BIODIVERSITÀ
Alcuni esperimenti hanno dimostrato che frequenza di taglio e concimazione influiscono notevolmente sulla diversità floristica.
COLTIVARE LA VARIETÀ
di Mauro Bassignana
La vegetazione dei prati-pascoli permanenti che contraddistinguono il paesaggio agrario della Valle d'Aosta si è evoluta nel corso del tempo grazie all'azione dell'uomo. Poiché in Valle d'Aosta le pratiche agricole sono rimaste relativamente estensive, la foraggicoltura si basa ancora in gran parte sui prati permanenti, con un modestissimo ricorso (salvo casi eccezionali, come il recupero dei prati alluvionati) alla risemina delle superfici. La presenza delle diverse specie che compongono questi prati è condizionata dagli elementi climatici, per esempio le temperature medie e la quantità e la distribuzione delle precipitazioni, e da fattori topografici, quali l'altitudine, l'esposizione, la pendenza dei versanti. L'influenza dell'ambiente naturale, però, non è sufficiente a spiegare le differenze che possiamo osservare nella composizione dei prati e dei pascoli, se non teniamo conto di quanto importanti siano gli effetti dell'azione dell'uomo.
Il concetto di biodiversità e l'importanza che essa riveste per l'uomo e l'ambiente che lo circonda hanno cominciato a diventare parte del senso comune solo nell'ultimo decennio. Per analizzare quali conseguenze le pratiche colturali possano avere sulla biodiversità delle superfici agricole, negli anni più recenti sono state avviate numerose ricerche. In particolare, in coordinamento con altri centri di ricerca dell'Italia settentrionale, l'Institut Agricole Régional sta conducendo una prova collegiale per valutare gli effetti dell'intensificazione colturale su prati permanenti localizzati in Valle d'Aosta, Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto, Friuli ed Emilia. Nella sperimentazione, iniziata nel 1996 a Ville sur Nus (a circa 1100 m slm), alcune parcelle di prato permanente sono state sottoposte a pratiche di diversa intensità per quanto riguarda i tagli e la concimazione.
Le tesi a confronto sono:
T1 NC = 1 taglio/anno, senza concimazione;
T1 C = 1 taglio/anno, con concimazione;
T3 NC = 3 tagli/anno, senza concimazione;
T3 C = 3 tagli /anno, con concimazione.
La concimazione annua adottata è di 40-25-50 kg/ha di azoto, anidride fosforica e potassa, per le tesi con un taglio, e del triplo, cioè 120-75-150 kg/ha, per le tesi con tre tagli. Queste quantità di elementi nutritivi corrispondono, rispettivamente, a quelle apportate annualmente con circa 10 e 30 t/ha di letame. Ricordiamo che, sui prati della Valle d'Aosta, le dosi medie annue vanno da 15 a 35 t/ha di letame (Roumet et al., 1999).
All'inizio della prova, il numero di specie presenti per parcella, come media dei diversi rilievi effettuati, era di circa 19. La tabella seguente presenta i risultati dei successivi rilievi, effettuati nuovamente nel 1998 e nel 2001, e mostra come nel trattamento sfalciato una sola volta e concimato la ricchezza floristica non abbia subito rilevanti variazioni, mentre negli altri tre casi il numero di specie è aumentato in modo sensibile, soprattutto nelle parcelle sfalciate più frequentemente e che non ricevono alcuna concimazione.
Tabella. Ricchezza floristica (n. di specie) per i diversi trattamenti nel corso degli anni.
T1 NC T1 C T3 NC T3 C
1996 19,1
1998 21,0 18,5 20,3 19,0
2001 25,0 21,8 30,8 26,8
Nel grafico a lato, che evidenzia l'effetto dei singoli fattori (frequenza di taglio e concimazione), è presentato l'andamento dell'Indice di Shannon (che esprime la biodiversità) nel periodo di osservazione.
Come si può rilevare, sia la frequenza di taglio sia la concimazione hanno determinato sensibili variazioni nella biodiversità delle cotiche erbose, che è risultata maggiore nelle parcelle non concimate e nelle parcelle sfalciate con maggior frequenza. Si può inoltre osservare che nei primi anni di prova la variazione è stata modesta, poiché la colonizzazione da parte di nuove specie è sempre sottoposta ad una certa inerzia.
L'effetto manifestamente negativo della concimazione sulla biodiversità è stato osservato anche dagli altri ricercatori che partecipano alla prova collegiale, mentre la maggiore frequenza di taglio ha avuto effetti diversi, e a volte contrastanti, nelle varie località (Bassignana et al., 2002).
In effetti, trattandosi di prati permanenti di composizione differente, è importante valutare quale fosse la situazione di partenza e quali specie fossero presenti all'inizio della prova. A differenza di altre località, infatti, nel nostro caso le ombrellifere quali
Anthriscus sylvestris
e
Heracleum sphondylium
erano presenti con una relativa abbondanza. Queste specie sono favorite dalla ricchezza di elementi nutritivi nel suolo e da tagli tardivi e poco frequenti. Osservando l'evoluzione nell'abbondanza di queste specie, si è infatti osservato un aumento della loro presenza nelle parcelle concimate e sfalciate di rado, in cui esercitano una rilevante competizione nei confronti delle altre specie che, invece, hanno maggiore possibilità di diffondersi in presenza di prelievi più assidui e in assenza di concimazione.
La differenza, in termini di diversità della cotica erbosa è ben rappresentata nelle due illustrazioni.
Possiamo concludere che la riduzione delle concimazioni o l'aumento del numero di sfalci (o, per esteso, dei pascolamenti) portano ad una maggiore biodiversità?
Per quanto riguarda il primo punto, sulla base dei dati concordi raccolti nelle diverse località comprese nella nostra prova, possiamo rispondere di sì: in generale, la biodiversità è risultata significativamente più alta proprio nelle parcelle non concimate. In presenza di un'elevata fertilità nel terreno, infatti, tendono ad essere favorite le specie più competitive, generalmente appartenenti alla famiglia delle graminacee, che contrastano così le altre specie e ne riducono il numero e la diffusione. Se la concimazione è troppo abbondante, poi, il costante eccesso negli apporti di elementi nutritivi può portare alla diffusione di specie invasive e di scarso valore foraggero, definite nitrofile proprio perché sono associate alla sovrabbondanza di azoto nel suolo. Esempi ne sono i romici o le ombrellifere, molto diffuse nei prati valdostani.
Per quanto riguarda il numero di sfalci, invece, la risposta è: dipende da caso a caso. In linea di massima, un primo sfalcio precoce ed un ritmo di taglio molto frequente avvantaggiano le specie più precoci nella produzione dei semi, quelle con alta capacità di moltiplicazione vegetativa e quelle con le foglie a rosetta basale, le cui gemme si trovano a livello del suolo e quindi sfuggono all'azione della falce. Saranno invece sfavorite le specie a fioritura più tardiva, o con fusto più sviluppato e gemme situate più in alto del livello del taglio. Il caso limite è rappresentato dal cosiddetto prato
all'inglese
, esempio di ridottissima biodiversità: per conservarlo nello stato ottimale è essenziale proprio falciarlo sovente, stimolando così la diffusione vegetativa delle graminacee e penalizzando le altre specie.
In sintesi, è importante stabilire un corretto equilibrio tra gli apporti (dati dalle concimazioni) e gli asporti (con il taglio o il pascolo), non solo per le conseguenze sulla ricchezza biologica dei prati e dei pascoli, ma anche dal punto di vista agronomico, valorizzando al meglio le potenzialità del prato e degli elementi nutritivi apportati.
COME STIMARE LA BIODIVERSITÀ?
La definizione di biodiversità comprende la misura di come gli individui (vegetali, nel nostro caso) possano essere ripartiti tra diverse specie. La ricchezza specifica, ossia il numero di specie presenti, è solo uno degli indici che possono essere utilizzati per descrivere la biodiversità. Esso, però, spesso non dà una misura sufficientemente precisa della composizione quantitativa di un popolamento, cioè dell'insieme degli individui di specie diverse (Barbault, 1997).
Per spiegare meglio questo concetto può essere utile ricorrere ad un esempio.
Nell'ipotesi di due popolamenti costituiti ciascuno da cinque specie (vedi figura a lato), quello in cui esse si ripartiscono in modo più uniforme (vegetazione A) è più diversificato di quello (vegetazione B) in cui la superficie è largamente dominata da due sole specie.
Per valutare come le singole specie contribuiscano alla diversità totale della vegetazione, è entrato nell'uso il cosiddetto
indice di Shannon
(H), calcolato con la seguente formula:
H = - Sigma pi x Sigma log2 pi
dove Sigma è la sommatoria di tutti gli elementi che compongono il sistema e pi rappresenta la frequenza relativa di ogni singola specie.
La formula utilizzata per calcolare l'indice di Shannon è mutuata da quella proposta da Boltzmann per la misura dell'entropia, ossia del disordine molecolare all'interno di un sistema termodinamico: valori elevati di H corrispondono ad una situazione di disordine (e quindi ad un'elevata diversità), valori bassi corrispondono ad una situazione di ordine (e quindi ad una ridotta diversità).
Per tornare all'esempio, l'indice di Shannon per i due casi presentati corrisponde a 2.3 per la vegetazione A e 1.8 per quella B.
Bibliografia
Barbault R. 1997,
Biodiversité. Hachette, Paris
.
Bassignana M., Bozzo F., Gusmeroli F., Kasal A., Ligabue M., Orlandi D., Parente G. 2002,
Specific biodiversity in alpine meadows at different degree of utilisation intensity. Proceedings of the 19th General Meeting of the European Grassland Federation, La Rochelle (F), 1010-1011.
Roumet J.P., Pauthenet Y., Fleury Ph. 1999,
Tipologia dei prati permanenti della Valle d'Aosta. Documento IAR.
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