Torbiere e paludi sono ambienti poveri di ossigeno a causa del ristagno d’acqua, in cui si accumula il detrito organico vegetale che non viene decomposto e fossilizza. È ben nota la loro importanza come ambienti ricchi di biodiversità, mentre è spesso trascurato lo straordinario valore paleoecologico, paleoclimatico ed archeologico dei depositi che si sono accumulati al di sotto della superficie visibile. L’ampia distribuzione geografica ed altitudinale e la sensibilità nel registrare le variazioni climatico-ambientali fanno delle torbiere una preziosa fonte di informazioni per ricostruire l’evoluzione del paesaggio circostante, nonché il clima e gli avvicendamenti delle attività dell’uomo. In questo articolo vengono illustrate le potenzialità del patrimonio di torbiere e paludi in Valle d’Aosta, una regione ricca di aree umide soprattutto nella fascia altitudinale compresa fra 1500 - 2300 metri di quota, alcune delle quali possono spingersi indietro nel tempo fino a oltre 15000 anni fa. Recenti ricerche, promosse dal C.N.R. – Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali di Milano, dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione Valle d’Aosta e dall’Università di Milano Bicocca, si sono concentrate su alcune torbiere nella Valle di La Thuile, sul Monte Fallère e nella Valle di Gressoney (figura 1). Le indagini rivelano la storia delle foreste e dei ghiacciai dalla fine dell’ultima glaciazione, e le trasformazioni del paesaggio causate dalle attività dell’uomo a partire dalla preistoria.
Il racconto delle torbiere: dalla storia delle foreste e dei ghiacciai ai funghi coprofili, ai drenaggi e gli interventi degli antichi pastori.
La torba è un deposito formato da resti di piante macroscopiche che si accumulano nel sito in cui si sono sviluppate, con un regime pressoché continuo nel tempo. La torba intrappola polline, legno, carbone, aghi di conifere, frutti, semi e alghe che fossilizzano e che si estraggono in laboratorio. Dall’identificazione di micro e macrofossili, abbinata alla datazione radiocarbonica e ad analisi geochimiche dei sedimenti, si ricostruisce il clima e l’ambiente del passato.
Alcuni esempi che vi illustriamo in questo articolo: il polline fossilizzato (figura 2b) racconta delle oscillazioni della foresta e dei ghiacciai, mentre le microparticelle di carbone (figura 2c) documentano incendi e focolari preistorici; le spore di funghi coprofili e i parassiti intestinali fossili (figura 2d) testimoniano delle antiche fasi di stabulazione del bestiame; ancora, le alghe (figura 2e) permettono di ricostruire le oscillazioni di profondità che ricostruiscono la stagionalità più o meno asciutta del clima. Inoltre, fin dalla preistoria, i malgari hanno modificato o talora creato ex novo laghetti per abbeverare il bestiame, oggi divenuti torbiere o prati. Queste antiche pozze possono essere riconosciute tramite prelievo di carote di sedimento (figura 2a).
Decifrare il messaggio delle torbiere: dalle carote al microscopio
Il punto di partenza di una ricerca paleoecologica sulle torbiere è il carotaggio. Utilizzando semplici carotieri manuali o sonde motorizzate si estraggono dal terreno cilindri di sedimento (figura 2a), che vengono poi trasferiti in laboratorio per i trattamenti chimici e di setacciatura. Dalle carote vengono prelevati campioni di torba per lo studio del polline, del carbone e dei frutti e semi fossili, nonché per datazione con il metodo del radiocarbonio.Come è possibile che oggetti microscopici come i granelli di polline, delle dimensioni di pochi millesimi di micron, si conservino per decine – centinaia di migliaia di anni? I granuli di polline, ma anche spore di funghi e cisti di parassiti, sono provvisti di una parete molto resistente che li rende inattaccabili ai processi di degradazione chimica e biologica. Ciò facilita la conservazione ed anche l’estrazione in laboratorio dove, utilizzando acidi forti, viene distrutta la componente minerale del sedimento lasciando intatti e concentrando questi microfossili organici per il successivo studio al microscopio. Nei paragrafi che seguono vengono illustrati alcuni casi di studio.
Una torbiera fossile sepolta dal Ghiacciaio del Rutor: l’unico caso noto nelle Alpi Italiane.
Le torbe fossili che si trovano nei pressi della fronte attuale del Ghiacciaio del Ruitor (2510 m s.l.m.) rappresentano un ritrovamento straordinario nelle Alpi, che documenta l’esistenza di una o più fasi di “ottimo termico” durante la prima metà dell’Olocene (Armando et al. 1975, 1985; Porter & Orombelli, 1985). Le indagini paleobotaniche e le datazioni 14C dimostrano che il ghiacciaio si ritirò bruscamente circa 9500 anni fa e che circa 9000 anni fa si insediò sul posto uno stagno, in cui si sviluppava una ricca vegetazione acquatica tipica di estati calde in accordo con una fase di forte ritiro del ghiacciaio. Fino a circa 6400 anni fa, ma probabilmente fino a 4900 anni fa (Aceti, 2006), il Ghiacciaio del Ruitor si attestò su posizioni assai più arretrate rispetto a quelle già drammaticamente ridotte di questi ultimi decenni. La stessa sorte toccò ad altri ghiacciai della Valle d’Aosta, come ad esempio, la Brenva e il Miage (Porter & Orombelli 1982, Orombelli & Porter1982; Orombelli & Deline 2000).
Tredicimila anni di storia al Monte Fallère: alla scoperta dei mesolitici fi no ai pastori dell’età del Rame.
Le ricerche promosse a partire dal 2009 dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione Valle d’Aosta, in collaborazione con il C.N.R. – IDPA di Milano, hanno permesso di estrarre carote di sedimento dalla torbiera della Crotte Basse (2365 m, versante meridionale del Monte Fallère, vedi figura 3) e di ricostruire così la storia degli ambienti alpini d’alta quota negli ultimi 13000 anni (Pini et al., 2011). La torbiera delle Crotte Basse occupa una posizione strategica per le indagini paleoambientali: è infatti posta a poche centinaia di metri in linea d’aria da un accampamento preistorico da cui provengono reperti di età mesolitica ed eneolitica (Guerreschi et al., 2010). Studiare le torbe delle Crotte Basse significa quindi indagare tanto i processi naturali quanto le attività antropiche che hanno modellato l’aspetto attuale del paesaggio. Tra circa 9000 e 5200 anni fa la torbiera delle Crotte Basse era circondata da foreste di pino cembro. A partire da circa 8400 anni anche l’abete bianco accompagna i pini (vedi figura 4). Data a circa 5200 anni cal BP (età del Rame) la prima importante fase di espansione dei pascoli alpini in alta quota, con un sensibile ritiro delle foreste di conifere. La vicinanza di un sito archeologico alla torbiera delle Crotte Basse trova testimonianza nei depositi della torbiera, dove si sono ricostruite alcune pratiche agricole e pastorali delle antiche popolazioni valdostane. Una seconda fase di impatto antropico, datata a circa 2700 anni fa (Età del Ferro) è responsabile della defi nitiva scomparsa del pino cembro e dell’abete bianco dalle aree di alta quota.
In Valle di Gressoney: l’avanzata del ghiacciaio del Lys nell’antica Età del Ferro e le malghe.
Durante gli ultimi 3000 anni, il ghiacciaio del Lys ha costruito un anfiteatro morenico tra i più noti nelle Alpi. Ciascuna delle ultime fasi di stazionamento glaciale della “Piccola Età Glaciale” (anni 1821, 1860) e del XX secolo (anno 1922, vedi Monterin, 1932; Cerutti, 1985; Strada, 1988) è scandita da un ben definito cordone morenico, nonché da differenze nella struttura della vegetazione e del suolo. Di grande interesse è l’area frontale dell’anfiteatro del Lys, dove la morena “napoleonica” fronteggia l’antico alpeggio noto come “Alpe Courtlys”. Le avanzate glaciali della prima metà del XIX secolo rischiarono di cancellare il pascolo, come documentato da mappe catastali dell’epoca. Tuttavia, trincee aperte nel punto più esterno della morena ottocentesca, a contatto con quello che resta oggi del pascolo del Courtlys, hanno messo in luce anche torbe antiche, che raccontano la storia delle oscillazioni del ghiacciaio negli ultimi 3000 anni (informazioni dettagliate in Ravazzi et al., 2001 e 2011). Questa torbiera si formò a seguito di una fase di avanzata glaciale avvenuta durante l’età del Ferro, datata circa 2700 anni fa. Durante la prima età del Ferro la zona era circondata da foreste di abete bianco, poi scomparso in età tardo romana. Oggi l’abete bianco è presente solo nel settore inferiore della vallata di Gressoney. Inoltre, l’analisi pollinica ha stabilito che ancora nell’XI secolo d.C. non vi è traccia di pascoli nell’area oggi occupata dall’Alpe Courtlys.
E alle basse quote?
Gli unici dati paleobotanici disponibili nella zona della città di Aosta provengono dai depositi dell’area Megalitica di via Saint Martin de Corléans, dove è documentata l’esistenza di un’area di culto con sepolture megalitiche (Mezzena, 1997). I dati indicano la presenza di piccole colture cerealicole a partire dalla seconda età del Rame, in espansione a partire dalla prima età del Ferro (Pini et al., 2010, dati inediti). Al tempo della città romana risulta attestata la presenza del noce. Ulteriori esplorazioni sono necessarie per comprendere meglio la storia delle aree di fondovalle e di media quota. Lo studio di torbiere e paludi in questi ambienti potrebbero fornire nuove informazioni. Siti umidi di potenziale interesse sono:
• lo Stagno di Loson (Verrayes, 1514 m s.l.m.), dove è attualmente in atto la deposizione di torba in estensione verso il centro del bacino, con la creazione di tipiche formazioni torbose galleggianti (i cosiddetti “aggallati”);
• il lago di Lolair (Arvier, 1183 m s.l.m.), posto lungo il versante sinistro della bassa Valgrisenche;
• lo Stagno di Holay (Pont Saint-Martin, 767 m s.l.m.).
Come contribuisce la conoscenza del passato alla tutela e alla valorizzazione dei siti umidi?
Fin dal 1994, nell’ambito del progetto BIOITALY (BIOtopes Inventory of Italy) la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha avviato il censimento degli habitat naturali e seminaturali del territorio regionale e predisposto un elenco di siti da sottoporre a tutela ambientale. Questi siti fanno ora parte della rete ecologica europea di zone di speciale conservazione, nota come “Natura 2000”. La Regione Autonoma Valle d’Aosta annovera attualmente 28 siti (tra i quali 7 aree di ambiente umido, come il Lago di Lolair, lo Stagno di Loson, la Zona umida di Morgex etc.) e 5 ZPS (Zone a Protezione Speciale). Ogni torbiera può essere considerata come un libro, le cui pagine testimoniano la storia millenaria del territorio in cui è insediata. Da un deposito di torba si possono ottenere informazioni di natura ecologica, climatica e archeologica. Tutelare una torbiera equivale a preservare una preziosa fonte di informazioni sulla storia dell’ambiente e del clima, dei fenomeni naturali e dei processi antropici che si sono succeduti nel corso del tempo. Ma spesso gli indizi forniti dalla vegetazione attuale non sono sufficienti - e talora il problema è quello di ricostruire un equilibrio idrico che risulta compromesso da attività antropiche antiche o recenti. Obiettivo di questi regimi di protezione dovrebbe perciò essere la difesa del patrimonio antico e della riqualificazione dell’habitat, non basandosi solo sugli elementi più vistosi della biodiversità vivente e rilevata in una certa data, bensì acquisendo una serie di informazioni ecologiche, stratigrafiche, paleoecologiche, archeologiche.
Bibliografia:
- Aceti A. (2006) - La variabilità climatica nell’Olocene: studio di torbiere e di ambienti d’alta quota nelle Alpi Italiane. Tesi di dottorato di Ricerca, Università Milano-Bicocca, pp.115.
- Armando E., Charrier G., Peretti L. - Piovano G. (1975) - Ricerche sull’evoluzione del clima e dell’ambiente durante il Quaternario nel settore delle Alpi occidentali italiane. Bollettino Comitato Glaciologico Italiano, 23 pp. 7-25.
- Armando E., Charrier G. (1985) - La torbiera del Rutor (Valle d’Aosta). Relazione sui risultati conseguiti dallo studio palinostratigrafico di nuovi affioramenti torbosi segnalati alla fronte del ghiacciaio. Geogr. Fis. Dinam.Quat., pp. 144-149, Torino.
- Guerreschi A., Raiteri L., Di Maio P., Ravazzi C., Pini R., Gabriele P. & Baster I., 2010 – A new high altitude Mesolithic site on Mont Fallére (Aosta, northernItaly). First results on archaeology, environmental and landscape evolution. Convegno MESO 2010 – The 8th International Conference on Mesolithic in Europe (Santander, Spain). Abstract volume.
- Mollo Mezzena R., 1997 - L’Età del Bronzo e l’Età del Ferro in Valle d’Aosta. Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Atti della XXXI Riunione Scientifica. La valle d’Aosta nel quadro della Preistoria e Protostoria dell’arco alpino centro occidentale. Firenze. pp.139 223.
- Orombelli G. & Deline P. (2000) - L’anfiteatro morenico del Miage (Courmayeur, Valle d’Aosta): nuovi dati sulla sua genesi. Rendiconti Istituto Lombardo Accademiadi Scienze e Lettere, B 134, pp. 135-154.
- Orombelli G. e Porter S.C. 1982 - Late Holocene fluctuations of Brenva Glacier. “Geogr. Fis. Dinam. Quat.”, 5, Torino. pp. 14-37, Torino.
- Pini R. e Ravazzi C., 2010 - Studio pollinico e micro morfologico per la realizzazione del Parco Archeologico dell’Area Megalitica di Via Saint Martin de Corléans (Aosta), Regione Autonoma Valle d’Aosta. Assessorato Istruzione e Cultura. Dipartimento Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali. Direzione Restauro e valorizzazione.Rapporto Tecnico CNR inedito. 96 pp.
- Pini R., Aceti A., Badino F., Maggi V., Orombelli G., Raiteri L., Ravazzi C., 2011 - High-altitude environments and glacier fluctuations in the western sector of the AostaValley during the Holocene. Il Quaternario, Italian Journal of Quaternary Sciences, 24, pp.117-119.
- Porter S.C. e Orombelli G. (1982) - Late-glacial ice advances in the western Italian Alps. “Boreas”, 11,pp.125-140, Oslo.
- Porter S.C., Orombelli G. (1985) - Glacier contraction during the middle Holocene in the western Italian Alps: evidence and implications. Geology, 13, pp. 296-298.
- Ravazzi C., Pelfini M., Orombelli G., Carton A. e Baroni C. 2001. The maximum neoglacial advance of 3 major glaciers in the Italian Alps and its climatic framing. PAGES - PEPIII: Past Climate Variability Through Europe and Africa. Aix-en-Provence. p. 131.
- Ravazzi C., 2011, Tremila anni di storia del clima in Valle d’Aosta, La registrazione dell’anfiteatro del ghiacciaio del Lys, Augusta, pp. 16-19.