L'Orestes Hütte nasce da un’idea di Arturo e Oreste Squinobal, guide alpine e falegnami di Gressoney. Accompagnando numerosi clienti attraverso il gruppo del Rosa ed alle sue pendici, individuarono la zona dove ora sorge l’Orestes Hütte: il coronamento di un sogno antico. La scelta del luogo è stata dettata dalla loro esperienza personale in qualità di frequentatori di rifugi ed esperti montanari. I problemi con cui i rifugi solitamente si trovano a confronto sono principalmente un approvvigionamento idrico adeguato e le fonti energetiche. La piana di z’Indra si rivela dunque perfetta: è presente una sorgente di acqua potabile (non di fusione), attiva per tutto l’arco dell’anno, mentre la presenza del ghiacciaio di Indren a monte è la soluzione parziale alla richiesta energetica. In presenza di una certa portata di un corso d’acqua e di un determinato dislivello è possibile produrre energia elettrica tramite una turbina ad acqua. Oltre alle conoscenze da uomini di montagna, i due fratelli hanno la capacità tecnica di costruire un rifugio grazie agli anni d’esperienza accumulata in falegnameria. Ecco le premesse per far sì che il sogno si realizzi. Purtroppo proprio quando il terreno è acquistato, i permessi acquisiti, e i progetti pronti, Oreste si scopre malato di tumore e nell’autunno del 2004 lascia i suoi cari. Il cantiere per la costruzione verrà avviato l’anno successivo ed il rifugio vedrà la sua inaugurazione nel 2010. Naturalmente porterà il nome di Oreste. Da buoni Walser i due fratelli Squinobal hanno pensato ad una costruzione che si inserisse armoniosamente nella meravigliosa conca di Indren, che si integrasse con l’ambiente e che fosse vivibile tutto l’anno.
Architettura walser
Il rifugio si sviluppa su tre piani di cui uno semiinterrato in cemento armato che funge da fondamenta ad una struttura in legno lamellare stile blockbau, la tecnica architettonica impiegata negli stadel walser. Il legno utilizzato è l’abete rosso che unisce resistenza e leggerezza, caratteristiche fondamentali per una struttura di queste dimensioni. Il tetto è in lose. La scelta è dettata dalle esigenze della struttura: infatti, il carico sul tetto è fondamentale per la chiusura dei giunti. La tradizione incontra l’evoluzione con l’impiego dei migliori materiali isolanti. Anche gli arredi sono prevalentemente in legno e buona parte del legname proviene dai dintorni ed era stata già preparata anche da Oreste.
Soluzioni energetiche
La scelta dei materiali costruttivi è rivolta al massimo potere isolante: i 20 cm di spessore delle pareti in legno del rifugio garantiscono una bassa trasmittanza. L’isolamento del tetto è costituito da 15 cm di polistirene ed i serramenti utilizzati sono in larice da 10 cm con triplo strato di vetro e argon. Il locale seminterrato è circondato da un’intercapedine di 75 cm, efficace barriera per le basse temperature e per l’umidità. Dove l’energia è scarsa, l’attenzione si concentra innanzitutto sul risparmio energetico: il cosiddetto negavat o il principio della casa passiva per ridurre al minimo i consumi energetici. La corrente elettrica, come anticipato, è prodotta tramite un mini idrico che può variare la produzione da 5 a 30 kW a seconda delle portate a disposizione. L’acqua è captata da un piccolo bacino posto nelle vicinanze del rifugio e turbinata dopo un salto di circa 100 metri. Una struttura di questo genere necessita di una potenza di 15 kW per permettere ai gestori di lavorare. Questa condizione viene meno nel periodo invernale (dicembre-marzo). Si sopperisce alla mancanza con il supporto di un generatore a combustione interna nei momenti di picco di domanda energetica. Il problema non sussiste per il resto dell’anno. Per evitare l’utilizzo del gruppo elettrogeno il desiderio è di connettersi alla rete elettrica per compensare le necessità energetiche invernali con la sovrapproduzione estiva. L’installazione di pannelli solari termici risponde alla domanda d’acqua calda sanitaria e nel contempo fornisce al rifugio un riscaldamento adeguato sia d’estate che d’inverno grazie al loro posizionamento con due diverse pendenze (la maggiore pendenza dei pannelli sul parapetto della terrazza riesce a sfruttare adeguatamente il basso sole invernale). Con una superficie di 65 m2 ed un accumulo di 5000 litri d’acqua, il sistema provvede a fornire l’acqua calda necessaria per le esigenze del rifugio. In caso di maltempo, o di grande richiesta causa basse temperature (sempre nei mesi invernali), interviene una caldaia a gas a condensazione (35 kW). La caldaia viene spenta completamente per 8 mesi all’anno. In questo periodo è sufficiente la potenza del sole e l’utilizzo, tramite resistenze elettriche, dell’energia non utilizzata proveniente dalla microcentrale elettrica. Il rifugio, sui tre piani, è dotato di riscaldamento a pavimento (3.5 km di tubo), che lavora in perfetta sintonia con i pannelli solari poiché a differenza di un radiatore classico necessita di temperature inferiori (max 30 gradi) per scaldare, mentre in un termosifone classico l’acqua circola a 50 gradi. Tutto il sistema è regolato da un quadro di comando elettronico che coordina, pompe, attuatori e sensori di temperatura.
Approvvigionamento idrico
La sorgente viene captata a monte del rifugio nel bacino idrico della Salza. In questo bacino non sono presenti ghiacciai, ma più probabilmente sono i vari strati di permafrost a permettere un approvvigionamento idrico adeguato anche in inverno. Le acque sono raccolte in una vasca interrata di cemento armato da 30.000 litri e connessa al rifugio tramite un acquedotto interrato a 120 cm per evitare rischi legati al gelo. In tre anni dall’apertura l’acqua non è mai venuta a mancare permettendo così di garantire l’accoglienza anche durante il periodo invernale. Chiaramente si cerca di limitarne il consumo e di sensibilizzare anche la clientela a riguardo.
Inserimento nell’ambiente
Utilizzando materiali quali il legno e la pietra in stile walser ed essendo collocato in una conca naturale, il rifugio risulta ben inserito nell’ambiente circostante sia in inverno che in estate. È molto difficile far rimarginare delle ferite aperte nella terra in un cantiere a 2600 m, ma, intervenendo con tecniche di inerbimento d’alta quota, analizzando le specie presenti e ricercando sul mercato del seme analogo alle specie preesistenti, concimando e irrigando, si è riusciti ad ottenere un risultato soddisfacente. Nelle parti in pendenza sono state utilizzate tecniche antierosive mediante il posizionamento di juta intrecciata per evitare il dilavamento di sostanze organiche e semi. Per quanto concerne i reflui, gli stessi vengono convogliati in una vasca Imhoff svuotabile tramite mezzi meccanici a valle del rifugio. In estate verranno effettuate delle analisi sull’acqua di uscita della vasca per verificare i parametri. Oltre all’impegno della famiglia Squinobal con la collaborazione di molti amici e validi esperti, la realizzazione dell’Orestes Hütte è stata resa possibile da un sostanziale contributo della Regione Autonoma Valle d’Aosta. La filosofia alla base del rifugio è volta ad un’accoglienza familiare ed un armonioso inserimento nella natura. Per quanto, soprattutto d’inverno, la natura mostri i suoi lati più duri ed ostili con il freddo, la neve e il vento, l’Orestes Hütte è un caldo e confortevole rifugio per tutto l’anno.