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PAESAGGIO NATURALE O PAESAGGIO CULTURALE?
di Flaminia Montanari
Feuillettaz (Montjovet).Se ben guardiamo il paesaggio che ci sta attorno, dobbiamo arrivare alle morene e ai ghiacciai per trovare un paesaggio "naturale", in cui cioè non sia individuabile l'attività organizzatrice del lavoro umano. Che si tratti del prato (rastrellato, ingrassato, sfalciato o pascolato) o dei terrazzamenti delle vigne, che si parli del bosco (intersecato dalle strade poderali o dalle piste taglia-fuoco, sottoposto comunque periodicamente ad opere colturali di sfoltimento) o dei bordi di arbusti che crescono spontaneamente sui ciglioni dei campi accentuandone le geometrie, non esiste luogo in cui non si colga ancora l'impronta dell'azione umana: la "natura" della Valle d'Aosta è un grande giardino, ogni angolo del quale è stato sistemato con una mirabile capacità da parte dell'agricoltore di trarre vantaggio dalle specificità che la natura localmente offriva.
Il grande valore culturale del nostro paesaggio risiede proprio in questo intreccio inestricabile, in questa continua interazione tra l'uomo e la natura che ha modellato in ambiente vivibile una situazione morfologica e climatica in sé certo non particolarmente favorevole per la vita umana.
Dobbiamo imparare a guardare e riflettere su questo paesaggio usandolo come una lezione di progettazione, dove gli stessi elementi di natura - l'acqua la pietra gli alberi - possono essere utilizzati dall'uomo come "materiale da costruzione" per un ambiente di qualità, che conservi la continuità culturale con questo sentimento di partecipazione ed "alleanza" con i tempi, i ritmi, le regole della natura. È questo il contenuto di quella "cultura del territorio" che riconosciamo come il bene fondamentale della Valle, e che - a monte della conservazione delle testimonianze materiali che essa stessa ha prodotto - merita la priorità assoluta nelle politiche di salvaguardia del patrimonio culturale.
   
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