IL MATERIALE PLASTICO
Attualmente si può riciclare oppure ridurre i costi di produzione della plastica biodegradabile. Sarebbe possibile degradare naturalmente i materiali sintetici?
IL RICICLO NATURALE DELLA PLASTICA
di Paolo Bagnod
Il nostro mondo sembra ormai essere avvolto in un foglio di plastica. Quasi ogni prodotto che compriamo, la maggior parte del cibo che mangiamo e molti liquidi che beviamo sono contenuti in imballaggi di plastica. Se a questo aggiungiamo tutti gli oggetti fabbricati appositamente in questo materiale ci rendiamo conto della dimensione del problema.
La plastica ebbe a suo tempo un successo immediato e globale proprio per le sue caratteristiche distintive. La plasticità, in primo luogo, da cui deriva il suo nome; la plastica infatti ha la possibilità di essere modellata in qualsiasi forma e dimensione, attraverso tecniche di lavorazione diverse a seconda del prodotto: per colata, per stampaggio, per estrusione, per iniezione. Molte materie sintetiche inoltre hanno la capacità di espandersi, cioè di rigonfiarsi in presenza di determinate condizioni di temperatura e pressione, formando una schiuma che può essere utilizzata come isolante o sigillante, oppure per i mobili imbottiti. Un altro pregio è la sua relativa economicità (e da qui nasce il vero problema per l'ambiente), e la sua resistenza.. La plastica, dati i particolari legami molecolari che vengono artificialmente ottenuti, non è di per sé un materiale biodegradabile, anche se spesso subisce nel tempo una perdita delle sue caratteristiche, in particolare alcuni materiali sintetici sono soggetti a infragilimento alle basse temperature o per esposizione agli ultravioletti...
I suoi punti di forza però, - la leggerezza, lavorabilità ed economicità - sono anche alla radice del suo principale problema ambientale. Si accumula, non si degrada, riempie discariche e non fa che incrementare il volume di rifiuti che devono essere gestiti ogni giorno in ogni parte del globo.
L'unica alternativa che possiamo oggi immaginare è il riciclo, conseguente a una accurata raccolta differenziata. Ma anche questo, come vedremo in altri articoli di questo numero, pone dei problemi
Esistono perciò ricerche mirate alla produzione di materiali sintetici biodegradabili. Spesso tali materiali sono prodotti a partire da risorse rinnovabili, come le piante. Infatti la ragione per cui la plastica tradizionale non è biodegradabile sta nella sua natura polimerica, formata da molecole troppo grandi e troppo ricche di legami per poter essere rotte e digerite da organismi decompositori, come invece avviene con altre molecole naturali, quali quelle degli idrocarburi.
Le plastiche ottenute a partire da polimeri naturali come quelli di origine vegetale (amido di patate, mais ecc.) hanno invece il vantaggio di essere attaccabili da batteri decompositori. L'amido derivato dalle piante può essere immediatamente immesso in processi di produzione di bioplastica, ma, data la sua solubilità in acqua, il materiale che ne deriva ha un uso limitato dalla sua tendenza a deformarsi in presenza di umidità. Esiste però la possibilità di modificare ulteriormente l'amido in un diverso polimero, meno sensibile all'acqua, definito con la sigla "PLA", che è entrato in commercio a partire dagli anni 90. Questo materiale ha però un grosso limite: il suo costo, decisamente superiore a quello della plastica tradizionale, che ne ha limitato l'impiego.
Un altro tipo di plastica biodegradabile, chiamato "PHA" è prodotto da batteri, stimolati a produrre granuli di questo materiale di tipo plastico all'interno delle loro cellule, raccoglibili e utilizzabili. Come nel caso della PLA, anche questo tipo di plastica biodegradabile ha un costo molto elevato, che ne limita l'uso commerciale.
Esistono quindi apparentemente solo due soluzioni per risolvere il problema, e cioè riciclare la plastica tradizionale che usiamo quotidianamente, evitando di mescolarla con gli altri rifiuti, oppure sviluppare la ricerca per ridurre i costi di produzione della plastica biodegradabile.
Può essere ipotizzata una terza via, quella di degradare naturalmente i materiali sintetici?
Ci si può chiedere se la natura sarà in grado di risolvere da sola il problema. In effetti ciò potrebbe succedere, ma in un futuro tanto incerto quanto imprevedibile. E' infatti ragionevole pensare che anche molecole complesse quali quelle degli idrocarburi aromatici non fossero inizialmente degradabili naturalmente. Ora invece esistono batteri in grado di digerire queste molecole, spezzando le loro catene, ricavando energia dal processo e liberando come prodotto finale anidride carbonica e acqua. Ciò non avviene con la plastica, materiale artificiale, nuovo, inattaccabile da un punto di vista microbiologico.
In un mondo come il nostro, caratterizzato da un'elevata competitività ecologica, è ragionevole pensare che prima o poi si sviluppi, per mutazione naturale o altro fenomeno simile, un ceppo batterico in grado di demolire il polimero plastico. Sono già in corso ricerche di questo tipo; Se e quando questo succederà, si creerà una situazione di indubbio vantaggio per l'organismo che sarà dotato di questa capacità. Si troverà infatti ad essere il solo a poter occupare una nicchia ecologica molto vasta: avrebbe una fonte di cibo per così dire "riservata", senza competizione con altri organismi, e in quantità abbondanti. È ragionevole pensare che in tal caso (torno a ripetere "se e quando ciò accadrà"), si assisterà ad uno sviluppo molto rapido di questo organismo, alla formazione di nuovi ceppi, a una piccola rivoluzione microbiologica.
In attesa di una soluzione naturale del problema, non ci resta che concentrare i nostri sforzi sulle due possibili alternative attualmente a nostra disposizione : la raccolta differenziata con successivo riciclo, e la produzione a basso costo di plastica biodegradabile. A questo proposito il recente incremento del costo della plastica, dovuto all'aumento del prezzo degli idrocarburi, potrebbe rappresentare un incentivo per lo sviluppo di plastiche biodegradabili.
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