Sin dal termine dell'ultima glaciazione e fino a qualche decennio fa la Dora Baltea (unico fiume della nostra regione) costituì l'incontrastato elemento caratterizzante la morfologia della così detta plaine. Non ancora ridotto nelle attuali opere di arginatura/regimazione delle acque, esso si presentava (così come lo descriveva all'inizio del '900 il botanico Pio Bolzon) con "caratteri quasi di alveo di pianura, cioè molto largo (con) vasti tratti impaludati solcati da ruscelli e racchiudenti degli stagni. Si capisce come tanta varietà di stazioni deve (dovesse) accogliere una svariatissima flora". Sostanzialmente la Dora Baltea divagava liberamente lungo un tracciato tipicamente sinuoso con ampie anse, scomposte e ricomposte in occasione delle inevitabili e ricorrenti piene.
Ancora nel 1957 il corso attuale del fiume presso Saint-Marcel non era altro che un suo canale secondario.
Fu in quell'anno che la Dora Baltea, a seguito di una alluvione di notevoli proporzioni, per l'ennesima e forse ultima volta, riuscì a modificare bruscamente il suo percorso, abbandonando l'allora grande ansa che formava tra Quart e Saint-Marcel e selezionandosi un tracciato quasi rettilineo. Da allora "la ricerca di nuovi spazi per gli insediamenti industriali e civili, la valorizzazione agricola di prati umidi scarsamente produttivi (...) hanno orientato gli interventi umani degli ultimi quarant'anni verso la bonifica delle zone umide presenti (...) e regimando il corso del fiume con opere di arginatura. Il risultato è la scomparsa delle zone umide (...) la banalizzazione della vegetazione è evidente; l'antico paesaggio è ormai quasi del tutto scomparso (...) e delle immense paludi non vi è quasi più traccia" (C. Trèves e altri Autori, op. cit.).
Tanti e di tali entità sono stati appunto questi mutamenti che nel percorrere oggi le rive (gli argini) della Dora, sarebbe oltremodo difficile tentare di ricrearsi mentalmente l'immagine degli ambienti originari, sopravvissuti, come si è detto, fino in epoca relativamente recente ma che, non tanto paradossalmente, appare già remota sia nei ricordi che nelle immagini fotografiche in bianco e nero di allora.
La distruzione o trasformazione delle zone umide che fiancheggiavano il fiume non poteva non ripercuotersi drammaticamente su quasi tutte le specie animali e vegetali che le caratterizzavano. Alcune di esse risultano ormai estinte, altre possono già ora considerarsi minacciate o sulla soglia della loro prossima scomparsa.
Questa situazione, e le sue conseguenti prospettive negative, inequivocabilmente deleterie per la preziosa biodiversità della nostra regione, potrebbero (oppure no) essere modificate. Tutto dipenderà dalle scelte che in un senso o nell'altro, si vorranno fare a proposito della piccola fauna e della flora palustri.
CHI NON C'È PIÙ, CHI C'È ANCORA (MA FORSE PER POCO)
Come si è già accennato nella premessa, diverse specie vegetali e animali legate alle zone umide sono ormai scomparse dalla Valle d'Aosta ed altre potrebbero subire identica sorte in un prossimo futuro. Qui di seguito ecco allora più in dettaglio l'attuale situazione che a nostro avviso risulta particolarmente rivelatrice. Per quanto concerne quindi la flora acquatica e palustre, delle specie presenti un tempo, ed individuate in particolare da Lino Vaccari agli inizi di questo secolo, a ben tredici di esse nel recente (1993) studio del botanico svizzero Michel Desfayes, viene riportato l'epitaffio "disparu" mentre per almeno altre diciotto specie l'attuale individuazione si limita ormai, per ciascuna di queste, ad un'unica località.
Non sono quindi riuscite a sopravvivere, per esempio, Drosera longifolia, Scrophularia aquatica, Juncus capitatus, Iuncus bulbosus, Eleocharis carniolica, Spargamium emersum (per l'elenco completo si veda Flore aquatique e palustre de la Vallée d'Aosta, Rev. Valdôtaine Hist. Nat. 47-1993). Significativo a questo proposito è il caso della lenticchia d'acqua comune (Lemua minor), che in qualsiasi altra regione d'Italia è appunto talmente "comune" da poter essere rinvenuta, non solo in ogni stagno ma anche in canali con acque ferme, in tali quantità da coprire spesso la loro intera superficie liquida. Ebbene, nella nostra regione questa minuscola pianta è ora completamente scomparsa lungo tutta la valle principale ed è stata ancora rinvenuta in due sole ridottissime stazioni poste all'interno di vallate laterali.
A proposito invece della (ingiustamente) così detta fauna minore o inferiore, ad essere maggiormente a rischio sono numerose specie di anfibi, non a caso considerati, visto il loro doppio ruolo ecologico, degli ottimi bioindicatori. Tenuto conto però che la quasi totalità delle ultime zone umide di media-bassa quota è ora tutelata (con l'istituzione delle stesse a Riserve Naturali) e tutte le specie di questi animali lo sono da più di 10 anni (L.R. 1-4-1987, n.22 "Norme per la tutela dei rettili e anfibi") si ritiene innanzi tutto prioritario mettere a fuoco i diversi fattori che in Valle d'Aosta, proprio in tempi relativamente recenti, possano aver influito così negativamente sullo status delle loro popolazioni Infatti, totalmente scomparsi dai lati della Dora Baltea stagni e acquitrini di origine naturale, gli anfibi della nostra regione avevano trovato una parziale compensazione, colonizzandoli, nei residui di cave, unici specchi d'acqua attualmente presenti. Perché allora la raganella (Hyla intermedia) non è più stata Osservata lungo la "plaine" dal 1975? E le ovodeposizioni ed i giovani esemplari metamorfosati di rana verde (Rana sinkl. esculenta) divenuti progressivamente sempre più rari tanto da non poter più assicurare in futuro il ricambio generazionale di questa specie? Si avvicina infatti sempre di più il rischio che ogni sua stagione riproduttiva possa essere l'ultima in Valle d'Aosta.
L'erpetologo Roberto Sindaco (Museo Civico di Storia Naturale "Cascina Vigna" di Carmagnola - TO) già nel 1992 durante la sua relazione al I° Convegno Italiano sulla salvaguardia degli anfibi, ha citato la nostra regione per essere quella dove, nel corso delle sue ricerche, ha potuto riscontrare una situazione gravemente compromessa, soprattutto a causa dell'introduzione, da parte, probabilmente di pescatori, di ittiofauna alloctona, persino in laghetti alpini siti oltre i 2000 m. s.l.m. che avrebbe distrutto ogni forma di vita, non solo anfibia ma anche bentonica. Una situazione definitiva da "fantascienza". Si sta ovviamente parlando di inquinamento biologico delle nostre zone umide, un'alterazione che si sa da tempo causare gravi danni agli ecosistemi naturali e che nel caso degli habitat d'acqua dolce può giungere ad estinguere quasi tutte le peculiari specie autoctone. Le nostre recenti osservazioni (con Fiorella Di Michele dell'Associazione culturale "La Tanière" sono stati effettuati numerosi sopralluoghi in particolare nella zona tra Pollein e Nus) hanno purtroppo constatato un peggioramento della situazione: oltre a queste specie estranee (pesci gatto e pesci persici, non a caso definite dagli inglesi alien species) le cui malaugurate immissioni artificiali ormai interessano anche le pozze di dimensioni più esigue o addirittura temporanee, hanno fatto la loro comparsa (a Saint-Marcel ed a Quart) adulti della testuggine della Florida (Trachemys scripta) temibile predatrice di pesci e anfibi, e della quale, proprio per i danni che arreca alla fauna locale, un regolamento comunitario vieta l'importazione nell'Unione Europea.
Ci sembra attualmente difficile ipotizzare soluzioni riequilibratorie (disinquinamento biologico?) se non a carattere parziale, anche perché questi rilasci probabilmente si verificheranno ancora, aggravando quindi la situazione già compromessa di molti anfibi (in particolare uova e girini di questi vengono divorati fino all'ultimo dagli animali introdotti).
La diminuzione - quasi scomparsa - delle rane verdi sta producendo, come ripercussione diretta, anche la rarefazione della "comune" natrice dal collare (Natrix natrix), strettamente legata a questi animali come prede. Anche in questo caso si sta notando la progressiva e significativa riduzione di giovani delle nuove generazioni.
Potenzialmente a rischio si possono infine considerare le tre specie di tritoni presenti in Valle d'Aosta in quanto "localizzatissime" (R. Sindaco, op.cit.) cioè legate solamente ad una o più stazioni, tra l'altro di esigue dimensioni (il lago d'Arpy non fa testo in quanto la presenza di pesci predatori vi ha quasi cancellato gli effettivi del raro tritone alpino).
DALLA RICERCA DEI SOPRAVVISSUTI ALLE PROPOSTE ALTERNATIVE
Partendo dalla convinzione che entità (sia animali che vegetali, comunque legate alle zone umide) forse un tempo comuni siano riuscite a rifugiarsi in superstiti nicchie di limitata estensione, si è deciso dalla primavera del 1999 di "battere" il territorio, specie lungo la Dora, alla ricerca di questi angoli insospettati
onde identificare sia l'erpetofauna presente che la vegetazione palustre. La mappatura (ed il suo aggiornamento) di questi piccoli biotopi, così come la realizzazione di un "inventario regionale delle località di riproduzione degli anfibi" (Inghilterra e Svizzera per esempio hanno già da tempo accatastato tutti i siti riproduttivi degli stessi) permetterebbero inoltre nel caso di eventuali ed inderogabili realizzazioni di opere pubbliche o private in loco, di ovviare (come purtroppo si è già verificato anche in Valle d'Aosta) alla loro inevitabile distruzione con un efficace e pronto trasferimento in altri siti idonei delle specie animali e vegetali che li caratterizzavano.
E stata così "riscoperta" Typha angustifolia (non più segnalata nella nostra regione dal 1986) proprio al centro di un residuo di cava, ora discarica di inerti in fase di riempimento tra Nus e Fénis. La stessa zona si è rivelata un'importante zona di riproduzione del rospo comune (e di Rana temporaria) anche se, purtroppo, si deve segnalare come nessuna delle decine di migliaia di uova deposte quest'anno, abbia potuto schiudersi in quanto gli anfibi in accoppiamento, forse a causa dei movimenti di terra spostata dai mezzi meccanici e della conseguente riduzione dello specchio d'acqua, si concentrarono tutti all'estremità opposta dello stesso, in ambito assolutamente inidoneo per la ridottissima profondità (e soprattutto temporaneità) dell'elemento liquido.
Nell'ambito di queste ricerche sono state individuate altre due zone di riproduzione sempre di rospo comune, assolutamente sconosciute in precedenza, e quella che si potrebbe considerare quale ultimo esempio di palude, nonché sede dell'unica, sopravvissuta, popolazione vitale di rana verde, in Valle d'Aosta. Vista l'importanza di quest'ultimo sito, lo stesso è stato immediatamente segnalato alla Direzione Ambiente dell'Amministrazione Regionale ed al Comune di Quart (nel cui territorio è ubicato) affinché venisse valutata la possibilità di preservarlo ed eventualmente adattarlo/adottarlo quale "aula verde" per osservazioni (frog-watching) e visite scolastiche. Non crediamo infatti sia da sottovalutare, anche ai fini di sensibilizzazione / conoscenza, la concreta esigenza che hanno i giovani studenti di poter osservare da vicino almeno qualche forma di vita selvatica. Mammiferi e uccelli, tenuto conto delle loro notevoli distanze di sicurezza, sono generalmente visibili solo da lontano, mentre appunto gli anfibi si prestano decisamente (con pazienza ed i dovuti accorgimenti) ad incontri ravvicinati e quindi più soddisfacenti.
A questo proposito ci sembra importante evidenziare come, riconosciuta l'importanza delle zone umide, anche di ridotte dimensioni, quali "formidabili strumenti per la didattica delle scienze naturali e dell'educazione ambientale" (N. Bressi, op. cit.) e constatata come si è già detto, l'attuale assenza lungo la piana della Dora del più classico degli ambienti naturali utilizzato a fini didattici, cioè lo stagno, una concreta possibilità di ricrearne di nuovi assolverebbe alla duplice funzione di offrire preziosi habitat alternativi a specie strettamente legate all'elemento liquido e nel contempo permettere particolari attività in ambito scolastico altrimenti destinate ad uno sviluppo meramente teorico.
Nel Nord Europa, e più recentemente anche in Italia (Toscana, Lombardia, Friuli Venezia Giulia), sono già state realizzate nuove zone umide per le finalità sopradescritte. Queste esperienze rientrano nella così detta conservazione creativa", consistente non già nel proteggere un ambiente minacciato, ma nel ricrearne uno scomparso.
L'Associazione "La Tanière", grazie anche al contributo (L.R. n. 90 "...per la realizzazione di iniziative di interesse naturalistico ed ambientale") dell'Amministrazione regionale ha "ricostruito" quelli che probabilmente sono i primi due stagni didattici nella nostra regione. In essi si sono già riprodotte (con esemplari recuperati di notte sulla strada o da siti in procinto di essere distrutti) diverse specie di anfibi e vi sono ugualmente ospitate varie piante palustri (comprese alcune di Typha angustifolia, salvate dalla discarica precedentemente citata). Detti ambienti, pur nelle loro modeste dimensioni hanno prodotto risultati incoraggianti (diverse decine di neo-metamorfosati e girini riportati in natura) e permesso interessanti osservazioni eco-etologiche. Tra l'altro sono stati in tempi brevi colonizzati da varie specie di gerridi ed odonati, mentre la supposta (e temuta) proliferazione di zanzare non si è verificata in quanto tutte le loro larve sono state divorate in acqua dai neonati tritoni crestati.
Questi piccoli biotopi artificiali sono a disposizione, per osservazioni e consulenze, di insegnanti ed educatori ambientali, ed un loro utilizzo è già stato previsto per il prossimo corso di aggiornamento di docenti della scuola elementare, dall'omonimo titolo "LO STAGNO ALTERNATIVO".
GLI ANFIBI, QUESTI SCONOSCIUTI
Aumenta il numero di bambini che non ha mai visto dal vero questi animali.
Ormai 10 anni fa il mensile "Prospettive nel mondo" condusse un sondaggio presso centinaia di bambini fra i cinque ed i dieci anni di Roma, Firenze e Milano sulla loro conoscenza/percezione dell'ambiente naturale e dei suoi abitanti selvatici. I risultati ottenuti furono all'epoca giudicati sorprendenti, ma forse più francamente avrebbero potuto essere definiti sconfortanti e comunque prevedibili. Dall'inchiesta di quella rivista emerse che in città i bambini crescevano senza la dimensione reale della Natura e degli animali. Nell'archivio della loro giovane memoria c'erano soltanto le immagini trasmesse dalla televisione.
Alla domanda "sai com'è fatta una rana?" sessantotto su cento di essi avevano risposto: "sì, perché ho guardato un documentario alla TV". Tutti invece ammisero di non essersi mai trovati a tu per tu con un rospo (per non parlare di altri piccoli animali). "Sono bambini che vivono in grandi metropoli, è quasi ovvio che siano privi di queste conoscenze dirette" potrebbe essere la frettolosa deduzione. Invece quello che sta da tempo verificandosi ed emergendo è molto meno semplice e circoscrivibile. Ormai che si tratti di bambini di città, di paesi o di campagna la loro conoscenza dei piccoli animali selvatici risulta essere sempre più virtuale e sempre meno reale. Anche in Valle d'Aosta. Si valutino a questo proposito i risultati ottenuti questa primavera da un breve questionario sottoposto a giovani scolari (mediamente di III e IV elementare) preliminarmente a delle lezioni/incontri con anfibi (e rettili) locali. Venne loro chiesto se avessero già visto in natura - cioè liberi - determinati animali. Rispose negativamente il 77% per quanto riguardava la salamandra, il 70% per la biscia d'acqua, il 34% per il rospo ed infine il 42% per la rana verde. Cioè su quattro specie un tempo estremamente comuni nella nostra regione ben la metà risultarono sconosciute - come osservazione diretta - dalla larga maggioranza degli intervistati (in media 7 bambini su 10) ma anche per le rimanenti due (rana verde e rospo appunto) furono comunque 3-4 giovani scolari su 10 a dichiarare di non averle mai viste precedentemente. Questi dati ci sembrano confermare il continuo e progressivo allontanarsi delle nuove generazioni dalle possibilità di quegli incontri - casuali ma frequenti - con la piccola fauna selvatica che hanno sempre costituito il presupposto determinante per un legame emozionale con la stessa. Non a caso allora alla domanda "tra gli animali precedentemente citati scrivi il nome di quello verso il quale provi più paura" vennero in maggioranza proprio indicate le due specie meno conosciute (che sono tra l'altro assolutamente inoffensive). Infine, in percentuale ancora soddisfacente, si possono considerare le risposte date a possibili situazioni-tipo: solo il 5% dei bambini si espresse favorevolmente alla possibilità di tenere prigioniero in una gabbia a casa l'animale che più lo attirava, mentre l'80% di essi si dichiarò desideroso di proteggerlo e aiutarlo qualora si fosse trovato in una eventuale situazione di pericolo. Quando comunque i giovani scolari si trovano di fronte all'animale reale è tutto uno sbocciare di sensazioni ed emozioni (alle quali, per fortuna, non riusciamo ad abituarci). Ecco, a puro titolo esemplificativo, come si sono espressi bambini e bambine di 2 classi della scuola elementare del Quartiere Cogne di Aosta successivamente all'incontro - in classe - con una raganella. "Era così bella che sembrava finta!" (Lisa) "Quando ho avuto la fortuna di tenerla in mano avevo paura di farla cadere. Per l'emozione la mia mano era tutta sudata" (Matteo) "A me è piaciuto tenere un animale in mano, non lo avevo mai fatto" (Tania) "Dopo averla tenuta in mano per qualche tempo, ho capito che era innocua e allora non avevo più timore" (Federico) "Quel giorno io e i miei compagni abbiamo vissuta un esperienza che non scorderemo mai!" (Elia).
di Ronni Bessi e Fiorella Di Michele