INSEDIAMENTO TRADIZIONALE
Il ripopolamento degli antichi villaggi è reso possibile anche da una rete viaria estesa e fruibile tutto l'anno.
LA SICUREZZA DELLA VIABILITÀ IN MONTAGNA
di Giampiero Barisone e Fabio Pellissier
Introduzione
Gli insediamenti umani nelle vallate alpine, ed in particolare i villaggi di montagna, oltre a costituire un indubbio patrimonio storico, architettonico e culturale, rivestono, ai nostri giorni, notevole importanza sotto l'aspetto turistico e di conservazione del territorio montano, notoriamente assai sensibile al degrado in conseguenza dell'abbandono. Questo vale in particolare per la Valle d'Aosta, dove ancora oggi i numerosi villaggi abitati rivestono un ruolo fondamentale nel tessuto sociale regionale, sì che in questi ultimi anni è stata rivalutata l'importanza di questi insediamenti, con la consapevolezza che l'abbandono di tali strutture abitative sarebbe un grave danno per la crescita e lo sviluppo della Regione.
Particolare rilievo va dato, in quest'ottica, al graduale ripopolamento dei vecchi villaggi registrato negli ultimi due decenni, che hanno finalmente visto invertita la tendenza, in atto soprattutto dal secondo dopoguerra, ad una migrazione degli abitanti verso il fondovalle; tra le diverse cause alla base di questa inversione una delle più importanti, se non la più importante in assoluto, è certamente una maggiore libertà e facilità di spostamento, dovuta ad una rete viaria sempre più estesa e, soprattutto, in migliori condizioni e facilmente fruibile in ogni periodo dell'anno.
Se, infatti, in questo periodo è rimasto pressoché invariato lo sviluppo delle arterie ex statali (circa 150 km), notevole incremento hanno avuto le strade regionali e comunali, per non parlare della viabilità rurale (ad oggi estese rispettivamente per oltre 500, 2100 e 2200 km), non solo e non tanto sotto l'aspetto dello sviluppo complessivo, quanto piuttosto dell'agibilità e della sicurezza. E il problema della sicurezza delle vie di comunicazione, specie riguardo al dissesto idrogeologico (che, ovviamente, implica di riflesso l'agibilità), è a tutt'oggi uno dei più sentiti su scala non solo locale, ma nazionale ed europea; il dissesto idrogeologico è, infatti, tra i fattori di rischio territoriale, quello che coinvolge in maniera più diffusa e pesante gran parte del territorio montano in Italia ed all'estero.
Si ricordi, per inciso, come con il termine "dissesto idrogeologico" la Commissione De Marchi intendesse l'insieme di "quei processi che vanno dalle erosioni contenute e lente ….fino alle forme imponenti e gravi delle frane". In seguito, il GNDCI (Gruppo Nazionale per la Difesa delle Catastrofi Idrogeologiche) ha ridefinito il significato del termine "dissesto idrogeologico" come "qualsiasi disordine o situazione di squilibrio che l'acqua produce nel suolo e/o nel sottosuolo" (G. Gisotti, 1985).
Considerata l'estensione della viabilità a carattere locale (comunali e viabilità rurale) e gli elevati costi che gli interventi di sistemazione e miglioria comportano, costi per i quali risultano in genere insufficienti le risorse disponibili, per una corretta programmazione degli interventi è indispensabile disporre di specifici studi in grado di evidenziare i diversi livelli di vulnerabilità delle sedi stradali. Usualmente, gli studi di questo tipo ricadono nel campo della pianificazione territoriale classica (a scala solitamente piccola, tra 1:25.000 ed 1:250.000) o sono rappresentati dai progetti esecutivi degli interventi di sistemazione e messa in sicurezza del territorio (redatti per lo più a scale da 1:2.000 in su). La distanza tra queste due realtà operative è però molto grande, per cui l'interscambio di dati tecnici, grafici e informatici, fondamentale per un corretto utilizzo ed intervento sul territorio, è spesso reso molto difficoltoso o impossibile.
Una possibile soluzione del problema sta nell'esecuzione di studi che si collochino in un certo senso, per scala operativa e metodologie impiegate, a metà strada tra la pianificazione territoriale e il progetto esecutivo. Studi di questo tipo presentano, tra gli altri, il vantaggio di richiedere un impegno in termini temporali (e quindi economici) ed oneri di sperimentazione (prove di laboratorio, ecc.) relativamente ridotti, consentendo così alle amministrazioni interessate di ottenere, in tempo utile e con una spesa piuttosto contenuta, un quadro conoscitivo sufficientemente preciso e dettagliato, atto a permettere una tempestiva ed efficace individuazione degli interventi prioritari per la messa in sicurezza della sede stradale.
Metodologia operativa
La prima fase operativa consiste in un inquadramento dei principali aspetti (geologia, morfologia, idrografia, rete stradale, ecc.) della zona da studiare, al fine anche di stabilire la scala operativa più idonea (in genere, tra 1:5.000 e 1:10.000). A tale scopo andranno acquisiti i dati bibliografici e di archivio, ed al contempo verranno effettuate le prime ricognizioni in loco, per valutare e stimare l'entità delle problematiche interferenti con la viabilità e verificare l'attendibilità dei dati reperiti. Questa prima base di conoscenze va verificata ed integrata tramite l'aereofotointerpretazione, per una migliore definizione e controllo delle problematiche generali.
La seconda parte del lavoro comporta il confronto e l'elaborazione statistica dei dati acquisiti; nella terza fase l'elaborazione dei dati tramite semplici schemi e formule empiriche permetterà la definizione dei fattori di rischio e l'assegnazione ai diversi tratti stradali del relativo grado di vulnerabilità. Ai fini operativi, i risultati del lavoro sono di regola sintetizzati in opportune carte tematiche, costituenti la forma di elaborato di più semplice ed immediato utilizzo anche da parte di non specialisti.
La metodologia che verrà brevemente esposta nel seguito è stata elaborata operando su varie aree campione, in modo che essa risulti facilmente adattabile a qualsivoglia vallata alpina, o a zone simili anche se con problematiche diverse da quelle qui riportate.
Stabilità dei versanti
Occorre prendere in considerazione i seguenti fattori: acclività dei versanti, evidenza di dissesti verificatisi in tempi anche remoti (e loro tipologia), aspetti geologici e tettonici (litologia, grado di fratturazione, presenza di faglie), documentazione esistente su fenomeni franosi pregressi, presenza di interventi di stabilizzazione (dei versanti) o protezione (della sede stradale), presenza di ampie zone detritiche attive, copertura boschiva. Sulla base dell'analisi e interpretazione di questi elementi, è possibile definire i tratti di versante instabili e in grado di interferire con la rete viaria.
Le tipologie di frana di gran lunga più comuni nelle vallate dell'arco alpino occidentale sono le frane in detrito, i crolli in roccia e le colate detritiche (debris flows).
Tenuto conto delle finalità precipue di questo tipo di studi, per la valutazione delle frane in detrito è in genere sufficiente fare riferimento all'estensione ed alla potenza (stimata) dei principali depositi detritici. Si tratta normalmente di franamenti di modesta cubatura, che raramente pertanto assumono caratteri di elevata pericolosità; ciò può essere verificato, zona per zona, controllando i dati storici esistenti.
Raramente per i crolli in roccia, che costituiscono statisticamente la tipologia di frana s.s. più frequente nelle valli alpine, sono disponibili dati storici sufficienti ad una valida elaborazione statistica del rischio di caduta massi lungo la viabilità esistente. Validi risultati operativi possono comunque essere ottenuti suddividendo gli assi vallivi in tratti per quanto possibile omogenei (per litologia, grado di fratturazione, altezza delle pareti subverticali e loro distanza dalla sede stradale) ed effettuando, per ciascuno di essi, una serie di simulazioni al calcolatore. Considerate le finalità sopra ricordate, nonché la qualità dei documenti cartografici usualmente disponibili, possono proficuamente essere utilizzati modelli tipo lumped-mass, sufficienti per poter configurare la dinamica della caduta massi ed effettuare analisi statistiche relative alla probabilità che i fenomeni possano interferire con l'asse viario.
Per quanto riguarda i dati necessari, in questo tipo di studi può essere sufficiente ricavare le sezioni topografiche dalla cartografia tecnica regionale in scala 1:5.000, i coefficienti di restituzione dalla bibliografia tecnica e la cubatura dei blocchi di riferimento sia dai rilievi geostrutturali sia dalla rilevazione diretta delle dimensioni dei massi già franati.
I debris flows, su cui anche da noi si sta vieppiù incentrando l'attenzione in ragione della loro frequenza e pericolosità, sono dei fenomeni particolarmente complessi, che avvengono sostanzialmente in concomitanza ad eventi pluviometrici caratterizzati da una elevata intensità, con movimentazione di materiale detritico fino a dare origine ad un deflusso misto liquido-solido. Molto vasta è la letteratura in proposito, e molti i modelli matematici disponibili; a questi livelli d'indagine, per la valutazione dei possibili debris flows può tuttavia essere sufficiente l'utilizzo di un approccio fondamentalmente basato sull'insieme dei dati storici, morfologici e litologici; dall'osservazione dei conoidi attivi e dallo studio aereofotogeologico dei loro bacini d'alimentazione si può infatti giungere, per ciascun bacino, alla determinazione di un parametro (indice di dissesto), espresso come rapporto tra le aree in frana e/o soggette ad intensa erosione e l'area totale del bacino stesso, discretamente correlato con il rischio connesso ai debris flows.
Studio idrologico
Scopo di questo studio è sostanzialmente verificare l'adeguatezza delle opere di scavalcamento dei corsi d'acqua, opere di gran lunga cruciali per la transitabilità di una strada, a smaltire le portate di massima piena prevedibili; si tratterà inoltre d'individuare le aree più facilmente esondabili, o soggette ad erosione in caso di piena, in grado di interferire con la rete viaria.
Un indice di adeguatezza idraulica delle opere di scavalcamento può essere ottenuto dal rapporto tra la portata smaltibile (calcolata in base ai parametri geometrico-fisici della struttura e dell'alveo) e la portata di massima piena (opportunamente maggiorata di un fattore dovuto al trasporto solido).
La determinazione delle aree esondabili è rapidamente eseguibile in base ad accurati rilevamenti degli interventi di sistemazione a tutt'oggi realizzati, delle caratteristiche morfologiche del fondovalle e delle recenti deviazioni subite dall'alveo, ed all'esame delle esondazioni verificatesi in occasione di eventi alluvionali documentati che abbiano interessato i torrenti studiati. Appare opportuno distinguere le aree esondabili da correnti veloci, legate ad ondate di piena improvvise, da quelle esondabili da correnti lente, in seguito cioè ad un innalzamento graduale del livello della corrente, in quanto sarà ovviamente diverso, nei due casi, il grado di vulnerabilità del tratto stradale interessato.
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