Nel corso degli ultimi 50 anni abbiamo assistito a profondi cambiamenti del nostro territorio, dovuti ad altrettanto profondi mutamenti delle condizioni di vita dal dopoguerra ad oggi. Se è sotto gli occhi di tutti lo sviluppo urbanistico e turistico dei comuni localizzati all’estremità delle vallate laterali, in particolare (nel caso della Comunità Montana dell’Evançon) i comuni di Ayas e Brusson, non altrettanto si può dire per altri comuni di mezza montagna, a valenza prevalentemente agricola, senza risorse sciistiche o turistiche capaci di attirare visitatori.
In questo articolo mi propongo di effettuare una riflessione su quanto ho potuto direttamente sperimentare nell’ambito di una frazione del Comune di Challand-Saint-Anselme, denominata Corliod, luogo d’origine della mia famiglia, e che per questo motivo ho avuto modo di frequentare regolarmente nel corso di tutta la mia vita. Ho ritenuto anche interessante affiancare alle impressioni da me elencate quelle di mia nipote (di seguito, in corsivo), che rappresenta una generazione successiva, nata negli anni ‘90, che, pur vivendo l’ambiente della frazione da oltre 10 anni, ha conosciuto una realtà ben diversa da quella da me vissuta da bambino. Pur trattandosi di un caso specifico, ritengo sia esemplificativo di numerose realtà analoghe sparse nel territorio regionale.
Corliod è una piccola frazione situata al confine tra i due comuni di Challand, ad un’altitudine intorno ai 1000 metri sul livello del mare. Priva di attrattive turistiche di rilievo (nessuna opportunità sciistica, possibilità di itinerari escursionistici limitati, soprattutto se paragonati a quelli dei comuni più in quota), Corliod ha da sempre avuto una vocazione prevalentemente agricola. Negli anni ’60, cui risale la mia prima esperienza della frazione, Corliod era popolato da 12 nuclei familiari stanziali, cui si aggiungevano un’altra mezza dozzina di frequentatori regolari nel periodo estivo. Il centro del villaggio, frequentato esclusivamente dai residenti e da noi Corioleins di seconda generazione, figli e nipoti dei residenti stessi, era costantemente percorso da un viavai regolare di persone e bestiame. La fontana, il Beuil centrale era il punto di incontro regolare delle donne che lavavano i panni e chiacchieravano tra loro. La lingua ufficiale era il patois, anche se non mancavano conversazioni in italiano o in francese per noi della seconda generazione, alcuni dei quali residenti in alta Savoia. I fabbricati erano nell’insieme ben tenuti, gli orti curati, i prati regolarmente irrigati e falciati. I pochi “villeggianti” erano “confinati” dall’altro lato della strada regionale, nell’unico albergo esistente, l’Hotel Miravalle, dal quale si allontanavano raramente, percorrendo con un certo imbarazzo le vie del villaggio, quasi percepissero di non farne parte. Corliod rappresentava nelle lunghe estati della mia infanzia un luogo vivo e dotato di regole e abitudini molto diverse dalla città in cui abitavo, popolato da persone che mi conoscevano da sempre e di cui potevo fidarmi come della mia famiglia.
C’era tuttavia un aspetto che avrebbe poi determinato profondi cambiamenti nella vita della frazione. Tra i residenti solo due coppie giovani, due bambini, e una popolazione che altrimenti superava abbondantemente i cinquant’anni di età. A poco a poco nei decenni che si sono susseguiti le persone più anziane hanno dovuto abbandonare l’attività agricola, a poco a poco sono mancate, e la situazione all’inizio del secolo corrente era completamente diversa. Solo due nuclei familiari continuano, in un caso in misura limitata, l’attività agricola. Molte stalle e fienili sono vuoti e abbandonati. Intere case sono prive di abitanti, fosse anche solo per i periodi di vacanza. L’assenza di attività agricola si nota nei campi circostanti, che spesso mostrano erba alta e ingiallita dal sole nel periodo estivo. Molti degli orti della mia infanzia sono ora appezzamenti di terreno incolto. Alcuni fabbricati sono stati recuperati o affittati come seconde case. Qualche nuovo nucleo familiare ha preso il posto di altri vecchi, però oggi, nel periodo invernale, solo 6 nuclei familiari occupano stabilmente la frazione, e non parliamo di nuclei di 3 o 4 persone come accadeva negli anni ’60, ma spesso di single o coppie. Non sono in grado di quantificare esattamente la popolazione nei due diversi periodi, ma posso affermare che si è più che dimezzata. Sono stati realizzati due nuovi condomini alle porte del villaggio, e del resto anche l’Hotel Miravalle non è più tale, e la frazione “fuori le mura” si è arricchita di un piccolo hotel/bar/ristorante e di una micro comunità per anziani. Tutto ciò però ha poca o nulla influenza sulla vita all’interno della frazione, che risente della mancanza di residenti. Ogni volta che mi trovo a percorrere la via centrale andando verso la casa dei miei nonni non posso non pensare al fatto che da bambino mi sarebbe stato impossibile passare inosservato, e che nel breve tragitto dal parcheggio a casa mia avrei incontrato almeno un paio di residenti intenti ai loro lavori, pronti a scambiare due chiacchiere e a darmi il benvenuto. Oggi mi capita di attraversare più volte l’abitato senza incontrare nessuno.
Non credo che la situazione da me descritta sia così infrequente nella nostra regione. Quante sono le frazioni che, troppo lontane dai centri amministrativi o produttivi per essere elette come residenza dai lavoratori, e non interessate da un flusso turistico legato al mondo della neve o della montagna, si stanno in qualche modo “spegnendo”? Quando un centro abitato diventa non più appetibile come residenza, vuoi perché lontano dai centri lavorativi, vuoi perché non fornito delle comodità essenziali della vita di tutti i giorni, come la presenza di negozi, a poco a poco si svuota. Le case, concepite come fattorie nella loro veste architettonica, sono spesso troppo grandi e poco funzionali. Un eventuale recupero delle stesse comporterebbe investimenti rilevanti. Sono quindi destinate ad essere usate sporadicamente come case-vacanza nella bella stagione. Con il passare delle generazioni spesso poi l’interesse mostrato da chi era nato sul posto viene meno. Un paio di case regolarmente frequentate da ex residenti ora diventati cittadini francesi non vengono più utilizzate, se non in maniera molto sporadica, diversamente da quanto capitava negli anni ‘60 e ‘70. Per chi, come me, ha vissuto la frazione 40 anni fa l’impressione è di trovarsi in un villaggio “fantasma”.
Da quando sono nata passo sempre le vacanze a Corliod. Abito a Milano, nel caos, nel rumore, ma anche tra la gente e i negozi, e quando arrivo a Corliod la prima cosa che percepisco è il silenzio. Un cane che abbaia e un altro che gli fa eco sono il mio benvenuto.
Da che io ricordi Corliod è sempre stato un piccolo paesino tranquillo, vi ho sempre visto le stesse persone conosciute, tuttavia non mi aspetto di incontrare qualcuno quando mi dirigo verso casa dei miei nonni, perché le persone sono così poche che è minima la possibilità che decidano di passare per la via principale nel mio stesso momento. È un brusco cambiamento rispetto a Milano, dove a tutte le ore le vie sono piene, soprattutto di gente sconosciuta e, nonostante sia bello poter dire che a Corliod ci si conosce tutti, è la mancanza di popolazione che rende questo paesino spento.
Quando ero piccola adoravo passare l’estate in questa frazione, sia per la compagnia dei miei nonni, sia per il fatto che mi entusiasmava ogni cosa di questo piccolo paradiso così diverso rispetto alle mie abitudini. Col tempo però, crescendo, ho perso l’antica voglia di soggiornarvi a lungo. Ciò perché per una ragazza come me è un posto noioso in cui trascorrere l’estate, non ci sono divertimenti, luoghi di ritrovo per ragazzi, anche perché i ragazzi stessi mancano. Noi in genere preferiamo il mare alla montagna in quanto offre più divertimenti e più possibilità di trovare compagnia e, in ogni caso, chi sceglie la montagna preferisce i paesi più grandi e più vivi. La prospettiva di passare l’estate in un villaggio “fantasma” non è molto allettante per noi che non vediamo la vacanza come un’occasione per riposarci prima di cominciare un altro anno di lavoro, bensì come un momento per divertirci e conoscere nuove persone. Corliod non offre queste possibilità e passarci l’estate vuol dire incominciare a parlare con i gatti o spendere un capitale per chiamare amici lontani. Vuol dire doversi continuamente spostare verso centri più abitati e ciò è un problema per chi non ha la patente e non può muoversi liberamente.
Non riesco ad immaginare una Corliod popolata e vivace, per me rimane sempre un luogo pieno di pace e tranquillità, ma allo stesso tempo un posto in cui ogni singola mattonella sembra rimandare ad un passato diverso. È quasi palpabile il fatto che alle spalle di questo presente spento c’è una storia fatta di giochi tra i bambini che ormai non lo sono più, di chiacchierate giornaliere e di una vita vivace e piena. Ora non ci sono più bambini che sostituiscano quelli di una volta, non ci sono quasi altro che anziani o adulti di mezz’età.
Per quanto mi riguarda non potrei mai abbandonare completamente Corliod, pensare di non visitarla più mi rattrista, perché sono affezionata a questa frazione che fa parte della mia infanzia e rappresenta un punto in cui rivivere i miei ricordi. Credo che potrei andare a viverci da anziana quando mi sarò stancata della vita frenetica di Milano, della sua comodità, per ritrovare quella pace che più di ogni altra cosa amo di questa frazione. Non ho percepito nel mio arco di vita cambiamenti in questo paesino e a mio avviso non ce ne saranno. Ritengo sia destinato a rimanere luogo di vita di pochi e una fuga dallo stress quotidiano per pochi altri. La mancanza di richiami turistici e la lontananza da una città impedirà a Corliod di tornare a brillare come un tempo.
Quale può essere quindi il destino di questa e di altre frazioni che si trovano nella sua situazione? Solo il futuro potrà dare una risposta certa a questa domanda. L’unica forma di stimolo portata negli ultimi anni è rappresentata da alcuni recuperi edilizi da parte di acquirenti non valdostani che hanno scoperto un modo alternativo di vivere le proprie vacanze. Ci sono oggi turisti meno interessati a passare lunghi periodi come ospiti di strutture ricettive, aumentano forse coloro che vedono nella seconda casa un modo per investire nel mattone i propri risparmi, garantendosi nel contempo un’opportunità di vacanza. Certo, per chi vive in un condominio di una grande città, lo spostamento in un altro condominio, seppure più piccolo, rappresenta uno “stacco” dalla vita di tutti i giorni inferiore rispetto a chi cerca di “vivere” la realtà territoriale che frequenta. Credo che sia stata questa la motivazione che ha spinto i nuovi proprietari ad acquistare e ristrutturare edifici esistenti, con una storia alle spalle. I prezzi delle località più turistiche sono elevati e non alla portata di tutte le tasche, mentre frazioni minori possono offrire spazi e tranquillità, pur garantendo un riparo dallo stress quotidiano, che è poi l’obiettivo primario di chi si vuole rilassare in vacanza. È quindi questo il destino che attende le frazioni minori? Ovvio, si potrà assistere a un deciso cambio culturale rispetto al passato, tuttavia gli investimenti immobiliari potrebbero garantire il recupero di fabbricati destinati altrimenti all’abbandono. Un maggiore sviluppo delle tecnologie informatiche potrebbe poi favorire il telelavoro, e quindi l’insediamento di nuovi residenti non più obbligati a lunghi pendolarismi per raggiungere il posto di lavoro. Un’ipotesi possibile, ancora però da sviluppare. Siamo quindi in una fase intermedia, che nei prossimi decenni definirà il futuro di Corliod e delle tante piccole frazioni analoghe sul nostro territorio. Spetterà a tutti noi monitorare il loro sviluppo e valutare l’efficacia delle azioni intraprese, volendo comunque evitare che tutti questi centri diventino davvero dei villaggi fantasma.