CONSEGUENZE E PROSPETTIVE
La montagna cambia: le strutture ricettive di alta quota e le attività turistiche che intorno ad esse ruotano sono inevitabilmente coinvolte.
RICETTIVITA' IN ALTA MONTAGNA
di Chantal Trèves
Il rifugio Vittorio Emanuele II,in alta Valsavarenche.Gli ambienti di alta montagna sono particolarmente sensibili agli effetti del cambiamento climatico, soprattutto a causa della presenza della criosfera, ossia dell’acqua allo stato solido (neve, ghiacciai, permafrost). Sulle Alpi la criosfera si trova spesso in condizioni temperate, a temperature di poco inferiori al punto di fusione, e pertanto è particolarmente sensibile alle variazioni climatiche segnalando precocemente i cambiamenti in corso. La montagna quindi cambia. Le temperature più elevate, la diversa distribuzione delle precipitazione nevose, l’arretramento dei ghiacciai sono constatabili da chiunque; meno direttamente osservabile è ciò che accade al permafrost1, ma gli effetti dello scioglimento del ghiaccio presente nei suoli e negli interstizi delle rocce costituiscono una realtà con cui sempre più spesso siamo chiamati a fare i conti, come testimoniano i crolli di massi dalle pareti rocciose che riporta anche la cronaca di questi ultimi mesi. In questo quadro, le strutture ricettive di alta quota, e le attività turistiche che intorno ad esse ruotano, sono inevitabilmente coinvolte dal cambiamento. Inevitabilmente si è pertanto indotti a porsi una domanda: quanto sta accadendo ha effetti già percepibili sul modo di andare in montagna e sulla ricettività delle strutture d’alta quota? Nell’ambito dell’Osservatorio delle Strutture ricettive alpine, a questa domanda Fondazione Montagna Sicura, con il sostegno della Compagnia di San Paolo e in collaborazione con il CNR-IRPI, ha voluto provare a rispondere indagando direttamente presso i gestori dell’alta quota, presso coloro che possono constatare quanto il fenomeno sia già concretamente riscontrabile. Per affrontare tale tema, ad un’analisi dello stato dell’arte a scala globale è seguita un’indagine a scala regionale, svolta attraverso la realizzazione di un questionario rivolto a gestori di rifugi, guide alpine e tecnici a vario titolo coinvolti. Il questionario pertanto è stato concepito con lo scopo di evidenziare le principali criticità collegate alla gestione delle strutture di alta quota della Valle d’Aosta e all’esercizio della professione di guida in un contesto di cambiamento Partenza all’alba dal rifugio Quintino Sella.climatico. Le interviste hanno altresì mirato ad indagare la consapevolezza ambientale da parte degli interlocutori la loro volontà di “mettersi in gioco” in prima persona attraverso iniziative per la diminuzione dell’impatto ambientale delle strutture, formazione personale, disponibilità al coinvolgimento in attività di ricerca e a modificare i periodi di attività in funzione delle mutate condizioni ambientali. Sono stati intervistati 15 gestori di strutture ricettive, rifugi di media e alta montagna, il gestore di un impianto di risalita (Funivie del Monte Bianco), 12 guide alpine e una guida escursionistica, tre funzionari dell’Amministrazione regionale con competenze per le tematiche di interesse (sicurezza idrogeologica e gestione della rete sentieristica, Corpo Forestale Valdostano). In particolare, sono stati selezionati i gestori di 15 rifugi, distribuiti su tutto il territorio regionale privilegiando tuttavia i rifugi d’alta quota – 12 strutture su 15 sono poste al di sopra dei 2500 metri d’altitudine e 6 al disopra dei 3000 metri – in considerazione della particolare sensibilità della fascia sommitale al cambiamento climatico in termini di scioglimento del permafrost e di innesco di dissesti. Una volta realizzate le interviste, le domande e le relative risposte sono state riorganizzate su base informatica e analizzate sia in termini qualitativi che quantitativi. L’analisi dei risultati finali ha riguardato in particolare gli aspetti relativi al cambiamento climatico organizzati per domanda del questionario. Ciò ha permesso, in conclusione, di evidenziare, per punti, una sintesi delle problematiche emerse, sia in termini di impatti negativi che positivi, e di prospettare alcune proposte di approfondimento. I gestori di strutture ricettive d’alta quota, oltre a registrare con puntualità le evidenti modificazioni ambientali in atto, devono fare fronte alle problematiche gestionali innescate dai cambiamenti climatici, ed in particolare a:
Stabilità degli edifici: alcune strutture hanno subito lesioni a seguito della disarticolazione del substrato causata dalla degradazione del permafrost (Capanna Carrel, Gonella, Lambronecca, Guide del Cervino);
Sicurezza: considerata la dinamicità degli ambienti in cui sono inserite, alcune strutture sono soggette a fenomeni d’instabilità, talora acuiti dai cambiamenti climatici in atto (Capanna Carrel, Gonella);
Approvvigionamento idrico: gli intervistati in diversi casi hanno dichiarato crescenti difficoltà di approvvigionamento idrico legate alla diminuzione dei nevai e alla scomparsa di sorgenti, per effetto delle
minori precipitazioni nevose invernali (Lambronecca, Vittorio Emanuele, Boccalatte, Dalmazzi);
Itinerari di accesso: specialmente nel caso di strutture cui si accede attraversando un’area glacializzata o di recente deglacializzazione, si rende talora necessaria una manutenzione continua della via di accesso; in alcuni casi è stato altresì necessario attrezzare con corde e scalette l’arrivo alla struttura (Lambronecca, Mantova, Aosta, Dalmazzi). Nel caso della Capanna Carrel, la frana della Cheminée del 2003 ha reso necessario lo spostamento della via di una decina di metri.

Una suggestiva immagine della Capanna Margherita (Monte Rosa).Tuttavia, i gestori non denunciano una flessione delle presenze imputabile ad una minore attrattività turistica delle aree o a maggiori difficoltà/pericolosità delle vie per le quali i rifugi rappresentano la base di partenza. Eventuali cali di presenze sono semmai attribuiti a modificazioni delle abitudini e degli interessi dei turisti. Le guide alpine, dal canto loro, hanno segnalato come molti itinerari d’alta quota presentino problematiche collegabili al cambiamento climatico anche importanti, che ne limitano o comunque ne condizionano la percorribilità, come è stato esaurientemente esposto in altro articolo (a cura sempre di Fondazione Montagna Sicura – dott. Jean Pierre Fosson). È interessante sottolineare, tuttavia, che anche le guide non segnalano una flessione della frequentazione degli itinerari di alta quota a causa delle trasformazioni ambientali in atto, quanto semmai una modificazione di abitudini e mode da parte dei frequentatori della montagna. La consapevolezza delle modificazioni in corso nelle dinamiche ambientali di alta quota è naturalmente viva anche tra i tecnici impegnati in vario modo in tale ambiente (gestori di impianti, settore difesa del suolo...). È giusto tuttavia segnalare come, tra tanti problemi, il cambiamento climatico registri anche alcune ripercussioni positive sulla fruibilità turistica delle zone d’alta quota. Le guide hanno infatti segnalato, ad esempio:
• una dilatazione della stagione dello sci alpinismo (che inizia a fine febbraio, anziché ad aprile come succedeva fino a qualche anno fa) e del trekking (che si protrae ormai fino a fine settembre);
• in generale, una maggiore frequentazione della montagna nel periodo invernale per attività diverse dallo sci di pista (per effetto delle limitate precipitazioni nevose);
• localmente, la riduzione dei rischi oggettivi legati a valanghe o crolli di ghiaccio (ad esempio la salita al rifugio Monzino);
• l’assottigliamento dei ghiacciai, se in qualche caso ha reso più problematici gli itinerari, in altre situazioni li ha resi più semplici (ad esempio le aree circostanti i rifugi Mantova e Guide del Cervino).

Rifugio Monzino (Val Veny).Alcune guide hanno inoltre sottolineato come, date le maggiori difficoltà ambientali, cresca il numero delle persone che preferiscono affidarsi ad un professionista e come in generale ci sia maggiore facilità al lavoro invernale. Per quanto riguarda invece la capacità di adattamento e di risposta dei diversi attori ai cambiamenti climatici, il questionario ha messo in luce come siano proprio i fruitori dell’alta montagna ad avere scarsa capacità/volontà di adattamento, nonostante la consapevolezza dei mutamenti in corso: essi stentano, infatti, a modificare sia i periodi di frequentazione, sia il tipo di attività/itinerari in montagna, per adeguarsi alle mutate condizioni ambientali. Gestori e guide, viceversa, oltre a dimostrare un’elevata consapevolezza ambientale, hanno altresì evidenziato la volontà di mettersi in gioco in prima persona, attraverso iniziative per la diminuzione dell’impatto ambientale delle strutture, una formazione personale pratica e scientificamente curata sui cambiamenti climatici da veicolare ai clienti, la disponibilità al coinvolgimento in attività di ricerca/monitoraggio e a modificare la stagionalità della propria attività lavorativa.
Rifugio Dalmazzi (Val Ferret).Per canto loro, anche i tecnici impegnati in vario modo in ambienti d’alta quota hanno chiaramente dimostrato la volontà di includere le problematiche degli effetti del cambiamento cambiamento climatico nella progettazione e realizzazione degli interventi nelle aree sensibili. È importante, infine, sottolineare come l’approccio metodologico utilizzato si sia dimostrato perfettamente adeguato al raggiungimento degli
obiettivi previsti. La conoscenza capillare del territorio ed il monitoraggio costante della sua evoluzione rappresentano, infatti, la base per qualunque attività/intervento volto a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, e soltanto un coinvolgimento diretto e coordinato di tutti gli attori interessati può portare a risposte concrete ed efficaci alle trasformazioni che la montagna sta attraversando.
   
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