TERRITORIO IN OFFERTA
RELAZIONE UMANA E SENSO DEL LUOGO
RELAZIONE UMANA E SENSO DEL LUOGO
di Moreno Cavilli
Alla scoperta del villaggio di Mascognaz (Val d’Ayas), con le racchette sotto una fitta nevicata.Almeno su un punto, tutti gli esperti del settore sembrano concordare: le motivazioni per le quali si va in vacanza stanno rapidamente cambiando e il turismo di oggi è molto diverso da quello di quindici o anche soltanto dieci anni fa. Si sente allora parlare di turisti di seconda o terza generazione, e profetizzare il definitivo tramonto di quella fase di massa che, facendo leva sulla standardizzazione e il contenimento dei costi, ha trasformato il turismo da esperienza elitaria - la villeggiatura d’altri tempi - in una forma di consumo accessibile a tutti.
Eppure, tutti noi, bene o male, abbiamo acquistato qualche volta la vacanza all inclusive. Probabilmente, neppure coloro che, con un po’ di snobismo, rifiutano l’etichetta di turisti, preferendo definirsi viaggiatori, possono negare di avere apprezzato quella settimana di puro relax in uno dei tanti complessi alberghieri delle Canarie o del Mar Rosso. Non disdegnando, forse, neppure la classica escursione organizzata, riproposta identica anno dopo anno, o lo spettacolo folkloristico serale offerto dal villaggio.
Tuttavia, queste vacanze disimpegnate, per quanto piacevoli, che cosa ci hanno lasciato? Probabilmente poco. Poco da ricordare, e talora soltanto ricordi che non sappiamo neppure attribuire con certezza all’una o all’altra destinazione. Certamente, quindi, poco da condividere e da raccontare.
Nonostante tutto, l’esperienza quotidiana sembra suggerirci che sempre più persone si accostano a questo tipo di vacanza, invogliate magari dai prezzi sempre più attraenti delle offerte last minute scovate su internet e dalla rivoluzione dei voli low cost. E allora?
La contraddizione, a ben guardare, è solo apparente. La caduta dei prezzi dei pacchetti tutto compreso, che ha reso la settimana a Sharm El Sheick un consumo di massa quanto e più della vacanza sulla riviera adriatica, è infatti il sintomo più evidente della crisi del prodotto turistico standardizzato, che molte destinazioni e tour operator sono costrette a svendere, talora con il solo obiettivo di contenere le perdite. In tali condizioni, gli impatti del turismo sull’ambiente, sull’economia e sulle risorse socio-culturali delle comunità locali, presentano quasi sempre un saldo negativo.
La standardizzazione, quindi, non paga. Non paga le destinazioni che la sposano, perché si trovano a competere con un numero sempre crescente di altre località (tutto sommato non così diverse, tutto sommato non così lontane, ora che l’aereo è sempre più accessibile per tutti), facendo leva in definitiva solo sui prezzi. Ma non paga neppure i turisti che la scelgono, perché se è vero che a tutti può andare bene una volta la vacanza di puro svago e riposo, è anche vero che sempre più persone chiedono di poter impiegare meglio un’altra risorsa scarsa e sempre più preziosa: il tempo. Il turista diventa sempre più esperto, informato e consapevole. Certamente, chiede valore in cambio di quel che spende, ma anche valore in cambio del proprio tempo. Al viaggio chiede sempre più spesso di essere un’esperienza, un’occasione sia di apprendimento (imparare a dipingere, a fotografare, a cucinare, a praticare uno sport…), sia soprattutto di conoscenza, di se stessi e di altre realtà socio-culturali.
Questa conoscenza, in molti casi, non passa soltanto dalle visite di rito ai soliti monumenti e musei che non si possono non vedere, ma da un itinerario personale di esplorazione del territorio che, secondo gli interessi di ciascuno, comprende la scoperta della gastronomia locale, delle produzioni tipiche, dell’artigianato e, soprattutto, della gente e del suo stile di vita. Non a caso, la fama di essere persone aperte e simpatiche (talora immeritata) e l’Italian way of life, sono, con la ricchezza del patrimonio storico-artistico, tra i principali fattori di attrazione turistica che gli italiani possono spendere all’estero, e che molti paesi ci invidiano. Del valore di queste risorse, come di molte altre che si danno per scontate, probabilmente non ci rendiamo neppure conto. Certamente, l’apprezzano di più gli operatori turistici di altri paesi, che devono rimediare con molto marketing e molta professionalità a una fama poco favorevole di popolazione chiusa e poco ospitale. Comunque sia, sono risorse che occorre coltivare, curando di non deludere le attese. È difficile, infatti, rimediare con risposte razionali (più servizi di migliore qualità) alla frustrazione di aspettative emozionali (il desiderio di relazione con persone autentiche e cordiali).
La relazione con l’ospite, alla luce delle nuove tendenze del turismo, è quindi un aspetto che nessuna destinazione può permettersi di trascurare, neppure la Valle d’Aosta.
La straordinaria ricchezza ambientale, paesaggistica e culturale della nostra regione, ancorché non ancora pienamente valorizzata, è tale da aver consentito per anni di non impegnarsi a fondo per il miglioramento qualitativo e la diversificazione dell’offerta turistica proposta. Tuttavia, è arrivato il momento di accorgersi che, per quanto eccezionali, le risorse, da sole, non bastano più. Anzi, i numeri dicono che le risorse, da sole, non bastavano neppure dieci anni fa: il lento, ma inesorabile calo degli arrivi di turisti dalle altre regioni italiane, che da sole originano quasi il 70% della domanda turistica totale della Valle d’Aosta, lo testimonia. È mancata la promozione? Forse. È difficile, però, credere che campagne pubblicitarie o brochure più efficaci avrebbero potuto, da sole, invertire la tendenza. Non dimentichiamo, infatti, che quello della Valle d’Aosta è ancora in prevalenza un turismo di prossimità, e che probabilmente molti piemontesi e lombardi conoscono le nostre montagne e le nostre piste da sci assai meglio di tanti residenti.
Le risorse, da sole non bastano. È inutile ripetersi che il Monte Bianco, il Cervino, il Gran Paradiso e il Monte Rosa li abbiamo solo noi (oltre che i cugini francesi, svizzeri e piemontesi…): occorre che alle risorse siano affiancati servizi e infrastrutture che garantiscono un rapporto qualità-prezzo elevato. Ma neppure questo è sufficiente: è infatti possibile che la ricerca della qualità e dell’efficienza conduca verso una logica di standardizzazione. E un prodotto standardizzato è, per definizione, simile a molti altri, e perciò sostituibile. Tra prodotti simili, allora, il cliente-turista sceglierà quello che garantisce (e riesce a comunicare) una qualità davvero straordinaria, oppure, come spesso accade, semplicemente quello che costa meno. È una strada che la Valle d’Aosta non può permettersi di percorrere, anche perché è quella che più rischia di compromettere il territorio.
A fianco della ricerca di un maggiori qualità e professionalità, che ovviamente non possono essere trascurate, occorre allora imparare a valorizzare le risorse immateriali della Valle d’Aosta, quelle che creano il senso del luogo e rendono la nostra regione davvero unica e insostituibile: la ricchezza delle sue tradizioni, le radici culturali ancora forti, l’autenticità della gente.
Valorizzare, tuttavia, non significa soltanto comunicare, far sapere ai turisti che le tradizioni, le batailles de reines, la Saint-Ours, le feste, le sagre, le processioni religiose esistono, anche se questo è un passo fondamentale. Occorre anche imparare a raccontare e condividere le tradizioni, a pensare le manifestazioni anche dal punto di vista del turista, magari straniero, che potrà in tal modo tornare nel suo paese arricchito dal contatto con una realtà socio-culturale - quella valdostana - che probabilmente è molto distante dalla sua esperienza quotidiana. Una ricchezza che il turista, una volta a casa, sarà invogliato a raccontare, diffondendo tra parenti, amici e colleghi un messaggio più credibile ed efficace, di quello che neppure la migliore delle campagne pubblicitarie saprebbe veicolare.
Il racconto e la condivisione, perché siano autentici, non dovrebbero però essere istituzionali, e quindi inevitabilmente artificiali, ma dovrebbero invece provenire da tutte le persone residenti che con il turista vengono in contatto: certamente il personale degli uffici di accoglienza turistica, certamente l’albergatore, che più di ogni altro con l’ospite può entrare in relazione, ma anche il cameriere al ristorante, il negoziante o il semplice passante cui è occasionalmente chiesta un’informazione.
La ricettività della Valle d’Aosta, in cui prevalgono le piccole strutture a conduzione familiare, se poco si presta alla commercializzazione attraverso i classici canali di intermediazione (tour operator, agenzie), è particolarmente adatta a sviluppare la dimensione della relazione. Peraltro, nella nostra regione sono ben rappresentati gli agriturismi, che, giustamente, la legge regionale ha voluto autenticamente legati all’azienda agricola e al territorio.
Tuttavia, per sviluppare un turismo di relazione e trasformare la vacanza in Valle d’Aosta in un’esperienza di viaggio, occorre il contributo di tutto il territorio. Occorre fare rete. Il prodotto turistico, infatti, è il risultato di molte componenti, che nessun operatore turistico, per quanto professionale e innamorato del proprio lavoro, da solo è in grado di offrire.
Le premesse perché la Valle d’Aosta si presenti con un’offerta turistica diversa, stra-ordinaria, unica perché autentica, ci sono tutte. Bisogna soltanto crederci, impegnarsi e lavorare insieme per volerlo fare.
   
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