TERRITORIO FRAGILE
Prendendo spunto dalla scorsa alluvione, abbiamo sentito il parere di Stefano De Leo, che ci svela inediti sentimenti di un professionista.
RIFLESSIONI DI UN GEOLOGO
di Matteo Giglio
I valdostani ricorderanno sicuramente il decennio che si è appena concluso per gli eventi alluvionali che lo hanno caratterizzato. È vero che in passato si sono verificati fenomeni analoghi, ma quello che più stupisce è la frequenza con cui si sono manifestati i più recenti. In questi casi è naturale dunque interrogarsi sulle cause di tali cambiamenti. Tutti ci chiediamo perché avvengono le alluvioni, perché colpiscono con tanta violenza e soprattutto perché all'alba del terzo millennio non è ancora possibile far fronte o controllare eventi come quello dell'ottobre 2000. Non è semplice rispondere con un articolo a domande di questo tipo; se innumerevoli studiosi, ricercatori e professionisti dedicano tutta la vita ad un problema del genere, è logico pensare che si tratti di un argomento assai complesso e delicato. Tanto più che ad esso è direttamente legata l'incolumità di intere popolazioni.
Tra i professionisti che si occupano di problematiche inerenti eventi alluvionali e più in generale legate al territorio, la figura più significativa è certamente quella del geologo: grazie a competenze geomorfologiche e idrogeologiche è quella che meglio è in grado di fornire una spiegazione delle cause di simili eventi.
Prendendo spunto proprio dall'alluvione dello scorso ottobre, abbiamo scambiato qualche opinione con uno dei geologi più attivi in Valle d'Aosta, Stefano De Leo, 40 anni, titolare di uno studio geologico in Aosta. Svolge la professione da 14 anni ed è un profondo conoscitore del territorio valdostano in tutti i suoi aspetti. Ecco una sintesi dei suoi punti di vista.
Per introdurre l'argomento, quali sentimenti suscita in un geologo un evento come l'alluvione dell'ottobre 2000?
In primo luogo, eventi del genere colpiscono la sfera umana ed evocano dolore e dispiacere per quanti hanno perduto cari e beni. In secondo luogo subentra il fatto di essere geologo.
In un primo momento anch'io non mi sono reso conto della gravità della situazione. È solo ascoltando le notizie divulgate dai media, relative alle vittime e alle persone evacuate da paesi e villaggi, che ho preso coscienza dell'accaduto, della gravità di molti fenomeni e dell'estensione dell'area colpita. Ripensandoci, sembrava di ascoltare cronache storiche che ci rimandano ad eventi che pensavamo confinati a periodi climatici diversi dal nostro. Il primo sentimento che ho provato come geologo è stato quindi quello di sorpresa. Cerco di spiegarmi. Il geologo legge nelle forme del paesaggio il segno di eventi di questo tipo e sa che possono accadere.
Prendiamo l'esempio dei conoidi: per il tecnico non è necessario apettare un'alluvione per sapere che il torrente può scegliere una strada qualsiasi sulla sua superficie per scendere a valle. Ma fenomeni dell'estensione di quello avvenuto a Nus, della violenza di quello di Pollein e soprattutto la combinazione e l'estensione degli eventi su un'area così vasta e in autunno ormai inoltrato mi hanno sorpreso, perché richiedono di tornare molto indietro nel tempo per ritrovare situazioni simili. La sorpresa è quindi legata all'eccezionalità della situazione nel suo insieme e di alcuni fenomeni in particolare, quali ad esempio la frana di Pléod a Fénis. Colpisce poi nell'evento di ottobre la diffusione dei fenomeni franosi: centinaia di frane di tutte le dimensioni hanno colpito il nostro territorio.
Faccio subito notare che la parola eccezionale, non dovrebbe essere utilizzata per descrivere fenomeni di questo tipo, che si sono ripetuti più volte nei secoli. È in questi casi più corretto parlare di eventi con tempo di ritorno molto lungo o con bassa probabilità di accadimento.
Ecco, puoi specificare meglio il concetto di tempo di ritorno per eventi di questo tipo?
Certamente; si tratta di un parametro fondamentale che viene considerato ogni volta che si progetta un'opera di difesa del suolo, ad esempio le arginature per i corsi d'acqua. Il tempo di ritorno è un parametro di tipo statistico, che indica l'intervallo che intercorre tra due eventi della stessa portata: indirettamente esprime la probabilità che un caso si verifichi o meno in un dato momento. Spiegato in questi termini può apparire un concetto più semplice di quello che è in realtà. Infatti il tempo di ritorno viene calcolato sulla base di una serie di dati climatici necessariamente limitata nel tempo, che corrisponde all'andamento climatico di un periodo ben definito e piuttosto recente. Tale andamento non è però una costante: anzi, proprio in questi ultimi anni la variabile climatica sembra aver subito notevoli ritocchi rispetto all'andamento medio del XX secolo.
Se il concetto di tempo di ritorno è però ben conosciuto dai tecnici che progettano le infrastrutture, altrettanto non accade per la popolazione che quelle infrastrutture sono destinate a proteggere; la gente infatti pensa che esse possano garantire loro la sicurezza assoluta o quasi. Gran parte delle opere idrauliche sono calcolate per tempi di ritorno di 100 anni, quelle sulla Dora per i 200 anni. Per eventi con portata superiore, quali buona parte di quelli verificatisi in ottobre, le opere possono soltanto mitigarne gli effetti. D'altra parte progettare sulla base di tempi di ritorno più lunghi comporterebbe la realizzazione di opere imponenti e molto costose, che potrebbero attendere per secoli di essere provate. Occorre dunque, a parer mio, agire, ove ancora possibile, a livello di pianificazione, evitando l'edificazione dei settori più a rischio e, in quelli già antropizzati, predisponendo piani di protezione civile. È necessario in tal senso sensibilizzare maggiormente la gente comune sul problema della ripetitività degli eventi calamitosi, in modo che abbia coscienza del fatto che il territorio in cui vive è soggetto a un rischio idrogeologico e che questo comporta necessariamente l'accettazione di restrizioni nell'uso che di esso si può fare e di norme di comportamento necessarie a ridurre la gravità degli effetti degli eventi calamitosi.
Facciamo un passo indietro, prima accennavi alla sorpresa di fronte ad eventi come quello dell'ottobre 2000; con che spirito hai poi affrontato il problema?
Appunto, dopo il primo momento di stupore, è subentrato il desiderio di rendermi utile mettendo a disposizione le mie competenze. Ho quindi potuto prendere diretto contatto con la realtà dei fenomeni che hanno interessato la valle e quindi con la mole di lavoro da svolgere per i tecnici che si occupano del territorio e in particolare per noi geologi. Il sentimento preponderante a questo punto è stato, in tutta sincerità, di sconforto per il numero e la gravità dei problemi posti dalla grande varietà di dissesti che hanno interessato il territorio. Sconforto e senso di inadeguatezza mi hanno suscitato molti fenomeni, nei confronti dei quali ti accorgi che le possibilità di intervento sono molto limitate e che la tua scienza non è sufficiente a comprenderne sino in fondo le cause, gli equilibri che li governano e di conseguenza la possibile evoluzione. Sconforto poi, molto più banalmente, per gestire una situazione professionale dove, ad una serie di impegni già presi, si sono sommati inevitabilmente i molti collegati all'emergenza alluvionale, che in più richiede di affrontare in tempi molto ristretti situazioni spesso delicate, che coinvolgono direttamente i centri abitati, come raramente mi era capitato nel corso della mia precedente esperienza lavorativa e in più con ancora ben presenti gli effetti devastanti che possono avere eventi come quelli che hanno colpito la Valle d'Aosta lo scorso ottobre 2000.
Da ultimo la sensazione, contrastante con le precedenti e del tutto collegata al mio essere geologo e appassionato dell'ambiente naturale in genere, di essere stato privilegiato per aver potuto assistere a eventi di questa portata, che non a tutti è dato di poter osservare nell'arco di una vita.
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