Il reverendo inglese Samuel W. King, nella traversata da Hône- Bard a Cogne attraverso il colle della Finestra di Champorcher, il 15 settembre 1855, giunto nei pressi di Dondena, nella valle di Champorcher, ammirando il paesaggio, si interrogava sulla passata estensione del ghiacciaio della Rosa dei Banchi. Così scrive il religioso: ”…su un alto ripiano, sotto di questo (il “monte Arietta” – l’odierna Rosa dei Banchi), apparve un ghiacciaio, che la nostra guida chiamò la Ruise de Bonch – “ruise” essendo il nome in patois con cui si indicava un ghiacciaio. Un notevole poggio arrotondato sotto di esso sembrava indicare, per la sua forma e per la sua posizione, che il ghiacciaio era stato un tempo esteso più lontano”. Non stupisce che una persona verosimilmente colta come il religioso inglese già allora si fosse posto una tale questione: era nato, infatti, pochi decenni prima, ad opera di alcuni studiosi, nella zona delle Alpi, un forte interesse per lo studio delle variazioni glaciali. Il ghiacciaio della Rosa dei Banchi è l’unico esistente nella valle di Champorcher, nonché nell’attuale comunità Mont Rose, come del resto lo era anche negli anni della sua massima estensione glaciale recente, o come si suol dire “storica”, avvenuta, con molta probabilità, nei primi decenni dell’ottocento. Il ghiacciaio è situato sul versante valdostano della punta della Rosa dei Banchi, sita sul confi ne tra la valle di Champorcher e quella di Soana, a quota 3164 metri. Esso, in quanto situato inferiormente a tale quota, è sempre stato meno imponente, in epoca storica, di altri ghiacciai valdostani più famosi, situati ad altitudini ben più elevate. Il luogo è, comunque, veramente meritevole di visita; è un ambiente suggestivo e selvaggio al di sopra del grande lago Miserin. Sulle sponde di questo lago sorge il santuario della Madonna delle Nevi, meta di una storica processione che ha luogo ogni anno il 5 agosto. La processione è un evento sociale, oltre che religioso; in tempi remoti diversi pellegrini convergevano qui non solo da Champorcher e l’itinerario da Campiglia
doveva transitare proprio sul nostro ghiacciaio. Attualmente una processione che passa per quel tratto, ormai non più coperto dal ghiacciaio, è quella che da Champorcher si reca al santuario di san Besso, sopra Campiglia Soana, in occasione della festa che ivi si tiene ogni anno il 10 agosto. La processione da Champorcher è stata ripresa agli inizi degli anni novanta, dopo una lunghissima pausa. Diciamo subito che il nostro ghiacciaio è in via di estinzione: ormai è rimasta una piccola frazione di quello esistente nei primi decenni dell’ottocento. Esso ha conosciuto stagioni ben più fastose: ecco un’altra testimonianza diretta, si tratta di quella di William Brockedon. Questo artista viaggiatore inglese così si esprimeva nella descrizione della discesa dall’attuale colle Larissa, passaggio tra la val Soana e la valle di Champorcher, verso Dondena, durante una traversata da Pont Canavese a Cogne, passando per Piamprato e la valle di Champorcher. È il 1833, leggiamo: “Cominciammo la nostra discesa su un pendio facile, ricoperto da un leggero strato di neve e in breve raggiungemmo alcuni pascoli in prossimità di un laghetto (si tratta dell’attuale laghetto Larissa sotto l’omonimo colle e sopra Dondena n.d.r.)…, e scendemmo su un ripido pascolo verso le sponde del torrente che scaturiva da un vasto ghiacciaio nelle vicinanze”. Il vasto ghiacciaio è il ghiacciaio della Rosa dei Banchi, attualmente ridottissimo rispetto ai quei tempi. Del resto apprendiamo questa volta da un testo di geografi a, quello del Vescoz, del 1870, che il ghiacciaio della Rosa dei Banchi, detto, ai tempi, anche “Glacier du Miserin”, formava un tutt’uno con il ghiacciaio di Peradza della vicina val di Cogne. Leggiamo infatti nella descrizione della catena del Gran Paradiso: “...Le dernier tronçon de cette deuxième partie de la chaine, n’est plus qu’un long dos-d’âne uni et couvert par le glacier de Peratza jusqu’au col de Peratza entre Champorcher, Cogne et Campiglia. La troisième partie du cote méridional embrasse encore 20 kilomètres environ. Le glacier susdit s’étend considérablement encore au delà du col; il couvre la partie supérieure de la vallée de Champorcher sous le nom de glacier du Miserin. Il est couronné au midi par la belle cime de la Roise de Banque”.
La più antica immagine del ghiacciaio della Rosa dei Banchi, in nostro possesso, è la fotografi a scattata dal socio CAI, dottor Gurgo. Essa fu scattata il 9 settembre 1913, dalla zona del Raffray sopra il Miserin, in occasione di una tappa di un lungo giro escursionistico , organizzato in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita del CAI. Leggiamo nella cronaca dell’escursione: “...Si parte in perfetto ordine alle 5, senza guide, seguendo il sentiero che costeggia il torrente e risale l’ampio vallone dei Banchi...Dopo due ore di faticosa marcia pei ripidi pendii erbosi e detriti morenici, si tocca il piccolo ghiacciaio della Rosa dei Banchi: non presenta diffi coltà alcuna, ed anche in numerosa comitiva lo si può attraversare senza l’aiuto della corda, purche’ si proceda colle dovute cautele. L’attraversiamo salendo leggermente, in lunga fi la indiana, passiamo un ultimo ripido tratto di ghiaccio e in pochi minuti siamo sul colle della Rosa (3007 m)”. Il ghiacciaio della Rosa dei Banchi è riportato come “piccolo”: già ridotto rispetto alla prima metà dell’ottocento, tale doveva apparire comunque a soci CAI, abituati a ghiacciai ben più estesi ed elevati. Riportiamo una fotografi a sempre dal Rascias, nel settembre 2011: la differenza dopo un secolo è impressionante. Nel “Report Parametri morfometrici per ghiacciaio” del catasto dei ghiacciai della valle d’Aosta, troviamo, per il nostro ghiacciaio, alcuni dati necessariamente di natura disomogenea, non a cadenza annuale: concentrandoci, ad esempio, sull’estensione. Il massimo recente è fi ssato per il 1821; nel 1882, l’ area era circa 1.2 chilometri quadri, nel 1933 si riduce a due terzi, nel 1952 ad un terzo, nel 1975 è solo lievemente inferiore, però il ghiacciaio è già diviso in tre placche distinte. Negli ultimi anni censiti nel report, 1980, 1981 e 1988, il ghiacciaio, defi nito glacionevato dal 1981, emerge come in diminuzione. Attualmente, nel 2011, il “ghiacciaio” è costituito da un solo piccolo pezzo, visibile nella fotografi a del 2011. Ma quale è l’origine delle variazioni glaciali? Diciamo subito che per tentare di rispondere a tal questione è cruciale una rifl essione sul periodo di tempo tipico sul quale queste si verifi cano. L’interesse sul tema delle variazioni glaciali incominciò a svilupparsi in ambiente svizzero verso l’inizio dell’ottocento. Già in seguito al cosiddetto “anno senza estate”, il 1816, riconosciuto in seguito come conseguenza dell’eruzione del vulcano Tambora nell’attuale Indonesia (che con le sue polveri ridusse la quantità di radiazione solare normalmente in arrivo sulla superfi cie terrestre) fu bandito per l’occasione un premio in ambito scientifi co svizzero per sapere se fosse in atto un cambiamento climatico. Nel 1818, lo svizzero Jean Charpentier, dopo la tragica esondazione di un lago sopra Martigny, causata da una massa di ghiaccio in esso residua, si mise a studiare i movimenti dei ghiacciai; in particolare studiò i massi erratici, sulla cui origine si era già interrogato il connazionale Horace Benedict de Saussure. Charpentier arrivò a considerarli come residui di antichi ghiacciai. Il suo connazionale, Ignaz Venetz, ingegnere, ipotizzò che l’Europa fosse stata, in un lontano passato, coperta di ghiacci e che la temperatura (media) si alzasse e si abbassasse periodicamente. Nello stesso periodo vi fu anche il contributo del tedesco Schimper che per primo utilizzò il termine “Eiszeit” (“periodo glaciale”). Fu poi lo svizzero Louis Agassiz a sviluppare nel 1831 la teoria sulle cosiddette “glaciazioni”, affermando che la Terra fosse stata soggetta periodicamente a periodi più freddi, periodi glaciali, detti anche “glaciazioni”, in cui i ghiacciai erano molto più estesi sino a ricoprire gran parte dell’Europa e dell’America del Nord, e periodi meno freddi (periodi interglaciali) in cui i ghiacciai si ritiravano. In realtà vi è un’altra suddivisione a monte che vede le ere glaciali come quelle caratterizzate dal fatto di avere entrambe le calotte polari ghiacciate, a cui appartengono sia i periodi glaciali che interglaciali di cui sopra, contrapposte alle ere interglaciali, che non le hanno. Ere glaciali e interglaciali hanno durate dell’ordine di milioni di anni. La nostra attuale era glaciale è iniziata compiutamente qualche milione di anni fa. All’interno di essa i periodi glaciali più
antichi duravano 100.000 anni, quelli più recenti 40.000. L’ultimo periodo glaciale, la cosiddetta glaciazione di Würm, dovrebbe essere fi nita da circa 10.000 anni: siamo dunque in un periodo interglaciale. Le cause dei periodi glaciali sono ritenute di natura essenzialmente astronomica; cioè derivano dai moti relativi di Sole, Terra e di altri corpi celesti che si attraggono gravitazionalmente. Si pensa che fu il francese Joseph Adhemar, nell’ottocento, a ipotizzare per primo una connessione tra periodi glaciali a fenomeni astronomici, ma ai primi del novecento, il serbo Milutin Milankovitz fu il primo ad occuparsene con completezza. È indubbiamente l’energia solare a fornire alla terra primariamente l’energia di cui vivere: la posizione reciproca della Terra rispetto al Sole e agli altri corpi celesti non è costante, a parte le note variazioni giornaliere e annuali. Milankovitz formulò la cosiddetta “teoria astronomica delle glaciazioni” con cui egli individuò essenzialmente tre tipi di variazioni periodiche, caratterizzate da lunghissimi periodi, dai 40.000 ai 400.000 anni: “lentissime” se paragonate al nostro quotidiano, ma paragonabili ai tempi delle glaciazioni. Vi è la variazione dell’eccentricità dell’orbita che la Terra compie intorno al Sole durante un anno, cioè l’orbita va da quasi circolare a “meno” circolare, principalmente a causa dalla presenza di Giove e Saturno; vi è la variazione rispetto alla verticale dell’inclinazione dell’asse terrestre, da 22.1 gradi a 24.5 gradi; ed infi ne vi è un moto di tipo “processionale” per cui l’asse terrestre, come puntatore, descrive un’orbita nello spazio, che si combina con la rotazione dell’orbita terrestre. Tutte queste variazioni periodiche infl uiscono su quantità e distribuzione di radiazione solare incidente sul nostro pianeta, e di conseguenza sul suo clima. Vi sono ancora dei problemi rispetto a tale teoria, in quanto essa spiega solo approssimativamente il fenomeno delle glaciazioni: ad esempio non le spiega quantitativamente: si ipotizzano infatti meccanismi amplifi catori. Per ciò che concerne le variazioni glaciali a scala molto più “corta”, l’insigne glaciologo Umberto Monterin, valdostano, nella raccolta di alcuni studi sul decennio tra anni venti e trenta del novecento, esaminando tutti i ghiacciai alpini italiani all’epoca in crescente censimento, arrivò alla conclusione che essi erano oggetto di alternante progresso e regresso, non in contemporanea sull’intero arco alpino, con dei regressi, come quello del 1860 da cui essi non si erano più ripresi. Egli identifi cò nelle estati fresche ed inverni miti la situazione climatica favorevole all’espansione glaciale e in estati calde e inverni freddi quella favorevole al regresso. Pose come fattore essenziale in tale contesto la temperatura, in quanto considerò la precipitazione come fattore largamente dalla temperatura. Sempre Umberto Monterin, considerando le variazioni glaciali dei secoli passati “recenti”, nel suo “Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica” del 1936, sostenne la tesi che prima dei grandi sviluppi glaciali del XVII secolo e della prima metà del XIX, il clima alpino fosse molto più mite di quello attuale e pervenne a questa tesi attraverso l’esame della canalizzazione costruita dal XIII alla fi ne del XV secolo e l’esame di reperti del limite superiore di alberi e coltivazioni Questa tesi è sostenuta anche da altri studiosi. In Europa starebbe incominciando un raffreddamento del clima a partire dal XIV secolo sino al XIX secolo. In tale periodo, che si ricorda come “piccola era glaciale”, si ebbero eccezionali gelate senza precedenti noti storici: uno fra tutti le gelate del Tamigi. I ghiacciai, in Europa, raggiunsero la massima estensione storica intorno al 1830. Il periodo tra fi ne del XVII e il XVIII, che si suole ricondurre ad un clima particolarmente rigido, viene connesso ad una ridotta attività solare (poche macchie).
Il rapporto tra caratteristiche solari e clima è molto criticato, perché si ritiene l’infl uenza sia troppo piccola per giustifi care variazioni evidenti. Anche altri elementi naturali sono sotto esame: le eruzioni vulcaniche hanno contribuito, ad esempio, all’abbassamento della temperatura, sicuramente in alcune zone. A questo si aggiunge l’infl uenza sul clima da parte dell’ attività umana, noto come “effetto serra”, che si ritiene iniziato intorno agli anni cinquanta del novecento e di cui si è ampiamente già discusso in questa rivista.
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- Amato Vassoney, ex guardiacaccia della riserva Dondena;
- Barbara Villone, ricercatrice Osservatorio Astrofi sico Torino, INAF.
Bibliografia:
- U. Monterin - Le variazioni periodiche dei ghiacciai, Raccolta di scritti, Vol. IV, a cura di Augusta Vittoria Cerutti, Aosta 1990.
- U. Monterin - Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica? CNR Comitato.