Attività estrattive
Dall’entrata in vigore delle nuove norme le imprese estrattive, al fine del conseguimento dei necessari titoli abilitativi, hanno dovuto presentare oltre al progetto tecnico di coltivazione anche il progetto di recupero ambientale.
IL RECUPERO AMBIENTALE DELLE CAVE
Renato Stevanon
Funzionario del Servizio cave, miniere e sorgenti
Nell’ultimo trentennio la tutela dell’ambiente ha assunto sempre maggiore importanza dando impulso a numerose iniziative politiche e legislative a livello mondiale, europeo, nazionale e regionale, che hanno coinvolto anche il settore estrattivo.
L’esigenza di approvvigionamento di materie prime per l’industria o per la realizzazione di opere e interventi di competenza dello Stato, della Regione, dei Comuni, di ogni altro ente pubblico e dei privati non può più prescindere dalla necessità di tutela del territorio e dell’ambiente.

L’attività di coltivazione delle cave e delle miniere ha sempre rappresentato per l’ambiente un forte elemento d’impatto in relazione:
• alle tecniche di lavorazione adottate;
• ai tempi necessari per lo sfruttamento dei giacimenti.
I fattori negativi in fase di coltivazione di cave e miniere sono principalmente:
• la produzione e l’emissione di polveri;
• gli impatti acustici;
• gli impatti visivi;
• le problematiche legate ai trasporti.
 
Una evidente nonché negativa eredità del passato è rappresentata dal mancato ripristino o recupero ambientale delle aree estrattive sfruttate. Tale mancanza ha lasciato profonde ferite nell’ambiente parzialmente rimarginate grazie ad uno spontaneo seppur lento fenomeno di rinaturazione.

Mentre l’attività mineraria in senso classico (coltivazione dei minerali solidi appartenenti alla prima categoria così come indicato all’art. 2 del Regio Decreto n. 1443/927), in Valle d’Aosta, è praticamente inesistente (fatta eccezione per la coltivazione delle acque minerali e termali) l’attività di coltivazione delle cave, nonostante la crisi economica che sta vivendo il settore, è ancora attiva per quanto riguarda la coltivazione degli inerti (sabbie e ghiaie), del pietrame, dei marmi e delle pietre affini ad uso ornamentale.

Fino alla fine degli anni ‘80, in Valle d’Aosta il coltivatore era abilitato all’esercizio dell’attività di cava previa presentazione, al Comune territorialmente interessato, della denuncia di esercizio così come previsto dal D.P.R. n. 128/1959. Qualora la coltivazione fosse stata attuata in zone vincolate lo stesso coltivatore doveva acquisire anche gli assensi delle strutture regionali deputate alla tutela dei vincoli pubblicistici presenti.
Non essendo prevista la presentazione di progetti di ripristino o di recupero ambientale le aree sfruttate e compromesse erano, nella maggioranza dei casi, abbandonate a se stesse. La vigilanza dell’attività estrattiva, in Valle d’Aosta, fino alla fine degli anni ‘80 era svolta prevalentemente dal Corpo Nazionale delle Miniere del Ministero Industria Commercio ed Artigianato ed era finalizzata essenzialmente agli aspetti legati alla sicurezza.

Dal 1987 la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha iniziato a produrre proprie normative minerarie al fine di disciplinare, sulla base delle norme statutarie e statali, l’attività di coltivazione dei giacimenti delle sostanze minerali industrialmente utilizzabili sul proprio territorio.
Di seguito si riportano, in breve sintesi le normative prodotte evidenziando i principali contenuti delle stesse:

• La legge regionale 22 dicembre 1987, n. 108 concernente “Norme per il recupero dei materiali inerti naturali ai fini delle opere pubbliche e per il riassetto delle escavazioni abbandonate” prevedeva che l’Amministrazione regionale:
- determinasse i quantitativi e le qualità delle materie prime (inerti e pietrame) per la realizzazione di opere e interventi pubblici e privati. La coltivazione di tali materiali rientra nella 2° categoria (coltivazione di cava) così come indicato all’art. 2 del R.D. 1443/1927;
- definisse il piano regionale delle attività estrattive (P.R.A.E.) nel quale fossero individuate le aree nelle quali l’attività di coltivazione di cava avrebbe potuto continuare o iniziare;
- provvedesse a individuare le aree di cava dismesse e a valutarne la loro possibile riutilizzazione o il loro recupero ambientale.

• La legge regionale 19 ottobre 1989, n. 67 concernente “Coltivazione di cave e torbiere e relativa Polizia Mineraria” prevedeva:
- l’obbligo dell’ottenimento, da parte del coltivatore, dell’autorizzazione, della Giunta regionale, alla coltivazione sia per le cave già in atto che per le nuove cave;
- l’applicazione della disciplina esclusivamente alle cave di materiali inerti (sabbie e ghiaie) ed alle cave di pietrame;
- la presentazione, da parte del coltivatore, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, di un progetto di coltivazione nonché di un progetto di ripristino o recupero ambientale;
- l’istituzione della Commissione tecnico-consultiva che si esprimeva tenuto conto di tutti i pareri raccolti nella fase istruttoria;
- l’obbligo della costituzione, da parte della Ditta autorizzata alla coltivazione, di una cauzione o di idonee garanzie relativamente agli interventi atti a garantire la ricomposizione dell’ambiente naturale alterato.

• La legge regionale 26 maggio 1993, n. 61 concernente “Integrazioni e modifiche alla legge regionale 22 dicembre 1987, n. 108, concernente norme per il recupero dei materiali inerti naturali ai fini delle opere pubbliche e per il riassetto delle escavazioni abbandonate, alla legge regionale 19 ottobre 1989, n. 67, concernente coltivazione di cave e torbiere e relativa polizia mineraria nonché norme particolari in materia di marmi e pietre affini ad uso ornamentale” oltre che apportare alcune leggere modifiche alle precedenti normative regionali estendeva le disposizioni già applicate agli inerti e al pietrame anche alle cave di marmo e delle pietre affini ad uso ornamentale prevedendo anche per queste ultime l’obbligo della ricomposizione ambientale.

• La legge regionale 11 luglio 1996, n. 15 concernente “Norme per la coltivazione di cave e torbiere, per il reperimento dei materiali di cava e per il riassetto delle cave abbandonate” era, di fatto, il testo unico che, essenzialmente, accorpava le disposizioni contenute nelle precedenti normative.

• Legge regionale 13 marzo 2008, n. 5 concernente “Disciplina delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali, di sorgente e termali”, tuttora vigente, oltre che apportare alcune modifiche e integrazioni alla previgente norma regionale (15/1996) completa il quadro normativo in merito alle attribuzioni conferite alla Regione in materia di attività estrattive dei minerali solidi di cava, di miniera, delle acque minerali naturali, di sorgente e termali.
Lo spirito che ha sempre spinto alla stesura delle succitate norme perseguiva, in modo particolare, i seguenti obiettivi:
• la possibilità della Regione di determinare criteri, finalizzati ad un corretto sfruttamento delle risorse minerarie, in coerenza con il contesto sociale ed economico valdostano;
• la necessità di contemperare l’esigenza di approvvigionamento delle risorse minerarie con la salvaguardia dell’ambiente e del territorio.

Vale la pena di ricordare che, con successiva legge regionale 18 aprile 2008, n. 12 recante “Disposizioni per la valorizzazione dei siti minerari dismessi”, anche le aree minerarie dismesse possono essere oggetto d’interventi di riqualificazione ambientale finalizzati sia alla loro messa in sicurezza che alla loro eventuale valorizzazione.

Dall’entrata in vigore delle nuove norme le imprese estrattive, al fine del conseguimento dei necessari titoli abilitativi (autorizzazione, permesso di ricerca, concessione), hanno dovuto presentare oltre al progetto tecnico di coltivazione anche il progetto di recupero ambientale. I nuovi progetti presentati dovevano tenere conto di alcuni basilari principi che di seguito si riportano:
1. razionale e completo sfruttamento delle risorse;
2. utilizzo di modalità di intervento, tecniche di coltivazione e macchinari atti a minimizzare gli impatti ambientali (produzione ed emissioni di polveri, impatti acustici impatti visivi) in fase di coltivazione;
3. coerenza tra il piano di coltivazione della cava e il progetto di recupero del sito;
4. recepimento delle esigenze del territorio e delle comunità locali;
5. sicurezza del luogo di lavoro;
6. sicurezza nelle zone circostanti l’area di cava;
7. utilizzo per i ripristini/recuperi ambientali di:
- materiali (terra vegetale e inerti per i ritombamenti e profilature) compatibili, dal punto di vista sanitario e geologico, con le aree da recuperare;
- essenze vegetali e arboree adatte al contesto ambientale.

In merito a quanto sopra riportato si precisa che:
• Punto 1: il principio ricorrente in materia di giurisprudenza mineraria e che si evince dall’analisi delle normative italiane di settore degli ultimi 150 anni prevede, in sintesi, che la coltivazione delle sostanze minerali presenti nel sottosuolo debba essere condotta il più celermente possibile fi no al completo esaurimento del giacimento.
• Punti 2 e 4: i prevedibili impatti ambientali nonché l’analisi delle esigenze del territorio e delle comunità locali sono valutati prioritariamente in sede di approvazione del P.R.A.E. (Piano regionale delle attività estrattive relativo agli inerti, al pietrame ai marmi e alle pietre affini ad uso ornamentale) e nella Conferenza dei Servizi durante l’esame dei singoli progetti.
• Punto 3: la coerenza tra il piano di coltivazione del giacimento ed il progetto di recupero ambientale del sito può permettere un migliore reinserimento delle aree compromesse dall’attività estrattiva nel paesaggio e può, laddove possibile, consentire la realizzazione di parziali interventi di recupero ambientale già in fase di coltivazione.
• Punti 5 e 6: la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro e dell’ambiente esterno alla cava/miniera può essere garantita dall’attività di vigilanza delle strutture regionali e dall’applicazione di specifiche norme di settore.
• Punto 7: le modalità di esecuzione degli interventi di recupero ambientale sono eseguite, inoltre, nel rispetto delle indicazioni impartite dall’Autorità forestale e/o dei tecnici agrari della Regione.

I danni ambientali provocati da tutte le attività antropiche sia pregresse che in atto possono essere “riparati” con diverse metodologie di intervento.
Per quanto riguarda l’attività estrattiva ne indico essenzialmente tre:

1.
Interventi di ripristino ambientale. L’intervento di ripristino tende a ricostruire la configurazione planoaltimetrica, le forme e i tipi di vegetazione per le destinazioni d’uso presenti in una determinata area prima del suo sfruttamento minerario. In molti casi gli interventi di ripristino consentono non solo di riportare l’ambiente alle condizioni originarie, ma anche a migliorarne il suo futuro utilizzo.

2.
Interventi di recupero ambientale. Per recupero ambientale si può intendere l’intervento di restauro che mira a mascherare le ferite prodotte sul paesaggio dall’attività estrattiva soprattutto nei casi in cui non sia più possibile intervenire con interventi di ripristino totale. Questa tipologia d’intervento è proponibile soprattutto nelle aree estrattive di versante (pietrame e marmo) nonché nelle aree compromesse e abbandonate prima dell’entrata in vigore delle normative regionali. Nella ricostruzione di un ecosistema mediante recupero si dovrebbe perlomeno tentare di armonizzare, nel modo meno artificioso possibile, l’intervento da eseguire con l’ambiente naturale circostante.

3.
Interventi di riconversione ambientale. Per interventi di riconversione ambientale si possono intendere tutti quegli interventi che prevedano sia un’attività di recupero ambientale che un’attività di valorizzazione delle aree estrattive (cave e miniere) per le quali può essere prevista una diversa destinazione d’uso rispetto alla situazione precedente l’intervento estrattivo.
Le aree estrattive compromesse e i vuoti sotterranei prodotti da attività di coltivazione, sia pregresse che in atto, di cave e miniere possono essere recuperati e riutilizzati in molteplici modi.

Le cave di inerte coltivate in falda posizionate, nella maggior parte dei casi, nel fondo valle in zone alluvionali possono essere utilizzate dopo l’intervento estrattivo per:
• la creazione di aree sportive previo ritombamento con materiali provenienti da altri scavi purché non contaminati e compatibili con le aree di destinazione;
• la creazione, come già avvenuto nel passato, in presenza della falda, di ambienti lacustri artificiali, utilizzati ad esempio per la pesca sportiva.
Ovviamente in questi casi il cavatore risparmia l’esecuzione dei lavori di ritombamento e di ripristino dello strato vegetale.

I vuoti generati dalla coltivazione delle cave di pietrame normalmente posizionate alla base di fronti rocciosi dove i ripetuti crolli di parete hanno creato nei millenni le formazioni geologiche denominate “clapey” possono essere utilizzati, dopo l’intervento estrattivo, per la creazione di discariche di inerti.

Nelle cave di marmo (raramente cave di pietrame) di versante coltivate a cielo aperto in ammassi rocciosi dove ovviamente è improponibile l’esecuzione di interventi di ripristino ambientale, così come sopra descritti, possono essere attuati:
• interventi di recupero ambientale minimizzando e/o mascherando, per quanto possibile, le ferite, a volte eccessivamente “geometriche” come i gradoni, inferte alle pareti rocciose a causa delle tecniche di coltivazione impiegate (filo diamantato esplosivi ecc.);
• interventi di riconversione ambientale mediante utilizzo della configurazione morfologica dei siti per realizzare palestre di roccia, poligoni di tiro ecc.;
• interventi di valorizzazione dei siti in tema di archeologia industriale. In questi casi la visita alle cave di marmo potrebbe implementare il pacchetto delle offerte turistiche e culturali del territorio.

Particolare interesse riveste la presenza di vuoti sotterranei dismessi prodotti dalla pregressa attività estrattiva di cave e miniere non solo nell’ambito della realizzazione degli interventi di valorizzazione del patrimonio minerario regionale di cui alla legge regionale 18 aprile 2008, n. 12 recante “Disposizioni per la valorizzazione dei siti minerari dismessi” ma anche per eventuali diversi utilizzi degli stessi.
cava di inerti a Brissogne
All’interno di numerosi vuoti sotterranei la temperatura e l’umidità risultano pressoché costanti durante tutto l’anno. Queste peculiarità fisiche unitamente ad eventuali particolari caratteristiche chimiche degli ambienti possono consentire, come già avviene in diverse parti del mondo, lo svolgimento di attività produttive come ad esempio la stagionatura di prodotti alimentari, la coltivazione di funghi ecc. o l’eff attuazione di terapie sanitarie.
Altre forme di destinazione d’uso all’interno di miniere dismesse possono/ potrebbero essere l’installazione di impianti tecnologici, lo stoccaggio provvisorio di materie prime, linstallazione di captazioni idriche, lo stoccaggio di rifiuti ecc.

cava di marmo verde a VerrayesIn Valle d’Aosta esiste un esempio molto importante di riutilizzo dei vuoti sotterranei prodotti dalla pregressa attività mineraria. Dal 1964 la galleria Santa Barbara della miniera abbandonata di rame di Preslong nel comune di Valpelline è utilizzata per la stagionatura e la conservazione del formaggio.
L’esperienza maturata negli ultimi venti anni, ossia da quando si è costituita la struttura regionale competente in materia di attività estrattive, oggi denominata Servizio cave, miniere e sorgenti, non può che far stilare un consuntivo positivo in merito all’applicazione delle norme minerarie regionali soprattutto in relazione alla sostenibilità ambientale dell’attività di coltivazione.
In tutte le cave, autorizzate ai sensi delle norme minerarie regionali, in cui l’attività di coltivazione è stata ultimata hanno visto completato pure il recupero o il ripristino ambientale delle aree compromesse con risultati indubbiamente positivi per l’ambiente. In queste aree restituite all’ambiente gli ultimi ritocchi saranno ulteriormente apposti, nel corso delle stagioni e degli anni a venire, dalla mano sapiente della natura.
   
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