CONSEGUENZE E PROSPETTIVE
Le mutate abitudini e il cambiamento climatico saranno i due fattori che determineranno i possibili scenari del turismo negli anni a venire.
IL TURISMO CAMBIA FACCIA
di Flamina Montanari
Ogni cosa viva cresce, si sviluppa, cambia faccia. La crisi denunciata dagli operatori turistici non è quindi forse una patologia, ma un bisogno fisiologico di crescita e di cambiamento. Il riscaldamento del clima e i suoi prevedibili impatti sull’ambiente di montagna saranno sicuramente una cartina di tornasole per tutte le imprese turistiche, operando una selezione naturale tra chi sa adeguarsi ai cambiamenti e chi resta ad attendere l’inevitabile estinzione. Il turismo infatti è in fase di rapida evoluzione e sta mutando costumi e destinazioni, sconvolgendo di riflesso anche la nostra organizzazione tradizionale. Siamo abituati, in Valle d’Aosta, a considerare il turismo come un’attività legata stabilmente a due stagioni, l’inverno e l’estate, con
qualche piccola coda dovuta alle condizioni climatiche: se c’è molta neve in inverno, se c’è molto sole in estate. Ma fondamentalmente le code hanno rilevanza marginale, e tutto si concentra su dicembre-febbraio e su luglio-agosto, con punte di afflusso che generano ingorghi del traffico e paralisi locali, per ripiombare poi le zone turistiche nel vuoto assoluto – finestre chiuse, grandi parcheggi vuoti, lunghi marciapiedi illuminati e deserti; con conseguente antieconomicità di gestione delle infrastrutture e dei servizi, dimensionati per un’utenza consistente e impossibilitati quindi a funzionare in presenza di piccoli numeri. Una struttura che denuncia quindi già in se stessa e nei suoi esiti una crisi di dimensione e di equilibrio con le risorse dell’ambiente. Ma le abitudini stanno
cambiando. Nuove mete turistiche propongono alternative allettanti sia per la novità che per il prezzo, e sempre più cresce la ricerca di turismo organizzato, di villaggi-vacanza in cui dimenticare per una settimana il proprio quotidiano e vivere da un pasto all’altro intrattenuti da passatempi infantili, giocando a fare gli attori di una telenovela nello scenario finto di un mondo amichevole e spensierato. Cresce anche l’ offerta di paesi esotici, di mondi nuovi che fino a ieri sembravano inaccessibili e lontanissimi, e che oggi si trovano alla portata di tutti: la Cina, la Patagonia, il Caucaso, il Cile… di cui il visitatore potrà vedere qualche piccolo pezzo adattato per le sue esigenze con alberghi di standard internazionale, spettacoli di danze e musiche tradizionali appositamente costruiti per lui, mercatini di oggetti locali prodotti per lo specifico uso di
souvenir
; e potrà tornare dal viaggio con una montagna di foto che gli confermino di essere stato proprio in Paraguay o all’isola di Pasqua… Oppure le vacanze in agriturismo tra piatti tipici e cavalcate, o a inseguire l’eterna giovinezza in
beauty-farm
tra fanghi e massaggi… o una vacanza-avventura, a traversare il deserto o in un anacronistico safari o a praticare sport estremi per il gusto di un po’ di adrenalina che non sia quella provocata dall’ira contro il motociclista che ti sorpassa facendoti il pelo. Le offerte si moltiplicano, inseguendo tutti i gusti e le esigenze, ma sempre più allontanando il turista dal concetto tradizionale della vacanza residenziale, erede dello
status-symbol
costituito un tempo dall’estate in villa, e che ancora caratterizza la gran parte dell’offerta valdostana. Gli albergatori denunciano un calo delle giornate di permanenza, attestate sulle 3-4 giornate al posto della tradizionale settimana, i Comuni lamentano le seconde case vuote per quasi tutto l’anno. Ma non solo cambiano le abitudini sociali e l’attitudine verso la vacanza: un non piccolo ruolo negli scenari del turismo del futuro sarà sicuramente giocato dal cambiamento climatico, che potrà acuire da un lato i punti critici della nostra organizzazione turistica, ma potrà anche aprirci d’altro lato nuove prospettive. Il turismo invernale, oggi traente nell’economia valdostana, potrebbe subire il più deciso contraccolpo per una carenza della neve, ingrediente primario della vendita turistica. Le piste possono – in determinate condizioni climatiche – essere innevate anche artificialmente; ma è fuor di dubbio che sciare su una passatoia di neve in mezzo ai colori grigiastri e spenti della pietraia, degli aghi di pino o all’erba secca non ha la stessa attrattiva che scendere in mezzo ad un paesaggio innevato, scintillante sotto il sole e rivestito al tramonto di morbide ombre azzurrine e violette. Il turista potrebbe quindi orientarsi verso altre destinazioni che offrano maggiori garanzie di innevamento, come il Canada o le nuove stazioni invernali cilene. È pur vero che le piste valdostane sono in gran parte a quote molto elevate, sul ghiacciaio, e questo costituisce una buona garanzia rispetto all’ipotesi di cambiamento climatico; ma è anche vero che abbiamo una maggioranza di versanti esposti a sud, su cui la neve è destinata a sciogliersi più velocemente. Contro questi fattori di rischio, esiste tuttavia anche la prospettiva del crescente prezzo del petrolio, che determinerà come conseguenza una crescita del costo dei mezzi di trasporto, favorendo le località più vicine rispetto alle destinazioni transnazionali. Questa opportunità richiederebbe però una precoce politica di
riorganizzazione e miglioramento del trasporto pubblico, che risulta oggi solo marginalmente utilizzato dall’utenza turistica o meglio quasi inutilizzabile, data la difficoltà insita nella struttura geografica regionale, la presenza di diversi gestori non sufficientemente coordinati e la scarsa informazione del pubblico. La crescita del costo del carburante potrebbe infatti determinare un vantaggio di mercato non indifferente per quelle località che offrano facilità di accesso con i mezzi di trasporto collettivi. Un’altra considerazione che può esser fatta in merito al riscaldamento del clima è quella sull’evidente spostamento delle stagioni: le grandi nevicate, che assicurano un buon fondo alle piste, tendono ad essere posticipate da fine novembre verso dicembre, mettendo ogni anno in forse l’apertura della stagione; mentre d’altro lato la più lunga permanenza di neve a primavera potrà promuovere un’espansione delle pratiche di sci alpino. Bisognerà però anche tener conto degli aumentati rischi in alta montagna; occorrerà perciò potenziare la rete di informazione e formazione degli utenti, sviluppando collateralmente una specifica professionalità in questo campo negli operatori turistici - albergatori, gestori di rifugi, personale addetto agli impianti di risalita. La sicurezza diventa infatti un requisito sempre più importante per una località turistica. Meno prevedibile risulta invece lo scenario che può aprirsi per il turismo estivo. Se gli ultimi anni infatti hanno riscontrato un calo del mercato, il riscaldamento del clima potrebbe invece giocare a favore di un rinnovato interesse per la montagna. Le città sempre più torride e invivibili durante i mesi estivi potrebbero spingere la popolazione urbana a rifugiarsi, quando possibile, a cercare un po’ di frescura sui monti. Questo potrebbe essere positivo per quanto riguarda un maggiore utilizzo delle seconde case, un problema spinoso per tutti i comuni turistici. In effetti negli ultimi anni si è profilato un nuovo fenomeno, che per quanto ancora di piccoli numeri potrebbe diventare col tempo più consistente: la maggiore presenza nelle seconde case, invece che nei tradizionali periodi estate/inverno, in fine settimana o fine settimana allungati. Le comunicazioni telematiche rendono infatti ormai possibile in molti casi seguire il lavoro anche a distanza, o trasferirlo con sé, per chi svolge lavori intellettuali, su un qualunque PC portatile. Il confine tra lavoro e tempo libero diventa perciò sempre più impreciso e fluido, permettendo di godere una mattinata di sci o una passeggiata all’aria aperta senza troncare le normali occupazioni. Se davvero la vita urbana diventerà sempre meno accettabile (e la tendenza degli ultimi vent’anni è stata decisamente verso il trasferimento nelle cinture periurbane, nelle piccole province, dove la qualità della vita e dell’ambiente offrono ancora un margine di vivibilità), è possibile che si profili una situazione simile a quella vissuta da alcuni comuni della riviera ligure, che hanno visto le famiglie milanesi o torinesi trasferire nelle seconde case al mare nonni e bambini, per raggiungerli poi nei fine settimana. I Comuni si sono così trovati a far fronte a un imprevedibile aumento della popolazione scolastica e dell’utenza dei servizi, con evidente difficoltà a coprirne in tempi brevi le esigenze. Una situazione del genere sarebbe sicuramente più difficile in montagna; tuttavia non è da escludere che – anche senza che vengano attuate politiche positive da parte delle Amministrazioni comunali – lo stesso costo di manutenzione delle seconde case possa portare ad un loro utilizzo più intensivo. Se da un lato questo può portare beneficio alla vita e al commercio locale, questa nuova popolazione intermittente non mancherà di provocare problemi per le Amministrazioni, i più rilevanti dei quali potrebbero essere la richiesta di maggiori servizi e di avere voce in capitolo per quanto riguarda le decisioni territoriali, creando tensioni locali. Si configurerebbe infatti una situazione sociologicamente nuova, di residenti parttime, che pagano solo i servizi primari (acqua, rifiuti), ma che allacciano più fitti rapporti con la popolazione stanziale e di fatto vogliono quindi essere tenuti in conto come i residenti. Vista in senso positivo, questa ipotesi presenta però anche aspetti favorevoli: la possibilità di trasformazione via via di una parte di questa utenza in popolazione stabile, l’arricchimento della varietà del mercato del lavoro, l’importazione di skills e innovazione, lo stimolo alla nascita di nuova impresa, l’insanguamento del commercio locale. I campi dell’assistenza sanitaria, della scuola, dei trasporti potrebbero essere interessati in maniera particolare qualora dovesse profilarsi uno scenario del genere; le Amministrazioni
locali dovrebbero quindi monitorare attentamente questo fenomeno. In ogni caso e qualunque cosa possa succedere, tanto il problema del turismo invernale quanto quello del turismo estivo ammettono un’unica soluzione, che è una migliore spalmatura dei flussi lungo tutto l’arco dell’anno; e in questa direzione il cambiamento climatico può essere un incentivo positivo per tutti gli operatori che sapranno raccoglierne la sfida. La montagna deve cioè diventare una meta in quanto tale, e non solo un prodotto vacanza: un’offerta di ambiente pulito, di prodotti alimentari di cui può essere seguita la filiera, di cultura. In questo senso sarà richiesto agli operatori locali e alla popolazione locale un cambiamento culturale importante: il turista non potrà essere considerato un forestiero di passaggio, ma dovrà diventare a tutti gli effetti un ospite: una persona cui si offre con orgoglio quanto di meglio il nostro ambiente offre, ma che viene anche educata a apprezzarlo e rispettarlo, a usarlo con equilibrio e parsimonia, che deve ripartire avendo imparato da noi qualcosa, o decidere di fermarsi qui. E che a sua volta può arricchirci con le sue esperienze, può portare nel nostro mondo contatti e informazioni, contribuire a diffondere innovazione e allargare le nostre visuali. Sempre più ci rendiamo conto infatti che il capitale umano è la vera ricchezza, su cui si giocheranno le carte del nostro futuro
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