PIANO ARIA
La qualità dell’aria che respiriamo è fondamentale per la nostra salute. Per questo è così importante l’impegno di tutti per difenderla.
RESPIRARE È VIVERE
di Ennio Cadum
Gli episodi storici
La presenza di fumi ed inquinanti vari nell’aria è stata associata da sempre ad effetti avversi per la salute, sia umana sia animale, in particolare quando le concentrazioni dei vari inquinanti raggiungevano valori critici, tali da rendere ovvia la correlazione esistente tra i due fenomeni.
La storia riporta numerosi esempi di episodi di inquinamento dell’aria e di rilievo di conseguenze pericolose per la salute.
In uno dei primi, nel 1257, le cronache riportano come la regina Eleonora di Inghilterra avesse deciso di trasferire la corte nel nuovo castello di Nottingham dotato di riscaldamento (camino a carbone) in tutte le stanze. L’aria attorno e dentro al castello tuttavia cambiò e molti cortigiani lamentarono difficoltà respiratorie. La regina allora fu costretta a chiudere il castello e con tutto il suo seguito ritornò a Londra.
A questo seguirono vari rilievi, in particolare nel periodo della rivoluzione industriale europea ed americana.
Tra i casi storici più recenti vanno citati almeno tre episodi: quello della Valle della Meuse, in Belgio, nel dicembre del 1930, quello di Donora, in Pennsylvania nel 1948 e quello, più famoso di tutti, di Londra nel 1952.
Nell’episodio della Valle della Meuse, occorso tra l’1 e il 6 dicembre 1930, condizioni anticicloniche con alta pressione e basse temperature (1-2 °C) determinarono la formazione di nebbia su buona parte del Belgio. Dal 3 al 5 dicembre venti deboli (1-3 Km/h) spirarono dalla città di Liegi verso la Valle della Meuse (profonda 100-150 metri), con una popolazione stimata di 6000 persone, trasportando nella Valle l’inquinamento della città principale.
In conseguenza dell’episodio furono riportati da tutta la popolazione disturbi respiratori, con irritazione laringea, tosse e dolore retrosternale. 60 persone morirono tra il 4 e il 5 dicembre (pari ad un incremento di 10 volte la media). I decessi riguardarono persone in età avanzata, asmatica, debilitata per altre patologie e cardiopatiche. L’età media delle vittime era di 62 anni; le autopsie condotte mostrarono infiammazione del tessuto polmonare, e, al microscopio ottico, presenza di emorragie e particelle di carbone libere dal diametro di 0.5 - 1.3 mm.
La commissione di inchiesta concluse che l’agente responsabile erano stati “i solfuri sia in forma di anidride solforosa sia di acido solforico derivanti da fumi industriali”. Modelli di dispersione successivi stimarono che nell’incidente del 1930 vennero prodotte 60 tonnellate/die di SO2 con concentrazioni risultanti di 10 mg/m3 (cioè 10.000 mg/m3).
Nell’episodio di Donora, in Pennsylvania (USA), occorso nell’ottobre del 1948, in una situazione analoga, caratterizzata da una valle poco profonda ma con fianchi ripidi e con un’industria siderurgica (la Donora Zinc Works) posta a valle, con camini bassi e condizioni microclimatiche favorevoli a inversione termica), si ebbero 20 decessi in pochi giorni e un migliaio di episodi di sintomatologia respiratoria grave, con effetti quindi simili per frequenza e caratteristiche al caso occorso in Belgio 18 anni prima.
Ma è con l’episodio di Londra del dicembre 1952 che l’inquinamento atmosferico diventò palesemente un problema di rilevanza internazionale e che necessitava di misure specifiche di regolamentazione.
Anche nell’episodio londinese una parte rilevante venne giocata dalle condizioni atmosferiche. Due fronti atmosferici contrapposti produssero con una combinazione straordinaria una brusca caduta nella circolazione usuale delle masse d’aria: l’osservatorio meteorologico di Londra alle 6 del pomeriggio del 4 dicembre registrò una caduta della velocità del vento da 6 a 0 nodi. La velocità rimase sotto i 2 nodi fino alla sera dell’8 dicembre, con una temperatura vicina allo zero.
L’aria stagnante si combinò con il fenomeno dell’inversione termica e la concentrazione delle polveri salì rapidamente da valori medi di 200 mg/m3 a valori prossimi a 2000 dal 5 fino all’8 dicembre (con punte di 5000 in alcune stazioni di rilevamento), per poi ridiscendere verso 600 il 9 e il 10 dicembre.
Il 5 dicembre (con una latenza di un giorno sull’incremento registrato del livello degli inquinanti) le strutture sanitarie furono interessate da un aumento straordinario di ricoveri e decessi per malattie cardiovascolari e respiratorie.
Il numero medio di decessi giornalieri passò da 100 a oltre 500 durante i 6 giorni critici, colpendo soprattutto la fascia anziana della popolazione. Il conto finale fu spaventoso: solo tra il 5 e il 13 dicembre morirono circa 4000 persone in più rispetto al previsto.
Con il vento le concentrazioni ridiscesero a 200 mg/m3 e la mortalità ritornò ai valori precedenti il 5. Non furono notate epidemie particolari quei giorni e all’infuori di Londra non ci furono variazioni della numerosità degli eventi sanitari registrati nella stessa settimana in altre località inglesi.
Le modalità dell’episodio non lasciarono alcun dubbio sul fatto che l’aumento di mortalità fosse dovuto all’inquinamento atmosferico.
In conseguenza dell’incidente di Londra il governo inglese promulgò per primo, nel 1956, il Clean Air Act fissando soglie massime ammissibili di concentrazione, seguito nel 1970 dagli Stati Uniti d’America e via via successivamente da tutti gli altri Paesi.
Questi tre episodi più recenti, alla luce delle conoscenze attuali sugli effetti sulla salute degli inquinanti, sono estremamente importanti, perché contengono in sé tutte le caratteristiche più salienti sugli effetti conosciuti anche a dosi più basse.
La ricerca scientifica dagli anni ‘80 ad oggi. Effetti a breve e lungo termine
Si credette infatti fino agli anni ‘70 che gli effetti sulla salute si manifestassero solo oltre una certa soglia di concentrazione (identificata nei valori massimi ammissibili) e che sotto la soglia massima gli effetti fossero trascurabili, basandosi soprattutto sulle analisi che vari ricercatori inglesi avevano compiuto sulla mortalità a Londra dal 1958 al 1960.
Successivamente, tuttavia, altri ricercatori, per lo più americani, rianalizzarono gli stessi dati e le annate successive con tecniche meno grezze di quelle utilizzate dai ricercatori inglesi, giungendo alla conclusione che non solo l’inquinamento urbano a Londra aveva interessato la mortalità anche a basse dosi, ma che ai livelli bassi (circa 150 mg/m3 per le polveri) degli ultimi anni considerati i rischi stimati per incremento unitario di concentrazione assumevano valori più alti che alle alte dosi.
Rianalisi recenti dei dati londinesi stimano che i decessi aggiuntivi legati all’episodio del 1952 furono complessivamente 12000, distribuiti su un periodo di 3 mesi.
Quali sono gli inquinanti indiziati?
I composti inquinanti monitorati da più lungo tempo in Italia comprendono gli inquinanti invernali, quali le polveri totali sospese (PTS), il biossido di zolfo (SO2), il biossido di azoto (NO2), il monossido di carbonio (CO) e gli inquinanti estivi, in particolare l’ozono (O3). Negli ultimi anni sono disponibili anche i dati per le frazioni delle polveri totali, inferiori o uguali a 10 micron (PM10) e inferiori o uguali a 2.5 micron (PM2.5). Utilizzando le concentrazioni di questi inquinanti come indicatori di esposizione, sono stati condotti, negli ultimi venti anni, numerose analisi di correlazione tra concentrazioni degli inquinanti ed effetti a breve termine sulla salute (mortalità, morbosità); i primi studi sono stati eseguiti negli USA, seguiti da studi condotti in Europa e successivamente in altri continenti (Asia, Sud America, Australia).
Tutti gli studi hanno indicato l’esistenza di un’associazione robusta e statisticamente significativa tra l’aumento della concentrazione degli inquinanti e l’aumento parallelo di alcune cause morbose nella popolazione e hanno confermato concordemente gli effetti a qualunque concentrazione indagata: in particolare il rapporto dose-effetto che si è delineato è risultato essere senza soglia, non esistono cioè limiti di sicurezza, ma tutt’al più si può parlare di limiti di contenimento del danno.
I meccanismi di azione sono oggi in buona parte abbastanza conosciuti: per gli effetti invernali, le polveri sono il principale indiziato, in particolare le polveri fini (10 micron) e ultra fini (2.5 micron), conosciuti sotto le sigle PM10 e PM2.5. Queste particelle sono in grado di penetrare negli spazi confinati polmonari e provocare una reazione infiammatoria del polmone profondo. La frazione ancora più fine (cioè con diametri inferiori a 0,1 micron) a sua volta è in grado di passare direttamente nel sangue attraversando la parete alveolare e di determinare affetti diretti sull’apparato cardiovascolare: alterazione del ritmo cardiaco, danni alle pareti vasali e aumento della formazione di trombi, particolarmente cardiaci, in grado di indurre gli eventi acuti cardiovascolari osservati (infarto, angina pectoris).
L’inquinamento atmosferico gioca anche un ruolo importante nella genesi e nell’aggravamento di patologie allergiche, che rappresentano una patologia in aumento, soprattutto tra i bambini. I tassi di prevalenza per le malattie allergiche sono aumentati nel corso degli ultimi 20 anni in Europa, e una conseguenza è l’aumento della frequenza di attacchi d’asma, associati con i livelli degli inquinanti urbani, come dimostrato nello Studio Italiano sui disturbi Respiratori nell’infanzia (SIDRIA) (NOTA 1).
Quali sono gli effetti a lungo termine?
La risposta a questa domanda è più complessa. Sono disponibili pochi studi condotti per lunghi periodi in grado di fornire questo tipo di valutazioni; i principali sono stati condotti negli Stati Uniti d’America. In Europa sono in corso studi simili in Olanda e in Germania.
I risultati hanno mostrato un aumento della mortalità naturale del 6% per incrementi di 10 mg/m3 (media annua) di PM2.5 a lungo termine (attualmente a 25 anni negli studi più lunghi) ed un eccesso di incidenza di tumori del polmone del 14% per lo stesso incremento.
D’altronde anche in Italia gli studi comparati sulla mortalità per tumore del polmone tra aree urbane e rurali hanno evidenziato un differenziale compreso tra il 10% e il 40%.
A rafforzare queste osservazioni ci sono inoltre considerazioni in ordine alla presenza nel particolato in ambiente urbano di molti cancerogeni che hanno il polmone come organo bersaglio: gli idrocarburi aromatici (benzene e derivati) e i nitroareni formati durante i processi di combustione innanzitutto, ma anche i metalli pesanti, quali cromo, arsenico, nichel, e le fibre di amianto.
Oggi la ricerca sta cercando da una parte di individuare il o i tossici realmente responsabili, tra i quali il particolato e le sue frazioni sono i maggiori indiziati, dall’altro cerca di individuare i gruppi di popolazione maggiormente suscettibili, che risultano gli anziani, i malati di patologie croniche cardiorespiratorie, i bambini, particolarmente se residenti in aree urbane o ad alto traffico veicolare.
La quantità delle evidenze accumulate sugli effetti sono oggi tali e tante (gli articoli pubblicati sugli effetti dell’inquinamento sono oggi circa 500 l’anno) che semmai sono gli scettici a dover fornire delle prove in senso contrario.
Metodi di stima affinatisi negli anni hanno misurato come il 4% circa di tutte le morti per cause naturali, in un Paese come la Francia, sia oggi dovuto all’inquinamento atmosferico, dati i suoi presenti livelli e la proporzione di popolazione esposta. Analoghi metodi di stima, per livelli di inquinamento molto inferiore sono stati applicati anche nella Regione Valle d’Aosta (NOTA 2).
Gli effetti sono reversibili e una riduzione dell’inquinamento può giovare alla salute complessiva della popolazione?
Per rispondere scientificamente alla domanda occorrerebbe una verifica empirica, improponibile anche se suggestiva: abolizione del traffico veicolare senza eccezioni per un anno e misura dell’effetto conseguente sull’inquinamento e sulla salute della popolazione.
Impossibile, viene da dire. Nessuno si sognerebbe di proporre niente di simile. Eppure esiste un esperimento fortuito, interessante, e molto istruttivo che vale la pena ricordare.
Il fatto si svolge nella piccola città di Utah Valley, Stati Uniti, alla fine degli anni ‘80 (NOTA 3). Gran parte dell’economia della città dipende dalla presenza di un’acciaieria, le cui ciminiere rappresentano la principale sorgente di polveri sospese, emettendo fumo dal lunedì al sabato di tutte le settimane dell’anno. Ma ecco un fatto inusuale: i lavoratori entrano in sciopero per ottenere migliori condizioni economiche e lavorative, ed è uno degli scioperi più lunghi della storia americana, protraendosi per 13 mesi. Per 13 mesi la ciminiera è spenta, non emette polveri, e la concentrazione di PM10 nella città diminuisce del 50%. Nel periodo dello sciopero i ricoveri ospedalieri tra i bambini si riducono ad un terzo rispetto al periodo antecedente. Ma lo sciopero finisce: l’industria riprende a funzionare e la ciminiera ad emettere le polveri come prima. Le concentrazioni di PM10 raddoppiano e i ricoveri ospedalieri tra i bambini triplicano rispetto al periodo di chiusura della fabbrica, ritornando ai valori del periodo precedente.
Se fossero stati applicati i metodi di stima e i parametri attuali conosciuti di rischio per la stima degli effetti sulla salute, avremmo ottenuto per il periodo dello sciopero una previsione molto minore di quella osservata: quando la realtà supera l’immaginazione…
NOTE
1 Gruppo collaborativo SIDRIA. Studi Italiani sui Disturbi Respiratori nell’Infanzia e Ambiente. Epid Prev, 1995; 19:76–78.
2 Traffico pesante ed effetti sulla salute. il caso della Valdigne. Quaderni di epidemiologia ambientale OREPS, Regione Valle d’Aosta.
3 Am J Public Health, 1989; 79(5): 623(8).
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