Quando ad inizio Novecento crollarono il lato meridionale e quello occidentale della torre maestra del Castello di Graines, Alfredo D’Andrade, allora Direttore della Soprintendenza ai Monumenti del Piemonte e della Liguria, probabilmente accolse la notizia con un sospiro, sospeso tra la tristezza di chi comprende fino in fondo il valore della perdita e l’irritazione di chi capisce che non si è fatto tutto il possibile per evitarla. E dire che l’architetto di origine portoghese aveva segnalato solo pochi anni prima ed in più occasioni la necessità di intervenire a Graines, conscio non solo dei rischi statici del donjon così come di altre strutture presenti sul sito, ma soprattutto consapevole del valore storico, architettonico, archeologico, in una sola parola culturale, di quel castello che sembrava uscito direttamente da un manuale di storia medievale o da un quadro di William Turner.
Ma a quando risale la costruzione di questa fortezza, chi ne è l’artefice, chi lo ha abitato nei secoli del suo massimo splendore?
Il Castello di Graines, che nelle fonti scritte di epoca medievale è denominato “castrum sancti martini”, affonda le sue radici in un passato decisamente antico ed in parte tuttora avvolto da un’aura leggendaria. La notizia, più volte ribadita senza una più attenta verifica, che lo vorrebbe già esistente nel primissimo altomedioevo, come proprietà diretta sotto il controllo dell’Abbazia di Saint- Maurice d’Agaune, nel Vallese svizzero, non trova evidenti riscontri materiali sul campo. Se possiamo senza dubbio concordare nel ritenere di origine antica il feudo di Graines, esteso su buona parte dell’alta Val d’Ayas, e nell’attribuirne il controllo in periodo altomedievale all’abbazia vallesana, non ci sono prove dell’esistenza di un vero e proprio castello per quell’epoca, e questo forse anche a causa della povertà di indagini di carattere squisitamente archeologico sul sito, che è stato finora perlopiù studiato dal punto di vista architettonico e storico- artistico, affidandone la ricostruzione per i periodi precedenti il X secolo alle fonti scritte e consuetudinarie che, tuttavia, fanno storcere un po’ il naso agli accademici più intransigenti.
È opinione comune del resto che la cappella ancora oggi esistente all’interno del recinto fortificato, e dedicata a San Martino risalga all’XI secolo, sia a causa delle forme, pienamente romaniche, sia grazie ai documenti che, nel XII secolo, ci parlano di un edificio sicuramente già esistente. Tuttavia le prime notizie di provata autenticità che citano il mandamento di Graines ed il suo maniero appartengono al pieno Duecento, in concomitanza con l’infeudazione del castello e del territorio limitrofo, avvenuta nel 1263, alla famiglia dei visconti d’Aosta, che da poco avevano iniziato a chiamarsi Challant. A quella data doveva già esistere un castello, ed è probabile che Gotofredo I ed i suoi figli, i primi Challant a possedere il feudo di Graines, si siano “limitati” a rinnovare nelle forme un impianto già, per così dire, collaudato. Del resto gli edifici ancora oggi conservati, la cinta muraria, la cappella ed il donjon, testimoniano senza ombra di dubbio la notevole antichità del maniero, che appare sì essersi evoluto nel corso dei secoli successivi, ma senza stravolgere la conformazione antica del sito.
Ancora oggi, osservando le mura di cinta, anche l’occhio inesperto può riconoscere senza fatica la presenza dei merli delle cortine più antiche inglobati nei rialzamenti successivi. Probabilmente questa ricerca di verticalità può spiegarsi con la volontà di rendere sempre più inespugnabile la fortezza, fatto che richiama alla memoria una delle epopee più famose della storia della Val d’Ayas e della famiglia Challant, quella di Caterina di Challant e Pietro Sarriod d’Introd. Ripercorrendola brevemente, per quanto di stretto interesse, alla morte nel 1442 di Francesco I di Challant succedettero ai possedimenti del padre le due figlie, Caterina e Margherita, suscitando l’attenzione e l’avversione degli altri rami della famiglia, in particolare del ramo di Challant-Aymavilles e del suo esponente di spicco, Giacomo. Rifiutandosi di addivenire ad una conciliazione ed almeno in un primo tempo sostenuta dalla stessa casa sabauda, Caterina riparò a Challand, fiancheggiata dal proprio amante e futuro marito Pietro Sarriod d’Introd, ponendo mano nel contempo ad una poderosa riorganizzazione delle fortezze esistenti sotto il suo controllo in Val d’Ayas, da Villa a Graines. È probabile dunque che una campagna di adeguamento militare abbia preso avvio sul sito alla metà del XV secolo e che ad essa sia dovuta una serie di modificazioni ancora oggi ben evidenti, tra le quali si possono ipotizzare uno dei già citati rialzamenti della cortina muraria e la costruzione del rivellino d’entrata. Secondo le fonti, tuttavia, nessuno scontro armato avvenne mai a Graines o sotto le sue mura, essendosi decise le sorti del conflitto familiare pochi anni dopo, nel 1456, con la morte di Pietro, la resa di Caterina e la nomina di Giacomo, ora sostenuto dai Savoia, a conte di Challant.
Successivamente al periodo medievale il maniero subì un lento ma inarrestabile processo di declino, con una breve parentesi all’inizio del Seicento quando vi venne acquartierata una modesta guarnigione di due archibugieri e quattro moschettieri provenienti da Challand e Brusson a difesa del nodo viario tra Col Ranzola, Colle di Joux, Colle del Teodulo e bassa valle. Caduto in rovina, il castello passò nel 1841 nelle d’Entrèves, per divenire quindi proprietà comunale.
Tutte queste notizie, facilmente desumibili dallo spoglio della bibliografia e dallo studio dei principali documenti d’archivio, dovevano essere ben conosciute dal D’Andrade, e dovevano costituire ai suoi occhi un ulteriore motivo di urgenza quando si trovò a dover porre rimedio allo stato di incuria del sito alla base del crollo della torre maestra. Il destino del Castello di Graines e la sua conservazione, tuttavia, non sono temi legati unicamente al passato. A partire da gennaio 2010 il maniero è tornato ad essere oggetto di attenzioni specifiche, grazie all’inserimento della struttura come caso di studio nel progetto INTERREG IIIAAVER (Anciens Vestiges En Ruine), un’iniziativa europea che ha per capofila l’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione Autonoma Valle d’Aosta, e per partner il Conseil général de la Haute-Savoie, la Communauté de Communes des Collines du Léman ed i comuni di Allinges, Brusson e Saint-Marcel. Obiettivo del progetto è quello di stabilire la metodologia necessaria al restauro ed alla valorizzazione dei siti fortificati di epoca medievale in via di ruderizzazione, di cui Graines è esemplificazione. Articolato su tre anni (2010-2012), il progetto prevede per il 2011 ed il 2012 la realizzazione, nei siti prescelti come casi di studio (Castelli di Graines e Saint-Marcel per la Valle d’Aosta e Châteux des Allinges per l’Alta Savoia), di campagne di scavo, di manutenzione e messa in sicurezza delle strutture in elevato. Fine ultimo sarà la redazione di una “guida metodologica” destinata alle collettività locali, ai proprietari privati ed alle associazioni che possa supportare la messa in opera dei progetti di restauro.
Per Graines questa sarà dunque un’occasione irripetibile per porre mano ad una serie di manutenzioni assolutamente improrogabili, che avranno l’obiettivo di consolidare le porzioni del castrum più soggette a rischio di crolli, quali alcuni tratti della cortina meridionale e settentrionale, e di prevedere un intervento di messa in sicurezza di quegli edifici, in primis la cappella castrense di San Martino, che assurgono senza ombra di dubbio a vero e proprio simbolo del complesso fortificato.
Le operazioni di restauro sono state avviate ad aprile di quest’anno e sono per il momento finalizzate al consolidamento della scarpa posta all’esterno delle mura di cinta meridionali. La posa del ponteggio, che appare già ben visibile a chi percorra la strada regionale diretta ad Ayas, permetterà inoltre di approfondire lo studio delle fasi costruttive della struttura, che, come detto, è stata modificata nel corso dei secoli implementandone l’altezza, fino agli attuali 10 metri di media.
Parallelamente alla manutenzione e messa in sicurezza del sito si è impostato un cantiere di ricerca archeologica, finalizzato all’acquisizione di dati che possano contribuire non solo alla conoscenza del sito, ma anche alla definizione delle linee progettuali di restauro, linee che dovranno rigorosamente essere attente a non snaturare la struttura, fermo restando l’imprescindibilità dell’intervento stesso. La prima campagna è localizzata nella cosiddetta porzione degli edifici meridionali, vale a dire nell’area un tempo occupata da alcune strutture di cui oggi si conservano solo le tracce in alcuni muretti emergenti dal terreno. Pur essendo la zona già stata interessata da scavi, alcuni molto antichi, altri risalenti agli anni ‘90 del Novecento, la necessità di cominciare da questo punto è motivata dall’importanza dell’area all’interno del sito, che si configura come un nucleo cardine del complesso, e dalla necessità di dare una sistemazione coerente a tutela di questa porzione del castello, oggi di difficile comprensione.
Dopo aver preso atto dell’irreparabile perdita avvenuta con il crollo del donjon, Alfredo D’Andrade riuscì a trovare i fondi necessari ad un vero e proprio progetto di manutenzione del sito, e con un’operazione di anastilosi riedificò l’angolo mancante della torre maestra, coprendola quindi con un tetto, dandole l’aspetto ancora oggi apprezzabile. Questo porta ad un paio di riflessioni: la prima, che gli interventi di D’Andrade, seppur fortemente invasivi e per quanto forse criticabili, hanno permesso al castello di giungere fino ai nostri giorni senza più patire altre menomazioni, tutelando dunque nei fatti il sito; la seconda, che tutto questo fu possibile grazie alla partecipazione attiva di un’associazione, l’Associazione degli amici del Castello di Graines, che coadiuvò attivamente l’opera dell’illustre soprintendente. Quell’associazione era formata da persone che vedevano nel maniero il simbolo di un passato che valeva la pena tramandare ai propri discendenti. L’augurio è dunque che quanto anche oggi viene intrapreso, il restauro e lo studio del castrum sancti martini, non rimanga un lavoro scientifico scollegato dalla realtà di chi il castello lo vive e lo partecipa, ma sia nuova occasione di collante per coloro che, abitanti o turisti, politici o uomini di cultura, semplici innamorati di quelle rovine, ne sono in ultima analisi i veri proprietari e fruitori, presenti e futuri.