Chiudete gli occhi, dopo aver passato la giornata nel Parco del Mont Avic, e vedrete laghi e torbiere, sentirete lo scroscio dei torrenti. La valle del Chalamy è eccezionalmente ricca di acque superficiali. Riflettendo un attimo, vi renderete però conto che c'è tanta acqua in vista perché è tutta lì in superficie. Il substrato roccioso affiora dappertutto o quasi, l'acqua ha ben pochi terreni morenici, detritici o alluvionali in cui nascondersi. E allora chiudendo gli occhi vedrete anche la roccia. Acqua e roccia nel Parco si dividono il potere. Se l'acqua vivifica il paesaggio, è la roccia che decide dove l'acqua deve passare e dove deve fermarsi. E decide per esempio di far scendere dalla testata valliva un rigagnolo quasi invisibile, mentre il torrente principale scorre sul versante destro. È la roccia che, con la sua natura geochimica, spiega la particolarità del popolamento forestale, gli interessanti endemismi floristici, la scarsità di insediamenti e di pascoli, l'antica storia mineraria che contraddistinguono l'alta valle del Chalamy. Ecco dunque l'interesse di conoscere qualcosa di più sulle rocce del Mont Avic, attraversandole poi lungo un itinerario ricco di acque e di panorami suggestivi.
DELLE ROCCE PIENE D'ACQUA
C' era una volta la peridotite, una roccia che fa parte del mantello terrestre, imbottita di ferro, magnesio e di minerali rari. Il suo primo contatto con l'acqua lo ebbe nel Giurassico, quando fu messa a nudo da un lento strappo nella crosta terrestre, e l'acqua del mare riempì il solco aperto fra i due lembi di crosta. Nel fungere da fondo oceanico, e poi nelle varie fasi dell'orogenesi alpina, la nostra peridotite acquisisce le caratteristiche della serpentinite:
a. incorpora il l2% d'acqua oceanica nella sua composizione;
b. si separa dal ferro, che cristallizza nella sua massa sotto forma di aghetti di magnetite;
c. in profondità perde ogni residuo cristallino dei suoi antichi componenti; il suo nome ufficiale diventa peridotite serpentinizzata, un silicato idrato di magnesio con magnetite, titanio accessorio e tracce di parecchi metalli pesanti;
d. sotto pressione, i suoi microcristalli si dispongono parallelamente ad un piano determinato dalla direzione della forza che subiscono, cioè la roccia diventa scistosa o foliuta.
Il piano di foliazione della roccia, come affiora attualmente, immerge abbastanza regolarmente verso nord o nord-ovest su entrambi i versanti della valle. Ciò significa che il vasto versante di destra (sud) tende a "scivolare" dolcemente sulla scistosità mentre il versante sinistro si alza breve e ripido sostenuto dalle bancate rocciose inclinate verso l'interno della montagna.
Sul gran versante destro dell'alta valle, lavorato da piccole faglie a gradinata e levigato dai ghiacciai ora scomparsi, si impostano quindi tutti i principali laghi e le torbiere della valle.
Il corpo serpentinitico affiorante nell'alta valle è dunque interessato da un reticolo di fratture più o meno ricementate e da tracce di antiche discontinuità lineari di importanza locale o regionale. Quasi privo di sedimenti, presenta un basso indice di porosità, e una grande capacità di trattenere le acque in superficie. Molti laghi nel Parco sono in realtà delle sorgenti: la quantità di acqua che ne esce supera ampiamente quella che entra dagli immissari. Forse il reticolo di antiche faglie su cui i laghi sono impostati funziona anche da bacino alimentatore sotterraneo.
Il bordo meridionale del piastrone, al confine con la valle di Champorcher, è coperto da un residuo lembo di roccia cristallina che condiziona la topografia della valle, innalzando la cresta spartiacque, prolungando il versante e incrementando l'apporto idrico. È da ricordare infatti che il clima e le precipitazioni nel Parco non si discostano dalla media regionale, né vi sono apparati glaciali significativi (solo un fazzoletto residuo sotto il Mont Glacier).
Ah, dimenticavo. Le acque del Parco sono di una bellezza abbagliante. I laghi che si notano, in Valle d'Aosta, per la eccezionalità delle loro acque si impostano tutti su rocce di serpentino: il Lago Blu di Verra, il Lago Blu del Breuil... Non saranno le minute scagliette azzurre di questa roccia che, deposte sul fondo o in sospensione nell'acqua, conferiscono ai laghi ed ai torrenti i loro riflessi particolari?
L'avvio dal villaggio di Veulla, fra fontane, ampi prati fioriti e belle casupole ristrutturate, è di quelli che mettono buon umore. Dal parcheggio si passa sopra la chiesetta, e poi l'agevole cammino fino alla Serva Desot (1450 m) permette di sciogliere i muscoli e di familiarizzarsi con la natura dei luoghi, ben descritti dai vari pannelli illustrativi che scandiscono il percorso. Nei dintorni del vecchio Magazzino si noterà la prima forte concentrazione di pino uncinato, conifera simile al pino silvestre ma più adatta ad un suolo sottile, povero di silicio e ricco di metalli velenosi. Come avviene per il pino cembro, il pino uncinato viene "seminato" nelle fessure della roccia dalla nocciolaia e da altri animali del bosco d'alta quota che negli strapiombi rocciosi nascondono le loro provviste invernali. Dall'alpe Serva Desot, alimentata in energia da una centralina idroelettrica, il sentiero prende a salire in modo continuo, non prima di aver invitato alla visita, nei prati a sinistra in basso, dell'antico forno minerario in rovina con relative discariche. Particolarmente apprezzabile il canaletto di derivazione dell'acqua, scavato nella roccia seguendo la struttura foliata. La salita nel bosco verso il Lago della Serva consente ampi squarci panoramici verso il piastrone serpentinitico alla nostra sinistra ove, fra risalti e torbiere, scorre a balzelloni il torrente Chalamy. Si possono così notare grandi superfici verticali nei roccioni, chiamate liscioni di faglia, che, nella loro successione a scalinata, stanno all'origine delle conche glaciali dei laghi e delle torbiere. A volte i liscioni sono solcati da fratture oblique che evidenziano la foliazione.
Il Lago della Serva (1800 m) è sbarrato a valle da un accumulo detritico prodotto dalla faglia Gran Goula su cui è impostato il lago stesso, e che vedremo meglio più in alto. Il sentiero sbuca nella ridente conca del lago slalomando fra grossi roccioni su cui ha eletto domicilio una vecchia, simpatica vipera che è meglio non disturbare.
Oltre il lago il sentiero ricomincia a salire contornando i soliti risalti a liscioni, montonati dall'abrasione glaciale. Si sbocca in alto in un ampio solco rettilineo che scende leggermente fra rocce arrotondate, piccole torbiere, lanci e contorti pini uncinati. Dal ponte sul Chalamy, in fondo al corridoio, si noterà nella roccia di fronte la frattura all'origine del corridoio stesso.
Il ripiano dell'alpe Cousse, anch'esso impostato lungo una lieve discontinuità del basamento, viene percorso fino a trovare una breccia nella bancata sovrastante, sulla quale il sentiero si inerpica fino all'agognato rifugio Barbustel (2150 m).
Una ricognizione prima di andare a nanna ci farà scoprire la diversa bellezza dei tre laghi al tramonto. Troveremo il Lago Cornuto e quello Nero profondamente infossati nello scalino del basamento roccioso che taglia obliquamente questo angolo della valle. Una corona di ranuncoli acquatici rallegra le sponde scure dei due laghi. Il Lago Bianco invece, come il gemello Carré poco più ad est, si espone scenograficamente sul bordo piatto del ripiano panoramico.
La salita dal rifugio al Gran Lago attraversa il riposante ripiano del Pisonet, dotato di un originale alpeggio e di suggestive incisioni rupestri. Superata la bancata rocciosa che sostiene il lago, il panorama si apre sulla spianata della Gran Betassa ricca di acque e di dossi rocciosi montonati. Si costeggia il Gran Lago (2500 m) in direzione del Col Mezove, poi si piega a destra fra laghetti e torbiere fittamente imbiancate dai piumini degli eriofori. In questo modo ci si allontana dalla massa tozza del Mont Glacier (3186 m), punto culminante della valle e del Parco. Prendendo quota, ci si potrà rendere conto che il più grande lago naturale della Regione deve appunto la sua esistenza alla barriera costituita dal Mont Glacier, lembo di roccia africana sovrapposto alle serpentiniti in modo da modificare il regolare disegno della valle, squilibrandolo verso sud. È in questo ampliamento in contropendenza che si imposta il Gran Lago.
Giunti al bordo settentrionale del ripiano si prende a salire su di un largo fronte detritico avendo sulla sinistra la crestina spartiacque costituita da tenero calcescisto. Questa roccia, originata da sedimenti fangosi di fondo oceanico, ha composizione calcarea ed influenza sensibilmente la flora locale.
L'uscita sul largo crestone spartiacque regala una magnifica sensazione di essere sospesi fra cielo e terra, in un ambiente primigenio. Strani accumuli di pietra chiara si stendono verso la Val Savoney, un elegante rock glacier si disegna sul versante opposto sotto il Col d'Eyelé, nerissime bande di roccia contorta e mineralizzata attraversano il cammino semisepolte sotto l'erba d'alta quota. Verso destra, improvvisa si apre la voragine della Gran Goula, caotico solco di roccia infuocata che non porta da nessuna parte, e che alcune incongrue pozze d'acqua non riescono ad ingentilire. La Gran Goula, ingombra di detrito rossastro e violaceo, è interpretata come faglia attiva, i cui impercettibili movimenti impediscono al paesaggio di assestarsi sui consueti profili di erosione. Poco oltre, anche il laghetto di quota 2752, un imbuto in pieno spartiacque, non si spiega se non in rapporto al passaggio della faglia, che lo alimenta e gli toglie per così dire la terra da sotto i piedi.
Coraggiosamente la traccia di sentiero abbandona lo spartiacque e si butta nel bacino del Lago Gelato, che occhieggia perfettamente blu sotto la mole rossastra del Mont Avic. Nel detrito vario ed abbondante i patiti di rocce e cristalli faranno una buona messe di osservazioni, dato che qui fiorisce tutta la varietà di quelle che agli albori della geologia moderna sono state poeticamente chiamate le "pietre verdi".
All'estremità opposta del lago, verso l'emissario, si leva un risalto tondeggiante con sopra la capanna forestale. In questa massa è stato sfruttato un fascio di filoni ricchi in magnetite. Sono ancora visibili alcune entrate, di cui una discenderia che segue la pendenza della fascia mineralizzata, una breve trincea, una galleria artificialmente coperta, nonché lunghe massicciate di sostegno alla mulattiera. Con la calamita si potrà verificare che i noduli neri in rilievo sulla superficie delle rocce sono di magnetite; la bussola in questa zona non sarà più affidabile.
Lungo la discesa, fra il detrito verde-violaceo si apre ancora una galleria di ribasso, ingombra di neve fino ad estate inoltrata, con discarica di materiale fine. Il sentiero, fin giù al Magazzino, percorre quello che dovrebbe essere l'asse principale della valle, dirimpetto allo sbocco verso la Dora. Man mano che si scende fra i pini prostrati, a destra si apre l'ampio e anomalo versante da cui siamo saliti al rifugio, e su cui divaga il torrente Chalamy. Nel tratto finale, il nostro occhio ormai vigile potrà notare fra i ciottoli della strada parecchi residui di forno minerario ancora assai ricchi di ferro.
Accesso: Strada Statale 26, 2 km a monte di Verrès bivio a sinistra per Champdepraz, poi 9 km di strada asfaltata di montagna fino al Centro Visitatori del Parco.
Percorso: Ad anello, ben tracciato e segnalato, senza difficoltà particolari.
Pernottamento: Rifugio Barbustel al Lago Bianco, tel. 0166 510001.
Quota partenza: Centro Visitatori 1300 m
Quota massima: Dorsale Iverta-Belplà 2850 m
Dislivello 1° giorno: 850 m in salita
Dislivello 2° giorno: 700 m in salita, 1550 m in discesa
Periodo consigliato: Piena estate, con rifugio aperto
Suggerimenti: Portare con sé una calamita (ad es. le lettere magnetiche dei bambini) per trovare i noduli di magnetite nelle rocce.
PER SAPERNE DI PIÙ
BOCCA M., GRIMOD I. - Studio sui vertebrati della val Chalamy. R.A.V.A. Aosta 1989. BOVIO M. - Contributo alla conoscenza della flora vascolare della val Chalamy. In: Revue valdôtaine d'histoire naturelle n° 46, Aosta 1992.
CASTELLO P. - Inventano delle mineralizzazioni a magnetite, ferro-rame e manganese del Complesso piemontese dei calcescisti con ofioliti in Valle d'Aosta. In Ofioliti n.6, Firenze 1981.
DAL PIAZ G.V. (a cura di) - Le Alpi dal Monte Bianco al Lago Maggiore. BeMa Editrice, Milano 1992. Vol. 1 Parte generale. Vol. 2 pagg. 73-80.
DE LEO 5.- Contributo allo studio dell'idrologia del Parco del Mont Avic. In: Revue valdôtaine d'histoire naturelle n° 50, Aosta 1996.
LA TRACCIA (a cura di) - Il Parco Naturale del Mont Avic. Kosmos, Torino 1995. PARCO NATURALE DEL MONT AVIC - Sentiero Veulla-Lac de Serva e Note integrative. Champdepraz 1994.
PARCO NATURALE DEL MONT AVIC - Ambienti ofiolitici di alta quota. Champdepraz 1998.