ALTRI ORIZZONTI
Evidenziata una stretta relazione tra l'incremento nell'atmosfera di "gas serra" e variazioni climatiche a livello globale
ATTIVITA' UMANE E CAMBIAMENTI CLIMATICI
di Marcello Dondeyn
Si è svolta nel mese di dicembre 1995 a Roma una importante Conferenza dell'ONU sui cambiamenti climatici. A cinque anni di distanza dal primo rapporto, gli esperti dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climat Change), organismo che raggruppa i massimi esperti in materia di clima, hanno approvato un documento finale, frutto della collaborazione di oltre duemila scienziati di tutto il mondo, nel quale per la prima volta si constata esplicitamente che le attività dell'uomo (impiego di combustibili fossili, deforestazioni) stanno aumentando in modo consistente la presenza in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas serra contribuendo all'aumento globale della temperatura media del pianeta e alle variazioni climatiche su piccola e grande scala. Il testo, inviato dalle Nazioni Unite ai governi di tutti i Paesi affinché si arrivi entro il 1997 ad individuare obiettivi ed azioni comuni per ridurre i gas ad effetto serra, afferma: "l'evidenza suggerisce un influsso umano percepibile sul clima globale". Che le temperature ed il clima del pianeta subiscano cambiamenti periodici, anche repentini, è un fenomeno ampiamente indagato, e del quale abbiamo la percezione diretta nel corso della nostra esistenza. Dopo l'ultima glaciazione, quella di Würm, conclusasi circa 15 mila anni fa, con una temperatura media in Europa di circa 100°C inferiore a quella attuale, la temperatura si è sostanzialmente stabilizzata sulle medie attuali. Negli ultimi 10 mila anni si sono avute oscillazioni non superiori ai 2-3°C. A permettere sulla Terra un clima temperato e la vita è proprio l'effetto serra. Esso è determinato dalla presenza spontanea nello strato basso dell'atmosfera di anidride carbonica di vapore acqueo che lasciano filtrare i raggi del sole, trattengono il calore emesso dal suolo e dai vegetali e permettono alla temperatura dell'aria una media planetaria di +15° anziché -15° come sarebbe senza l'effetto di questi gas. L'effetto serra, per nostra fortuna, esiste da sempre. La novità verificatasi a partire dalla rivoluzione industriale e giunta ad un punto tale da influire direttamente sul clima complessivo del pianeta è che le attività umane stanno velocemente incrementando le quantità presenti in atmosfera di gas serra (anidride carbonica (CO2) in primo luogo, ma anche metano (CH4), ossidi di azoto (NOx), clorofluorocarburi (CFC)). Quello che ancora non si conosce è se questo apporto antropico al riscaldamento terrestre venga a sommarsi ad un ciclo naturale di aumento della temperatura e in quale misura interagisca e/o interferisca con i processi di assestamento climatico fin qui verificatisi. Dati e conseguenze dell'aumento della temperatura sono invece disponibili e in parte prevedibili. La serie stimata dall'Ipcc, è la seguente: negli anni '60 la temperatura media è stata di 14,94 gradi, negli anni '70 è salita a 5,01, negli anni '80 a 15,23 e nella prima metà degli anni '90 a 15,30 gradi. Dal 1860 in poi la temperatura è salita circa 1 grado. I1 1995, l'anno appena scorso, concordano stime e rilevazioni autorevoli, è stato il più caldo degli ultimi 150 anni. I dati britannici, forniti dal British Meteotological Office e dalla University of East Anglia, parlano di una temperatura media nel 1995 di 14,84°C; quelli americani, elaborati dal Nasa Goddard Institute for Space idies di New York pongono la media a 15,38°C. Pur concordando l'annata record, la differenza dipende dai diversi metodi di valutazione, pemanendo questo andamento (trend) provocato fortemente dall'intervento dell'uomo, il documento finale della Conferenza di Roma stima al 2100 un aumento della temperatura da da 1 a 3,5°C, a seconda dell'aumento della popolazione mondiale, della crescita economica e delle emissioni di anidride carbonica.

QUALI CONSEGUENZE

Inquinamento atmosferico sulla città di Aosta.Le conseguenze prevedibili su ampia scala riguardano l'arretramento dei ghiacciai, l'innalzamento del li-vello dei mari, la diffusione di fenomeni metereologici più intensi (grandi piogge, siccità prolungate), modificazioni delle aree coltivabili e forestali e contemporanea estensione di aree steppiche o desertiche, modificazioni locali dei regimi della piovosità. Sul piano locale disponiamo degli studi e delle ricerche, sia storici che attuali, condotti con rigore e passione dalla prof.ssa Augusta Vittoria Cerutti. Tali studi constaterebbero che, entro certi limiti, entro cioè uno scostamento di 2-3°C rispetto alla temperatura media attuale, siamo in presenza di fenomeni già conosciuti ed affrontati da quanti nel passato hanno abitato questa Regione. Ciò non vuol dire sottovalutare mutamenti che sarebbero consistenti sul versante dei regimi della piovosità e dei corsi d'acqua, della diminuzione della permanenza del manto nevoso, del ritiro dei ghiacciai, dell'innalzamento del limite dei boschi, della scomparsa di specie floristiche, rima-
nendo una forte incertezza sui tempi e le modalità dei possibili spostamenti (shifts) degli ecosistemi. La vera novità rispetto al passato è che nella nostra epoca un aumento della temperatura media com-porterebbe sull'economia della Valle d'Aosta conseguenze diametralmente opposte. In passato l'aumento della temperatura ha significato essenzialmente un innalzamento e ampliamento delle aree coltivabili e l'esaltazione del ruolo di porta delle Alpi. Fra il 1300 e il 1500, ad esempio, le vallate Walser di Gressoney e Ayas erano definite "Krämertal", cioé valle dei mercanti per via delle floride attività commerciali intrattenute con il Vallese e i Paesi di lingua germanica attraverso l'agevolmente percorribile Colle del Théodule. Oggi un ritorno al clima di quell'epoca significherebbe mettere in ginocchio il turismo invernale, senza contare le incognite derivanti da comportamenti climatici indotti dalle attività umane. Di per sé le bizzarrie e, a volte, le catastrofi causate dal tempo stanno ad indicare che siamo indissolubilmente legati alla natura dalla quale dipendiamo. Già così è un'avventura conviverci. Sarebbe estremamente rischioso ritenere di poter anche cambiare le regole.
 

L'OPINIONE DELLA PROFESSORESSA AUGUSTA VITTORIA CERUTTI
· Lei ha condotto studi e ricerche sui cambiamenti climatici che hanno interessato il territorio della Valle d'Aosta. Ci può fare una breve cronologia?

Tra 7 e 3 mila anni fa, la temperatura media annua sulle Alpi era di 3 gradi superiore a quella attuale, (Aosta aveva 13°, come oggi Genova; Courmayeur 11°, come Ivrea), portando il limite delle nevi perenni a 4000 metri e impedendo quindi la formazione dei ghiacciai. Tale clima temperato consentì l'insediamento umano nelle valli alpine durante il neolitico, considerato il periodo di "optimum climatico". Il periodo freddo tornò dal 1600 a.C. ca., quando i ghiacciai avanzarono in media di 700 metri, raggiungendo punte massime dal 1400 al 1300 a.C. e tra il 900 e il 300 a.C., ossia in piena età del ferro, caratterizzata, tra l'altro, dal migrare delle popolazioni celtiche verso zone più calde. Dal 300 ci fu un forte miglioramento che corrispose all'età romana, durante la quale i passi alpini furono utilizzati. La caduta dell'Impero Romano e la calata dei barbari corrisponde viceversa a un nuovo periodo freddo, che va dal 400 al 700 d. C. Comincia poi un nuovo periodo caldo, questa volta più lungo, dall'VIII al XVI secolo, dove la temperatura media fu di 2 gradi superiore a quella attuale. Tenendo conto che 1 grado corrisponde a 160 metri di differenza del limite delle nevi perenni, possiamo constatare che durante il periodo carolingio il limite del bosco era circa 400 metri superiore a quello attuale (sono stati infatti trovati dei ceppi di cembro al Lago Goyet!). Dal 1550 cominciò una nuova piccola glaciazione, con un calo della temperatura di 30, facendo quindi di questo il momento più freddo del periodo storico. L'espansione glaciale fu di ampiezza gravissima: foreste secolari vennero distrutte, pascoli invasi dal ghiaccio, alpeggi e villaggi inghiottiti, spingendo così a valle il limite delle colture e riducendo drasticamente le risorse alimentari. L'entità della catastrofe fu tale che un notabile di Chamonix venne da noi per chiedere se avessimo inviato un messo dal Papa per scongiurare la maledizione! È in questo periodo che nasce il nome di "Mont Maudit" e traggono origine le varie leggende legate al ghiacciaio visto come punizione (Ruitor, Felik, Alpe fiorita...). A questo freddo, che ha il suo culmine nel 1601, ne seguono altri tre, con culmini nel 1645, 1820 e 1855. Per quanto riguarda il nostro secolo, vi sono stati frequenti periodi di ritiro e di avanzata dei ghiacci. In questa alternanza, comunque, l'avanzata non ha mai recuperato terreno rispetto alla ritirata, sicché ci troviamo di fronte a ghiacciai comunque inferiori a quelli precedenti.

· Voci autorevoli esprimono forti preoccupazioni per l'attuale fase di arretramento dei ghiacciai alpini. Qual è il suo parere?

Ciò che è certo rispetto alla situazione attuale è che abbiamo avuto un aumento medio della temperatura di circa 1/2 grado. Se è vero che i cicli climatici non hanno nulla a che vedere con l'industrializzazione, è però vero che tale fenomeno può contribuire ad accelerare tali cicli. Nel 2020, infatti, avremo raddoppiato l'anidride carbonica presente nell'aria rispetto al periodo preindustriale, incrementando ulteriormente l'effetto serra. È la prima volta che ci troviamo di fronte all'intervento umano che modifica il naturale decorso climatico e pertanto occorre tenere ben presente a cosa si può andare incontro. Le nevi perenni si scioglieranno, nevicherà sempre meno; i ghiacci sciolti, aggiunti alle maggiori precipitazioni piovose, porteranno ad un aumento del livello del mare di circa 15 cm: Venezia, l'Olanda, il delta del Nilo spariranno, sulle coste alte l'erosione batterà più in alto stravolgendo gli equilibri, nelle zone alpine i torrenti avranno maggior portata e con sé porteranno più detriti. Ma ciò che può essere negativo da una parte può avere riscontri positivi altrove (per esempio, se qui ci dispiacerebbe non poter più sciare, in Siberia potrebbero essere contenti di coltivare la terra!). Occorre pertanto studiare le conseguenze seguendo la teoria del possibilismo, impostasi negli ultimi anni, che evidenzia la necessità di una programmazione economica attenta alle variazioni, nell'intento di superare sì gli ostacoli ma senza violentare gli ecosistemi, ricordandosi bene che non sono le risorse a doversi adattare ai bisogni umani bensì questi ultimi devono tenere conto delle prime e se queste vengono a mancare bisogna puntare verso altri obiettivi.
 

   
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