Sul territorio valdostano si contano più di duecento ghiacciai. Nel 1975, anno a cui risalgono le foto aeree da cui è tratto l'ultimo catasto dei ghiacciai, essi coprivano una superficie di 19.350 ettari, pari a poco meno del 6% del suo territorio. Nessun'altra regione d'Italia ha un tale tasso di glaciazione e ben poche regioni d'Europa l'uguagliano.
La Valle d'Aosta vive di ghiacciai proprio come l'Egitto vive delle acque del Nilo.
Le loro acque di fusione da millenni vengono portate ad irrigare le terre agricole, per larga parte povere di precipitazioni. La potenza di queste acque ha reso possibile, dall'inizio del secolo XX, l'industrializzazione della nostra valle, ed oggi fa della Regione valdostana una delle maggiori esportatrici di energia idroelettrica. I ghiacciai, infine, sono la grande attrattiva paesistica che ha permesso lo sviluppo del turismo in Valle d'Aosta. Eppure i ghiacciai, che tanto spazio hanno nei nostri paesaggi e che assolvono attività tanto importanti nelle attività produttive, restano degli sconosciuti per gran parte del pubblico il quale si accorge che essi sono "vivi" solo in occasione di avvenimenti eccezionali.
LA VITA DEI GHIACCIAI
I ghiacciai hanno una loro vita perché sono entità dinamiche: la loro continua trasformazione ed il loro continuo movimento sono tali da essere nettamente colti dalla scala temporale umana. Essi presentano un vastissimo campo di ricerca che fa capo ad una scienza specifica, la "glaciologia". I ghiacciai sono riserve di acqua solida sotto forma di ghiaccio, nevato e neve; essi si originano nelle regioni in cui la temperatura dell'aria è mediamente inferiore agli zero gradi. In queste zone, durante l'anno, si accumula più neve di quanta se ne possa fondere.
Le coltri nivo-glaciali, sotto l'azione della forza di gravita, scivolano permanentemente verso valle incontrando via via temperature più elevate fino a che al di sotto del cosiddetto "limite climatico delle nevi permanenti", nel corso dell'anno, fonde più neve di quanta riesca ad accumularsi. E' facile comprendere quanta importanza abbia per la vita del ghiacciaio l'altitudine a cui questo si stabilisce giacché essa delimita l'ampiezza del "bacino collettore": la zona in cui si forma il ghiaccio. Nell'area sottostante, che prende il nome di "bacino ablatore", la fusione prende il sopravvento e il ghiaccio a poco a poco viene distrutto. Più ampio e ricco è il bacino di accumulo, più vasto è il bacino ablatore, talvolta caratterizzato da lunghe lingue vallive come nei nostri ghiacciai del Miage, della Brenva, di Lex Bianche, di Pré de Bar, del Vaudet, di Tza de Tzan ed altri. Ciò avviene perché la buona alimentazione che scende dall'alto convoglia nella zona più bassa una quantità dì ghiaccio tale da resistere validamente alla forte ablazione che ha luogo alle quote inferiori ai 2000 metri. Il ghiacciaio termina nel punto in cui la quantità di ghiaccio che fluisce dall'alto è pari a quella che la temperatura dell'aria può fondere durante l'anno. Questo punto prende il nome di "fronte". Fra i ghiacciai valdostani ve ne sono due che vantano il primato delle fronti più basse dell'intero versante meridionale delle Alpi. Sono ghiacciai del Miage e della Brenva cui fronti giungono al fondovallé della Val Vény, rispettivamente all'altitudine di 1720 e 1400 metri s.l.m.
LE VARIAZIONI DEI GHIACCIAI
La massima espansione storica dei ghiacciai valdostani si ebbe fra il 1818 ed il 1860. Essa fu dovuta al clima particolarmente freddo e ricco di precipitazioni nevose che caratterizzò i primi decenni del secolo XIX (con temperature medie annue di -1,9 e precipitazioni di 2500 mm). Questa situazione meteorologica, durata per alcuni decenni, diede luogo ad una alimentazione molto ricca. Contemporaneamente, essendo i mesi estivi assai più freschi degli attuali, l'ablazione risultava assai ridotta sia riguardo all'intensità che riguardo alla durata. In quel periodo tutti gli apparati ebbero una espansione in lunghezza e in volume come mai era avvenuto in tempi storici.
L'aspetto dei ghiacciai valdostani nel massimo della loro espansione non soltanto è documentato sul terreno dalle imponenti cerchie moreniche deposte in quel periodo ma è anche stato descritto da diversi scrittori e colto da pittori e incisori dell'epoca. Così, gli studi sul terreno sono confortati anche da splendide immagini a stampa, quali quelle che appaiono nel volume del Lory "Voyage pittoresque autour du Mont-Blanc", pubblicato nel 1826 o in quello di E. Aubert "La Vallèe d'Aoste" del 1860.
Quasi tutti i più importanti apparati valdostani erano almeno un migliaio di metri più estesi che attualmente!
I MOVIMENTI DEI GHIACCIAI E LE LORO CONSEGUENZE
La glaciologia distingue i ghiacciai in "freddi" e "temperati" a seconda dei valori della temperatura interna degli apparati. Da questa dipende la presenza o meno dell'acqua liquida che condiziona il metamorfismo delle coltri nivo-glaciali e il dinamismo dell'intera massa.
Sono ghiacciai "freddi", con una temperatura interna assai inferiore al punto di fusione, quelli delle terre polari, ma anche quelli delle nostre montagne al di sopra dei 4000 metri. Una perforazione eseguita dal prof. Smiraglia del Comitato Glaciologico Italiano sul colle del Lys (m 4250) al Monte Rosa ha rilevato nella coltre glaciale, a 80 metri di profondità, la temperatura di 12 gradi centigradi. Sui ghiacciai delle regioni temperate come quelli alpini, la temperatura dell'aria, in alcuni mesi dell'anno e in alcune ore del giorno, sale a valori positivi provocando processi di fusione sulla superficie delle coltri nevose. Inoltre, le proprietà coibenti del ghiaccio sono in grado di trattenere il calore geotermico che la crosta terrestre emana in un flusso continuo, non condizionato né dalle condizioni di insolazione né dalle stagioni. Perciò nei nostri ghiacciai, a livello del letto roccioso, viene raggiunta una temperatura positiva in quasi tutto l'arco dell'anno. La massa glaciale è mediamente attorno agli zero gradi, vale a dire molto vicina al punto di fusione: la cosa ci da la misura della fragilità degli apparati. All'interno e alla base vi è sempre acqua circolante e nei mesi caldi si aggiunge quella di fusione della superficie. La presenza dell'acqua, fungendo da piano lubrificante, facilita i movimenti della massa. Secondo gli specialisti la velocità superficiale di discesa dei ghiacciai alpini è compresa fra i 20 e i 200 metri all'anno, ma non è mai costante. Inoltre essa muta in uno stesso ghiacciaio da periodo a periodo, ma anche da zona a zona a causa delle diversità di morfologia e di pendenza dell'alveo.
La variazione di velocità lungo la linea di flusso da luogo a forti tensioni della massa glaciale là dove lo scorrimento si accelera repentinamente. In queste zone la superficie del ghiacciaio cede alle sollecitazioni aprendosi in fenditure trasversali più o meno larghe e profonde: i crepacci. Nei bacini di alimentazione, al di sopra del limite delle nevi permanenti, i crepacci possono avere profondità anche superiori ai 50 metri.
Quando una massa glaciale subisce una brusca accelerazione o forti compressioni, si originano numerose fratture trasversali e longitudinali che si intersecano portando all'isolamento una serie di blocchi di ghiaccio, alti anche più di 10 metri, che vengono detti "seracchi". Crepacci e saracchi si formano sempre nelle zone in cui l'alveo presenta discontinuità di pendenza; ma anche nelle zone in cui la regolarità del di altre correnti glaciali. Superato l'ostacolo però il flusso si regolarizza, le tensioni diminuiscono, le fenditure si cicatrizzano e la massa si ricompatta.
CONOSCERE LA DINAMICA GLACIALE PER LA SICUREZZA IN MONTAGNA
Il ghiacciaio scorre, ma le zone tormentate da crepacci e seracchi restano sempre le stesse. Nella stagione fredda la loro insidia è per lo più celata da coltri di neve il cui spessore può anche raggiungere e superare i 10 metri. Sotto la neve, però, crepacci e seracchi restano sempre costantemente aperti né potrebbe essere diversamente, date le leggi fisiche della dinamica dei fluidi. E' perciò buona regola per gli alpinisti e gli sciatori evitare sempre le zone in cui la morfologia del ghiacciaio è tale da dare luogo a irregolarità di flusso perché nessuno può essere in grado di calcolare la resistenza dei ponti di neve adagiati sulle sottostanti fessure beanti. Per attrezzare un ghiacciaio a comprensorio sciistico atto a promuovere l'attività sportiva in piena sicurezza, si dovrebbero in primo luogo redigere accurate carte del fondo roccioso onde poter conoscere la potenza del manto glaciale che si intende utilizzare e individuare al di sotto di esso le discontinuità di pendio che danno luogo alla presenza costante di crepacci. Oggi, l'esplorazione con il geo-radar ha facilitato grandemente queste ricerche che fino a pochi anni fa si presentavano molto complesse. Sui ghiacciai valdostani rilevazioni di questo tipo, ma con finalità di utilizzazione idroelettrica, sono in corso a cura dell'ENEL sui ghiacciai del Lys e del Ruitor.
La conoscenza approfondita della dinamica glaciale sta diventando sempre più necessaria per la sicurezza dell'attività turistica a mano a mano che nelle nostre valli si amplia la zona degli insediamenti, dei comprensori sciistici e delle zone frequentate da escursionisti.
Un crollo glaciale può dare luogo a gravissime sciagure ma non dimentichiamo che esso è soltanto l'ultimo episodio di un processo evolutivo: le conoscenze e le tecnologie attuali mettono in grado gli specialisti di scoprire e di seguire questi processi, spesso fin dalle loro origini, e quindi di mettere in atto, senza assurdi e tardivi allarmismi, un razionale programma di prevenzione per la sicurezza di chi frequenta le zone a rischio. La scrivente, fin dall'estate del 1994 segnalò la pericolosità assunta dal ghiacciaio sommitale delle Grandes Jorasses. I provvedimenti presi in seguito per il monitoraggio di questo ghiacciaio pongono la Valle d'Aosta all'avanguardia della ricerca scientifica al servizio del cittadino e dimostrano come la glaciologia stia diventando una scienza applicata al territorio, permettendo di godere in sicurezza l'ineguagliabile fascino del paesaggio glaciale.
INTERVIEW AVEC M. MARTIN FUNK (VAW-ETH)
Quelles sont les caractéristiques plus marquantes du glacier des Grandes Jorasses par rapport aux autres glaciers dans la chaîne du Mont-Blanc (par exemple ceux de la Brenva et du Miage) et aux autres glaciers suspendus des Alpes suisses et de l'Italie? Le glacier des Grandes Jorasses est situé à une altitude proche de 4000 mètres. Son exposition est vers le Sud et sa superficie d'environ 25000 m2. Nous avons à faire avec un glacier du type suspendu. Pour ce genre de glaciers, les apports solides en zone d'accumulation ne sont pas compensés par une fonte correspondante en zone d'ablation. Dans le cas spécifique, la zone d'ablation est inexistante. L'équilibre est rétabli par le fait que la glace se détache périodiquement au front du glacier en provoquant des chûtes de séracs. Il s'agit donc d'un phénomène tout à fait normal pour un glacier de ce type.
Une des caractéristiques principales de notre glacier est qu'il s'agit d'un cas avec des températures de la glace proches du point de fusion, probablement avec des zones froides et tempérées existant simultanément. Cette caractéristique découle principalement de l'exposition et de l'altitude du glacier.
A notre avis, la stabilité générale du glacier en question est assurée par le fait qu'il est en grande partie gelé sur son bedrock. Du moins, c'est ce qu'il s'est passé jusqu'ici, mais une modification des conditions thermiques peut avoir de graves conséquences sur la stabilité du glacier. La plupart des glaciers suspendus dans le massif du Mont-Blanc se localisent sur des pentes avec exposition Nord-Ouest ou Nord-Est. Dans ces cas, la limite inférieure des températures froides de la glace est nettement plus basse que pour l'exposition à Sud; elle se situe entre 3500 et 3800 m d'altitude. Ces glaciers sont tous situés à une altitude supérieure: ils sont donc "froids", avec des températures en-dessous du point de fusion.
· Quel degré de précision pouvons-nous atteindre dans la prévision de l'évolution dynamique d'un glacier suspendu comme celui des Grandes Jorasses avec l'étude que nous sommes en train de réaliser?
Pour suivre l'évolution d'un glacier et reconnaître à temps la possibilité d'une grosse chûte de glace nous commençons par prendre des relevés photographiques à intervalles réguliers (environ un mois). Sur ces relevés nous prétons une attention toute spéciale à la formation et à l'évolution des crevasses.
Au cas où une déstabilisation d'une partie du glacier d'environ 10.000m3 serait à craindre, il est possible d'indiquer à l'avance le moment de la chûte. Pour ce faire il importe de déterminer l'évolution du mouvement de la partie instable du glacier avec le temps.
La précision du résultat dépend essentiellement de deux facteurs :
a) du nombre des mesures effectuées, plus spécialement pendant la phase critique précédant la chûte;
b) de la précision des mesures effectuées.
Pour le cas des Grandes Jorasses en janvier 1997, nous avons pu prédire la chûte du sérac à deux ou trois jours près, avec trois vitesses déterminées à partir de quatre relevés topographiques. Il importe de noter ici que, malgré tous les moyens mis en oeuvre pour prédire une importante chûte de glace, personne n'est à même de garantir une sécurité cent pour cent contre ce genre de danger naturel.
· Est-ce qu'il existe une relation entre les changements climatiques à l'échelle régionale et la dynamique des glaciers suspendus dans les régions alpines ?
Le réchauffement de l'atmosphère a une conséquence très importante pour les glaciers suspendus du type Grandes Jorasses ou Eiger, en Suisse. De par leur situation, le gel au bedrock est fondamental pour leur stabilité. Les températures au contact avec le bedrock sont, très probablement pour les Grandes Jorasses et clairement pour l'Eiger, très proches du point de fusion. Un réchauffement de l'atmosphère au cours des années à venir aura certainement pour effet de réduire, voire anéantir, la partie du glacier "fixée" par le gel sur le bedrock ce qui entraînera la déstabilisation d'importantes masses de glace, voire même d'une grande partie des glaciers de ce type avec ces caractéristiques thermiques.
La formation d'une grande crevasse sous la crête faîtière des Grandes Jorasses, depuis environ une année, indique un changement du comportement dynamique du glacier. Cela pourrait être dû à l'apparition de zones de glaces tempérées sur l'assise du glacier permettant un glissement partiel à sa base.
Il est, pourtant, très important de suivre avec attention l'évolution de ce glacier ces prochains temps.
Une mesure directe des températures dans la glace pour le glacier des Grandes Jorasses serait très utile pour pouvoir juger de la stabilité générale ainsi que de son évolution à l'avenir.
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INDAGINE SUL GHIACCIAIO DELLE GRANDES JORASSES
Lo scorso inverno ha portato alla ribalta delle cronache pubbliche il ghiacciaio delle Grandes Jorasses sul versante italiano del massiccio del Monte Bianco. La sua recente storia evolutiva, particolarmente spettacolare, ha catalizzato l'attenzione dei tecnici e dei media per parecchi giorni.
Negli ultimi anni l'attenzione dei tecnici rivolta al ghiacciaio è stata risvegliata dal consistente incremento verificatosi nella dinamica del ghiacciaio delle Grandes Jorasses, che tra l'altro aveva già causato nell'agosto 1993 un incidente per la caduta di una porzione della seraccata frontale che aveva investito una cordata di alpinisti causandone il decesso. Sulla base di segnalazioni di diversa provenienza che indicavano una notevole e pericolosa frequenza di crolli dal fronte del ghiacciaio, l'Amministrazione regionale ha deciso di approntare un programma di indagine sul ghiacciaio al fine di verificare la consistenza del fenomeno e le sue ripercussioni sulle condizioni di sicurezza del settore della Val Ferret, a ridosso dell'abitato di Planpincieux, potenzialmente interessato dalle valanghe di ghiaccio e di neve.
L'incarico è stato affidato con deliberazione della Giunta regionale nel settembre 1996 all'Institut federal pour l'étude de la neige et des avalanches di Davos (CH) con il supporto specialistico per il settore glaciologico del Versuchsanstalt für Wasserbau, Hydrologie und Glaziologie dell'ETh di Zurigo (CH). I responsabili tecnici sono rispettivamente il Dr. Stefan Margreth per il settore valanghe ed il Dr. Martin Punk per le problematiche glaciologiche.
La necessità di approntare uno studio sul fenomeno in questione deriva dal fatto che il ghiacciaio delle Grandes Jorasses, ed in particolare la sua porzione sommitale compresa tra le Punte Whymper e Walker, genera periodicamente crolli di ghiaccio che potrebbero interessare il fondovalle a monte dell'abitato di Planpincieux, soprattutto nel periodo invernale quando la copertura nevosa può favorire la caduta di blocchi di ghiaccio fino al fondo della vallata.
L'indagine è rivolta quindi a valutare l'impatto di una caduta di ghiaccio, eventualmente combinata con una valanga di neve, sul fondovalle per differenti volumetrie di ghiaccio e di neve. Le diverse fasi dell'indagine sono rivolte ad una valutazione delle dimensioni massime dei crolli nella situazione attuale del ghiacciaio, alla previsione con modelli matematici delle valanghe che si possono innescare a seguito di un crollo. Particolare risonanza, anche sui media nazionali ed esteri, hanno recentemente avuto gli eventi di crollo verificatisi nel gennaio scorso. La particolare situazione che ha contribuito ad intensificare e approfondire il monitoraggio e la susseguente analisi è stata dettata dalla combinazione dell'approssimarsi di una situazione di "collasso" per una porzione del seracco frontale (valutata approssimativamente dell'ordine di 10.000 me), della presenza di un manto nevoso consistente (nell'ordine di qualche metro), e soprattutto dell'avvicinarsi di un periodo turistico che avrebbe fatto confluire nella Val Ferret numerose persone. L'adozione di misure di controllo per la salvaguardia della pubblica incolumità, pienamente giustificata da parte del Sindaco di Courmayeur, responsabile principale di protezione civile sul suo territorio, sono state dettate in modo graduale (chiusura della pista di fondo, chiusura della viabilità e evacuazione degli abitanti di Planpincieux) sulla base di osservazioni giornaliere, tempo permettendo, che hanno permesso con buona approssimazione di gestire il periodo di "crisi". A tale riguardo pare obbligo osservare come talvolta l'azione informativa dei media sia risultata approssimativa e poco chiara generando apprensione, spesso eccessiva, nella pubblica opinione, soprattutto al di fuori della realtà valdostana. Si evince da ciò la necessità di sviluppare una efficace azione informativa nei confronti della popolazione e dei media.
di Massimo Pasqualotto