne, il quartiere Dora, i nuclei storici, ma anche la zona fuori mura di Saint- Martin-de-Corléans e viale Europa, l’area Cogne, la zona commerciale dell’Amérique, lungo la statale da Aosta a Quart; altre si presentano smarginate e confuse, intervallate da attività di cava o di deposito, frammiste di costruzioni residenziali e capannoni nati senz’ordine per lo più a nastro lungo le strade. La conurbazione aostana presenta, quindi, un carattere complesso e vario, in cui si distinguono ancora gli antichi nuclei originari, che hanno mantenuto una loro identità e una funzione di fornitori di servizi di prossimità, ma in cui emergono anche nuove aggregazioni con funzioni e caratteri propri, come le aree commerciali o le nuove zone residenziali (l’Amérique, Borgnalle, la zona tra Aosta e Sarre…), collocate per lo più a saldatura tra comuni confinanti.
Pur avendo le caratteristiche di una città, sia pur di piccole dimensioni la Plaine non si comporta però come tale. La presenza di sedici amministrazioni comunali, su un territorio legato da strette interrelazioni, implica infatti una molteplicità di decisori che non è facile raccordare. Legittimamente ogni amministrazione persegue i suoi obiettivi, cercando di tracciare una sua linea di sviluppo locale; ma spesso si scontra con problemi la cui origine o la cui soluzione non è congruente con l’ambito territoriale del Comune. Avviene così molto spesso che un’amministrazione si trovi a rispondere a pressioni (quali la richiesta di residenza o di trasporti pubblici) che dipendono da fattori del tutto esterni e non legati alle sue politiche, ma a quelle dei Comuni confinanti: se per esempio un Comune decide di disincentivare le nuove costruzioni, la domanda si riverserà sui Comuni contermini, che vedranno così crescere la loro popolazione e si troveranno a dover adeguare la loro offerta di servizi, anche se ciò non era nelle loro immediate previsioni. Questa dipendenza dalle decisioni altrui è poi ancor più marcata per i comuni della cintura nei confronti del Comune di Aosta, per l’elevato effetto polare che questo esercita su tutta la Plaine; basta guardare l’intasamento del traffico in arrivo su Aosta dalle sette alle otto di mattina e in uscita dalle cinque e mezza alle sei e mezza del pomeriggio per rendersi conto che il funzionamento di questa “città diffusa” non è certo ottimale. Ma, nella maggior parte dei casi, i comuni della cintura possono soltanto cercare di rendere più fluido il traffico allargando strade e costruendo rotonde, poiché i tempi e i modi dell’organizzazione urbana esulano dalle loro competenze: si trovano a dover affrontare sul loro territorio le conseguenze di un’organizzazione che dipende da altri, cioè a curare i sintomi invece della malattia. Si verifica quindi spesso una contrapposizione tra i comuni di cintura ed Aosta, che viene da questi individuata come l’origine dei loro problemi. La città di Aosta, d’altra parte, è il maggiore fornitore di servizi non solo per la cintura ma per tutta la Regione, e deve affrontare problemi di natura e di scala molto diversa da quelli dei comuni vicini; questo è il motivo che rende spesso difficile un dialogo paritario tra i diversi attori, che permetta di affrontare in maniera simmetrica i nodi critici dell’organizzazione territoriale. E d’altronde, pur se ne rimane il nodo principale, Aosta non è l’unica fonte di tutti i problemi – il traffico e il disordine edilizio dell’Amérique fanno riflettere sulle
responsabilità di ognuno nell’uso e nella gestione del territorio. La conseguenza di questa situazione, al di là dei meriti e delle colpe, è che la Plaine non riesce ancora a riconoscersi come uno spazio territoriale funzionalmente interconnesso, e, quindi, le politiche messe in atto dai singoli comuni rischiano troppo spesso di essere vanificate dalle scelte degli altri, o viceversa di spostare semplicemente i problemi a casa altrui invece di risolverli alla radice. Ma sarebbe sbagliato voler vedere solamente le difficoltà: la Plaine ha invece anche una ricchezza e delle potenzialità di grande valore. Nel complesso, la “città aostana” offre infatti un ambiente residenziale particolarmente pregiato, proprio per il suo carattere “diffuso” che propone una dimensione sociale vivibile e regala un contatto con l’ambiente naturale che generalmente uno spazio urbano non è in grado di offrire. Una piccola città a misura d’uomo, in cui è ancora possibile far visita a un amico, coltivare un orto, fare una passeggiata nel verde o andare in biblioteca anche nei ritagli di tempo, senza dover affrontare lunghi percorsi o dover relegare queste attività nei fine settimana dividendo la propria vita in “tempo schiavo” e “tempo libero”, con l’assurda conseguenza che il tempo libero, abituati ai ritmi del quotidiano, invece di uno spazio di distensione e recupero diventa molte volte un vuoto da riempire con nuovi frenetici consumi. Il tempo libero dedicato invece al giardino o all’orto, a camminare in montagna e godere di una giornata di sole, a spaccar legna per il camino o a una gita in compagnia, a sciare durante la settimana evitando le code del weekend, è una ricchezza che ben poche città possono offrire ai loro abitanti. E questi vantaggi sempre più assumono valore nella nostra società contemporanea, prova ne sia il fenomeno dell’ultimo ventennio della fuga dalle metropoli per rifugiarsi nelle piccole province e il mito della casa uni o bifamiliare con il giardinetto – moltiplicato in nuove alienanti periferie di villette senza più alcun tessuto sociale dove si vive ancora una volta, nell’apparente quiete, la solitudine urbana. I piccoli nuclei dei comuni della Plaine aostana offrono, invece, ancora un tessuto sociale, servizi di prossimità, e soprattutto un senso identitario che, se da un lato alimenta il campanilismo e le divisioni tra i comuni , dall’altro permette ai nuovi abitanti di riconoscersi in breve tempo nel
territorio e di essere riconosciuti nella comunità locale. Eppure i nostri comuni stentano ancora a valutare questo potenziale, sembrerebbero quasi spinti da un senso di inferiorità ad adeguarsi piuttosto a quei modelli urbani che della città costituiscono la parte più negativa; vediamo, infatti, proliferare parcheggi, marciapiedi e parchi giochi, e la più grande attenzione è posta ad allargare le strade per velocizzare il traffico – salvo poi dover mettere dossi artificiali e dissuasori per costringere gli automobilisti a rallentare negli abitati. Anche se queste opere non sono di per sé inutili, a mio parere esse costituiscono un tamponamento con mezzi, ancora una volta, presi a prestito dalla cultura urbana, che diminuiscono anziché aumentare il valore del nostro patrimonio abitativo; sarebbe necessario riflettere in maniera più complessiva su alcune opportunità poco valutate offerte dalla struttura insediativa storica, quali il recupero della pedonalità (non intesa come marciapiedi a lato di uno stradone, ma come sistema di accesso privilegiato alla residenza e ai servizi), la valorizzazione dei sentieri e la loro minimale attrezzatura con punti di sosta e di gioco - l’uso tradizionale dei prati appena sgombri dalla neve per il gioco dello tsan o del fiollet dovrebbe farci riflettere anche sulla stagionalità come bene culturale prezioso che permette di variare le offerte nel corso dell’anno… E poi non dimentichiamo la grande risorsa costituita dagli orti periurbani: mentre ovunque se ne sta rivalutando l’importanza, tanto agli effetti del mantenimento del verde che a quelli economici e di igiene mentale, e dappertutto in Europa nascono associazioni per la loro salvaguardia e promozione e i Comuni acquistano gli incolti per darli in affitto ai residenti, da noi l’abitudine alla loro presenza nel tessuto tradizionale non ci permette ancora di apprezzarne l’immenso valore e, anziché proporre la loro moltiplicazione per dotarne sempre più ampiamente i residenti urbani, vediamo questi spazi residuali giornalmente erosi per ricavarne i mitici posti macchina o per altri usi squalificanti. L’ancora recente dibattito sulla trasformazione degli orti della Tourneuve in “giardino pubblico” è un
esempio significativo della nostra sudditanza a modelli culturali estranei. Ciò che quindi occorrerebbe, da un punto di vista della pianificazione, è la capacità di rileggere il territorio alla scala e dimensione delle funzioni urbane e delle risorse in gioco, che superano quasi sempre la scala delle singole Amministrazioni comunali. È pur vero che il Piano Territoriale Paesistico richiede ai Comuni, nell’adeguamento dei loro piani regolatori, di coordinarsi con i comuni contermini; ma ciò non è sufficiente a garantire una visione sovraccomunale, tutt’al più può essere utile a degli accordi sugli spazi di confine. Ciascuna parte del territorio, infatti, indipendentemente dai confini, presenta proprie caratteristiche e valenze peculiari, che possono costituire un’offerta anche di tipo più generale, non solo rivolta ai residenti, ma anche ad una fruizione di più ampio raggio. Il polo commerciale dell’Amérique, tanto per fare il solito esempio, che si estende lungo la Statale in realtà ben oltre il toponimo, dalle porte di Aosta fino a buona parte di Quart, rappresenta oggi l’area economicamente più forte di tutta la Regione e raccoglie il maggior numero di lavoratori: ma, nato quasi per processo spontaneo e trovandosi sul territorio di tre Comuni, non ha ancora trovato la chiave per una sua riorganizzazione, e risulta quasi ignorato dai servizi di trasporto pubblico pur essendo meta di gran parte dei flussi da Aosta e dal resto della Regione. Questa parte di territorio, quindi, ha bisogno di un riconoscimento di dimensione e di ruolo nel quadro regionale, che la metta al centro di un accordo tra i Comuni in ordine ad una razionalizzazione degli spazi, della circolazione, dei servizi ed a un miglioramento della sua immagine complessiva. Ma non diverso potrebbe essere il discorso per altri grandi temi, quali i poli amministrativi, che oggi costringono il cittadino ad un vero pellegrinaggio su tutto il territorio e mancano spesso di adeguata visibilità e servizi di trasporto; o per il sistema dell’offerta scolastica e culturale, o ancora per quanto riguarda l’offerta di natura. Rispetto a quest’ultima, in particolare, sarebbe interessante una riflessione sugli effetti positivi che la “rete del verde”, intesa come sistema territoriale, potrebbe avere sui comuni dell’envers, che presentano da questo punto di vista una ricchezza di risorse intatte e di alto pregio, quasi mai o troppo poco considerate nelle offerte territoriali. Un sistema dell’offerta verde, dotato di servizi di trasporto a richiesta e declinato in tutta la gamma delle attività possibili, dalla passeggiata accessibile ai portatori di handicap e ai passeggini, agli itinerari a cavallo, alla canoa, all’escursionismo, alla visita scientifica o culturale, all’esplorazione naturalistica, che potrebbe rivolgersi sia ai fruitori urbani, integrando e valorizzando così l’offerta residenziale, quanto ad un pubblico esterno, generando diffuse attività turistiche di nicchia, capaci di indurre nuove economie durevoli, che non intacchino cioè la risorsa stessa, alimentando e giustificando in termini economici la sua manutenzione.
In conclusione, la Plaine rappresenta oggi per la Valle d’Aosta una grande sfida aperta nel settore della gestione del territorio, invitandoci a mettere in essere una pianificazione che nasca dal riconoscimento delle realtà stesse come storicamente si sono configurate, volute o non volute, e che restituisca ai luoghi la loro dignità e alle funzioni la loro razionalità; una pianificazione condivisa tra tutte le amministrazioni coinvolte e che sappia cogliere le reali opportunità piuttosto che intervenire volta a volta per punti a minimizzare gli impatti negativi. La Plaine può essere un modello abitativo di straordinario interesse e qualità, purchè si vogliano finalmente affrontare alcuni dei nodi cruciali dell’organizzazione territoriale: tra questi di importanza strategica sono la riorganizzazione del trasporto pubblico, il recupero ambientale della Dora, la rete del verde, la razionalizzazione dei poli amministrativi e culturali, il ridisegno del centro commerciale dell’Amérique. Questi temi hanno una dimensione che implica una collaborazione, non solo tra tutti i Comuni territorialmente coinvolti, ma anche con attori e investitori pubblici e privati che possano avere interesse a entrare in gioco; di conseguenza dovremo anche cercare e costruire nuove modalità che permettano a soggetti, spesso eterogenei per finalità, logiche e cultura, di lavorare insieme a un obiettivo comune. Affrontare nella loro dimensione i grandi nodi della struttura territoriale della Plaine vuol dire disegnare la sinopia di un mosaico sulla cui traccia i Comuni della cintura aostana – ed Aosta stessa – possano finalmente collocare efficacemente tutti i tasselli della loro pianificazione.