TERRITORIO IN OFFERTA
Il segreto di un turismo sostenibile? Proporre l’immagine di se stessi, senza vergogna di ciò che si è, senza dover fingere o apparire.
TURISMO: TRA VERITÀ E FINZIONE
di Flaminia Montanari
Baise Pierre: il pannello tematico che illustra le caratteristiche della Riserva di Lolair.Parliamo spesso di offerta turistica, ma dando a volte a questo termine contenuti molto diversi. Credo che dovremmo perciò ripartire dalla domanda più semplice di tutte: che cosa abbiamo noi da offrire? In effetti, la considerazione più immediata è che non possiamo offrire ciò che non siamo o ciò che non abbiamo. Ma c’è un altro modo di porsi di fronte al problema, ed è quello di formulare la questione in questi termini: cosa pensiamo che il turista voglia da noi? Sono due modi diversi di affrontare il problema, che orientano la risposta in due opposte direzioni. In effetti io credo che, almeno negli ultimi venticinque anni, ci si sia posti molto di più la seconda domanda che non la prima; le Amministrazioni comunali si sono affannate a dotare ogni località prima del campo da tennis, poi delle piste da sci e degli impianti di risalita, della piscina, del pattinaggio, del foyer de fond, dello squash, ora del maneggio, del campo da golf e domani non sappiamo ancora di che cosa, inseguendo via via le mode del momento. Fino a che il nostro territorio scoppia, non ci basta più a contenere tutte le esigenze che continuamente nascono, e fino a che i costi di gestione di tutte queste strutture non diventano insostenibili per la spesa pubblica. O fino a che qualcuno comincia a rendersi conto che il nostro ambiente sta diventando solo una brutta copia, in scala ridotta e provinciale, di qualunque ambiente urbano: quando un turista è condannato a passeggiare su un marciapiede a lato di una strada di traffico, quando deve fare mezz’ora di coda in auto al casello dell’autostrada, quando deve girare alla disperata ricerca di un parcheggio, quando alla sera i lampioni stradali non lasciano neppure più vedere le stelle. A che scopo allora andare in montagna? Se si intervistano i turisti si scopre in effetti che le loro richieste sono del tutto diverse da quello che noi abbiamo immaginato: ciò che l’ospite chiede e apprezza sono l’aria pulita, l’ambiente sano, la possibilità di recuperare i ritmi biologici, il buio della notte, il silenzio, il senso del tempo che scorre in parallelo con la propria vita, senza incalzarla e stringerla nella sua gabbia di ritmi ossessivi; e poi forse meno consapevolmente la scoperta di avere ancora i piedi, di essere in grado di percorrere anche notevoli distanze senza l’automobile; o di avere anche le mani, di essere ancora capaci di qualche lavoro manuale, in mezzo al nostro mondo meccanizzato; di riuscire ad accendere un fuoco, a fare un pane, a improvvisarsi un giaciglio: a riconoscere i bisogni essenziali da tutte le cose inutili e i falsi bisogni cui la nostra civiltà ci ha abituati. E a ritrovare l’importanza dei rapporti umani, la voglia di conoscere, la curiosità per la natura in tutti i suoi aspetti, buoni e cattivi – saper godere delle sue bellezze e difendersi dai suoi pericoli.
La calda accoglienza di una tipica casa di montagna in Val d’Ayas.L’offerta turistica non può essere un invito ad andare per monti a gente inesperta, che si debba poi andare a recuperare con l’elicottero. Deve essere invece l’offerta di una cultura della montagna, che introduce ad usare del territorio come una palestra per chi vuole, in uno stile di vita più essenziale, mettere a prova la sua resistenza fisica e riscoprire le proprie capacità manuali; è una scuola di silenzio per recuperare, lontano dal frastuono e dalla ridda delle informazioni e della pubblicità, il filo di un pensiero che possa dirigere i passi della sua vita. Dobbiamo essere convinti che queste sono le vere ricchezze che il nostro territorio può offrire, e che questo è ciò di cui chi viene in montagna ha bisogno.
Gli esperti ci dicono che oggi il turista vuole che gli si racconti una storia. Cioè cerca un contatto non solo con l’ambiente naturale, ma anche con le persone, con l’ambiente sociale. Vuole vedere e capire altri modi di vivere, vuole conoscere la storia dei luoghi e non solo ammirare i monumenti o il paesaggio. Ma ricordo ancora il misto di rabbia e di vergogna quando, ancora ragazzina, durante un giro in Svizzera mi sono entusiasmata nel vedere un pastore attraversare il paese con un gregge di pecore e fermarsi a suonare il corno delle Alpi sulla piazzetta, per poi scoprire che era solo una comparsa pagata dall’azienda di soggiorno per fare colore locale. Non dobbiamo intendere questa richiesta come un pretesto per raccontare al turista delle favole: il mitico vecchietto sulla piazza del paese che predice il tempo e racconta del suo passato; magari anche lui pagato dall’azienda di soggiorno. Dobbiamo raccontare una storia vera, la nostra, e fino ai nostri giorni. Possiamo mostrare quello che siamo nella realtà, senza finzioni, ma ricchi di una storia alle nostre spalle che fa parte del nostro essere qui e ora. Ho molto ammirato, nel Vorarlberg, l’abilità del compromesso raggiunto nel piano di sviluppo turistico della loro regione: uno sviluppo basato sull’offerta di un ambiente ecologicamente equilibrato e difeso, e su una formazione all’accoglienza attraverso cui l’ospite (l’ospite, non il turista) viene educato a lasciare la macchina, ad andare a piedi o usare il trasporto pubblico, a risparmiare l’energia, a partecipare ai riti sociali della comunità locale, dove il costume si mette per davvero nei giorni di festa e non solo per fare spettacolo. Un equilibrio sottile tra verità e artificio forse, ma senza indulgenze al kitsch: un mostrare con orgoglio il proprio passato e le scelte del futuro della propria comunità.
Una bella fioritura di rododendro.Perché mai dovremmo pensare che il turista cerchi cose diverse da quelle che servono a noi? Le biblioteche locali, per esempio, sono frequentate dai turisti quasi più che dagli abitanti; perché allora, per esempio, non fare presso le biblioteche dei corsi che il turista possa frequentare, non diversamente dalle attività che queste già organizzano per gli abitanti? Corsi brevi, compatibili con i ritmi delle presenze turistiche, che invitino comunque a rimanere l’intera settimana e non solo il week-end; indirizzati all’uso della montagna o allo sviluppo di abilità manuali, o ancora alla conoscenza dell’ambiente in cui si trovano a soggiornare. Perché pensare che i giovani non vanno più in montagna perché non c’è la discoteca, quando parlando coi giovani sul posto viene fuori che la loro esigenza è piuttosto di un punto Internet – forse un Internet Café avrebbe più successo di una discoteca, e avrebbe la funzione di servire tanto i residenti che i turisti. Dobbiamo cioè pensare a noi stessi, migliorare il nostro modo di vivere e svilupparlo in modo autonomo rispetto ai modelli urbani, per poter offrire all’ospite l’idea stessa che lo stile di vita lo si può scegliere.
Ho visto con orrore in giro per la Valle d’Aosta la sfilata di squallidi marciapiedi, magari riccamente pavimentati in pietra e dotati di aiole, panchine, lampioncini alla veneziana e chiamati passeggiate: se questo offriamo all’ospite, è naturale che il turista che arriva da noi sia quello che gira coi tacchi a spillo e si siede a respirare gli scarichi delle macchine, forse per sentirsi più a casa. Altrove ho visto il bordo di un orto trasformato in un’aiola urbana in cui da un letto di cortecce sbucano cespugli di rose e piccole tuje, sotto lo sguardo incredulo degli abitanti che, per fortuna, trovano ridicola questa messa in scena; non si capisce perché non possiamo invece far vedere al turista quanto sono belli i prati fioriti, e la ricchezza e la variabilità dei loro colori durante le stagioni, o invitarlo a scoprire il giglio martagone che si nasconde dietro le rocce o l’aquilegia sul bordo dei ruscelli. Ho visto mulattiere trasformate in scalinate di pietra, su cui sarà impossibile camminare in inverno col ghiaccio; ma perché non siamo capaci di offrire quello che abbiamo, e dobbiamo per forza pensare di abbellire il nostro paesaggio, snaturandolo?
Raccontare una storia vera vuol dire avere la consapevolezza di essere più ricchi di chi vive in città, e quindi di aver qualcosa da offrire: non solo la bellezza dei monti, ma il proprio modo di vivere e le proprie conoscenze: saper insegnare a fare il formaggio o a ricavare un oggetto da un pezzo di legno, a scoprire le piante e gli animali o a difendersi dai pericoli della montagna; ma anche uscire dall’immagine tradizionale e saper offrire il patrimonio di ricerca e di sperimentazione tecnologica che in questi anni la nostra Regione ha accumulato: presentare un’immagine viva, aggiornata e accogliente.
Proporre cioè l’immagine di se stessi, senza vergogna di ciò che si è, senza dover fingere o apparire.
   
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