Per molti valdostani il vallone della Balma era, ed è tuttora, la via del pellegrinaggio al Santuario di Oropa, suggestiva processione notturna che dal 1585 si compie ogni cinque anni. Il percorso sacro attraversa il Colle della Balma a 2261 metri su una mulattiera ben curata. Ora, la testata del vallone costituisce la più ampia fra le Riserve naturali di nuova costituzione in Valle d'Aosta. Non ci sembra possibile descrivere la riserva vera e propria, che si stende ad alta quota, senza diffondersi anche un po' sull'intero bacino del torrente Pacoulla, cioè su quel territorio che, geograficamente e culturalmente, ne sta alla base e in qualche modo ne costituisce la premessa.
ALCUNI ELEMENTI DI CONTORNO
A valle della confluenza con questo torrente, la valle del Lys, generalmente incassata fra pareti di roccia, si amplia sulla sinistra idrografica in un gran versante a pendenza relativamente moderata, alla cui base sorge il capoluogo di Fontainemore. Il declivio, ricco di morfologie d'accumulo alberate o tenute a prato, ospita una notevole densità di insediamenti rurali e residenziali sia sparsi (modello abitativo "canavesano") che raggruppati (modello "valdostano"). L'ultimo e più grande insediamento permanente, Pillaz, alla quota di 1200 m, può fregiarsi del titolo di "capoluogo della collina"; è questa la zona agricola per eccellenza della comunità di Fontainemore. Qui termina la cava: il fronte verticale, visibile dall'esterno, mostra delle volute bianche o grigie alternate a bande verdine. Questi roccioni infatti espongono in modo esemplare un affioramento di marmo antico, il più esteso del vallone. Le bande verdine rappresentano le impurità, che però in questo caso sono costituite di nobilissima giada. La giada, o meglio giadeite, è un minerale che, in particolari condizioni che a volte si verificano alla massima profondità della crosta terrestre, sostituisce silicati sodici più usuali in superficie. Altre rocce, incluse nei marmi o in detrito, conservano eccezionali testimonianze mineralogiche delle abissali profondità toccate nel loro percorso orogenico, prima di essere spinte in superficie. Si tratta di assemblaggi di silicati ricchi in ferro e magnesio, originariamente magmi derivati dal mantello terrestre, cristallizzati in eclogiti con granato rosso cupo, pirosseno verde brillante e anfibolo blu. Qua e là appaiono spruzzate di cristallini neri al titanio. Questi affioramenti che ci espongono in superficie quel che succede a decine di chilometri sotto i nostri piedi, dove nessuna perforazione è mai giunta, sono oggetto di grande interesse da parte della comunità scientifica internazionale; essi sono periodicamente visitati anche nell'ambito di corsi universitari e stages di formazione per insegnanti di vari paesi.
Gli affioramenti, assai circoscritti, di queste litologie risaltano anche nel paesaggio della Riserva più in alto, dove ospitano la stella alpina, l'astro alpino ed il camedrio alpino, tutte specie compatibili con suolo carbonatico.
Lungo la ben tracciata mulattiera per Farettaz, che si stacca poco dopo dalla strada asfaltata, si passa in rassegna una serie di realizzazioni tradizionali di grande interesse. Si comincia con una fontana a struttura multipla, con armonico bacino monolitico. Si prosegue con un ponte ad arco dotato di complesse strutture di accesso e vari edifici in rovina sulla sponda destra. Lungo i muretti a secco di sostegno, sempre più fitti man mano che si risale dai terreni morenici agli accumuli detritici ai dirupi, compaiono caratteristiche fonti a bacino ricavate sotto archi in pietra, frequentate, tra l'altro, dalle salamandre. Infine il villaggio di Farettaz con le sue adiacenze, arroccato sul pendio ripido ma ben adattato alla presenza umana, offre una notevole concentrazione di ricchezza architettonica tradizionale. Ciò è tanto più apprezzabile nell'assenza di quei disturbi che sono invece frequenti ove giungono le strade carrozzabili: nessuna auto parcheggiata davanti all'antico forno, niente rottami di furgoni arrugginiti, nessun ingombro permanente di attrezzature per cantiere. Grandi edifici in pietra, grandi rascards in pietra e legno, logge e camini, architravi ed affreschi originali, ballatoi con scale coperte ed archi rampanti fanno di questo villaggio ancora sostanzialmente integro e vivo un esempio emozionante di civiltà e di cultura.
Da qui il sentiero per la Balma d'Oropa è attualmente poco agevole, ma i lavori di ripristino sono in corso. La parte alta del vallone viene raggiunta in prossimità del lago Vargno, ove finisce anche la pista sterrata che sale da Pillaz. L'idillica conca è già dominata, come tutta la testata valliva, dalla scura mole del Mont Mars, che qui offre il suo vasto versante in ombra. Un tentativo ormai antico di sbarrare con una diga la conca del lago ha lasciato nel paesaggio due muraglioni in pietra che attirano la curiosità e, tutto sommato, non sottraggono fascino ai luoghi.
SI ENTRA NEL PERIMETRO DELL'AREA PROTETTA
Poco a monte del lago Vargno entriamo dunque nella riserva naturale vera e propria, vasta conca irregolare costellata di laghi e circondata da modeste creste rocciose che si alzano a sud fino a formare il massiccio Mont Mars. Al suo interno, troviamo soprattutto vaste distese di pascoli magri su conoidi e cordoni morenici sassosi fra emergenze di roccioni montonati o fratturati. La riserva confina dalla parte piemontese con la valle del Cervo tramite il colle Gragliasca, con la valle di Oropa tramite il colle della Balma e con la valle dell'Elvo tramite il col Chardon. Tutti i passi sono serviti da sentieri segnalati, che si dipartono dal lago Vargno (Gragliasca) o nei pressi del lago della Balma (Chardon). Il panorama che si gode nelle giornate limpide dai colli verso le valli biellesi e la pianura vale senz'altro la fatica della salita. Le valli piemontesi confinanti sono caratterizzate da precipitazioni atmosferiche abbondanti. Non c'è da stupirsi quindi che molta umidità penetri anche ai bordi del nostro vallone, dove incontra le correnti fredde che scendono dal vicino Monte Rosa e forma sovente nebbie persistenti, soprattutto al pomeriggio. Forse anche per questo la zona si presenta ricca di acque superficiali (i laghi appunto) e di specie vegetali esigenti in fatto di umidità (citiamo per tutte il maestoso Delphinium elatum).
La proliferazione di laghi e laghetti è senz'altro favorita dalla posizione assai interna di questa testata di vallone, con il Mont Mars ed i suoi contrafforti settentrionali che chiudono (e ancor più chiudevano) lo sbocco verso valle. I ghiacci quaternari dovevano restare per così dire intrappolati in questa conca intramontana, lavorando quasi solo "a piatto" sul fondo. La zona immediatamente a valle del Lei Long illustra bene questa formidabile e complessa soglia glaciale. Il Mont Mars si può considerare fratello del Monte Mucrone, anch'esso isolato simmetricamente al dì là dello spartiacque: entrambi sono costituiti da un nucleo di rocce più resistenti, o più protette nei confronti degli agenti erosivi; entrambi generano laghi bellissimi.
Il bosco di larice, rado, luminoso, sovente ravvivato da distese di rododendro e cuscini di mirtillo, occupa la parte bassa della riserva, particolarmente vicino al torrente e sul versante sotto al Mont Mars. Nelle radure umide si incontrano, tra l'altro, alcune specie di orchidea e i sorprendenti piumini rosa del Thalictrum aquilegiifolium. In questa zona si possono incontrare le specie più vistose dell'avifauna alpina, in particolare il fagiano di monte. Più si sale in quota e più rari e modesti sono gli alpeggi: dopo quello nascosto e suggestivo di Bonel, e poi quello solido e perfetto del Lei Long, solo più bassi ricoveri si scoprono mimetizzati nel paesaggio, salvo una piccola costruzione ristrutturata presso il lago della Balma. L'utilizzo del pascolo, non particolarmente pregiato, è infatti piuttosto sporadico. La prateria ed il pascolo ospitano le principali specie floristiche tipiche del piano alpino, con predilezione per quelle adattabili ad ambienti aridi. Troviamo così vari ginepri, genziane, liliacee, e poi arnica e nigritella; ma la grande invadenza di affioramenti e detriti rocciosi mette più in evidenza specie rupicole tra cui prosperano i semprevivi ed i ciuffi azzurro-violacei della Campanula excisa, difficile da trovare ad ovest del Lys. Tra le evoluzioni più vistose della vegetazione in questo paesaggio particolare si devono comunque segnalare le "fioriture" legate ai laghi ed alle contigue torbiere. La più curiosa è forse costituita dallo Sparganium angustifolium che riempie totalmente le nutrienti acque del lago sotto l'alpeggio del Lei Long. La più spettacolare, anche perché avviene dopo la fine delle vere fioriture alpine, è senz'altro quella degli eriofori (particolarmente diffuso l'Eriophorum scheuchzeri) che imbiancano come neve le sponde degli specchi d'acqua. Sempre legata ai laghi ed alle torbiere è la diffusione della rana temporaria, che sfida tranquillamente i rigori climatici delle alte quote, e la presenza del merlo acquaiolo che si nutre dei numerosi insetti viventi allo stadio di larve sul fondo dei ruscelli.
IL PELLEGRINAGGIO AD OROPA
Notte magica quella del 28 luglio 1995 a Fontainemore: una folla eterogenea composta da più di mille persone attende di partire in pellegrinaggio verso il santuario di Oropa continuando una tradizione che dal 1585 (la prima data certa di cui si abbia notizia) ogni 5 anni convoglia i devoti della Madonna Nera sulla via del famoso Santuario biellese. Un tempo erano innumerevoli le processioni di fede che si svolgevano sulle nostre montagne ed alcune sopravvivono ancora ai giorni nostri: questa tra tutte è sicuramente la più conosciuta della Valle d'Aosta.
Verso mezzanotte si parte alla luce delle torce dalla cappella di Pillaz verso il lago Vargno quindi, oltrepassati alcuni alpeggi ed altri laghi, si raggiunge infine alla prime luci dell'alba il colle della Balma, valico posto a 2261 metri, che nei tempi passati aveva una grande importanza per gli intensi scambi commerciali tra il Biellese e la valle del Lys. Poco sotto il colle, alle "Cinque Croci", erette per ricordare una sciagura qui avvenuta, ha inizio la processione vera e propria: la lunga fila di fedeli con indosso il velo se donne e il fazzoletto bianco se uomini, guidata dalla croce e dal Pastorale, subito seguiti dallo stendardo della parrocchia che reca impressa l'immagine della Madonna d'Oropa, scende i ripidi fianchi della montagna verso l'ancora lontano Santuario.
La discesa è accompagnata da canti e litanie religiose e viene inframmezzata da brevi soste; verso le 12 si arriva al Santuario accolti da un'enorme folla festante e commossa qui giunta con altri mezzi.
A questo punto ognuno dimentica le proprie fatiche perché, come dice uno scritto del 1600, "...si ritiene per cosa certa che non si va mai invano al Santuario di Oropa". Il giorno dopo la processione riparte in senso contrario e al suo arrivo a Fontainemore sarà accolta da chi non ha potuto partecipare ed è ansioso di conoscere ogni particolare del pellegrinaggio.
E' così da più di quattrocento anni e dobbiamo essere tutti grati, credenti o meno, ad una comunità che è riuscita nei secoli a mantenere viva e ben salda questa tradizione e che nel luglio del 2000 sarà nuovamente in marcia per risalire quei millenari sentieri alla ricerca di qualcosa che va sicuramente ben oltre il semplice, anche se di per sé già grande, atto di fede.
di Luciano Ramìres