La raccolta di minerali da collezione è un hobby che unisce molti appassionati, conoscitori, studiosi di mineralogia ed escursionisti amanti delle bellezze naturali.
Sono indispensabili delle buone capacità di osservazione, conoscenza del territorio e una buona dose di fortuna per trovare filoni mineralizzati che ti portano a volte a operare in zone che richiedono doti e impegno fisico notevole, ma che ti fanno anche ammirare e conoscere paesaggi selvaggi, incontaminati e incontrare animali nel loro ambiente naturale.
La catena alpina è sicuramente una delle zone più interessanti e frequentate nonché generose per gli appassionati di mineralogia.
Le Alpi sono un segmento del sistema orogenico alpino-himalayano; si tratta di catene montuose molto giovani, di età Cretacico-Cenozoica, generate dalla progressiva chiusura, in subduzione, dell’oceano mesozoico della Tetide (di cui il bacino oceanico ligure-piemontese ne costituiva una ramificazione) e dalla collisione tra il continente eurasiatico ed i blocchi continentali africano, arabico ed indiano.
Nel Giurassico (200-150 milioni di anni), movimenti relativi dell’Africa rispetto all’Eurasia provocarono la formazione di due grandi fratture orientate E-W che spezzarono l’unità della Pangea isolando alcune placche intermedie che vennero progressivamente separate dalla formazione di fasce di mare, assumendo in modo sempre più netto le caratteristiche oceaniche. In questa dinamica si inquadra l’origine dell’oceano Ligure-Piemontese, dalla cui evoluzione ha preso avvio la formazione della catena alpina.
Il Massiccio del Monte Bianco è costituito da un basamento polimetamorfico pre-Carbonifero e da un nucleo intrusivo di natura granitica.
Il rilevamento di Franchi e Stella (1912) attribuisce al “precarbonifero” le rocce polimetamorfiche che costituiscono la parte SW del massiccio; esse sono descritte come “gneiss e micascisti sericitici” e “gneiss e micascisti biotitici con lenti di anfiboliti e filoni di apliti”.
Il nucleo intrusivo, per il quale viene adottata la denominazione di “protogino” (che indicherebbe un’età più antica di quella delle rocce circostanti), viene considerato come un corpo roccioso molto omogeneo e descritto come “granito con quarzo in grandi elementi, povero in biotite, sovente con tessitura milonitica.”
Studi più recenti (Baggio, 1958; Marro, 1987) suddividono il granito del Monte Bianco in tre tipi principali di rocce:
1) “coarse-grained to porfiric granites”, graniti ricchi di cristalli centimetrici di K-feldspato, caratterizzano il settore centrale del corpo intrusivo;
2) “medium-grained granites”, graniti con meno biotite e più quarzo del tipo precedente, caratterizzano le zone più esterne del plutone;
3) “fine-grained granites”, graniti poveri in biotite e plagioclasio ma relativamente ricchi di filoni aplitici, molto diffusi nella zona meridionale del massiccio.
La mineralizzazione del massiccio del Monte Bianco è riconducibile all’orogenesi alpina.
Le alpi sono in continuo ringiovanimento a causa della doppia azione di sollevamento ed erosione che provocò in questa vecchia intrusione di granito, la formazione di fratture aperte (“fentes alpines”).
Le fenditure delle rocce, legate allo stiramento e sollevamento, furono percorse da fluidi di origine idrotermale, il cui lento raffreddamento consentì la crescita dei cristalli.
Metodi nucleari di datazione applicati alle adularie (silicato di potassio) hanno dato un’età di formazione pari a circa 18,5 milioni di anni.
Alcuni quarzi contengono bolle d’acqua (enidri). L’analisi di quest’acqua ha permesso di calcolare le condizioni termodinamiche di crescita dei quarzi; la temperatura di formazione fu di circa 400 °C e la profondità di circa 16 km corrispondente ad una pressione di 380 MPa.
Il quarzo (SiO2) e la fluorite (CaF2) sono sicuramente i minerali sovrani del Monte Bianco e ne sono stati trovati campioni di qualità eccezionale, apprezzati dai collezionisti di tutto il mondo.
La paragenesi (intesa come l’associazione di minerali formatisi insieme o successivamente, ma sempre nello stesso processo genetico di una roccia magmatica) appare molto diversa nelle due valli laterali.
La Val Veny è da ritenersi la più ricca in termini di minerali e di associazioni mineralogiche rinvenute (quarzi ialini, zeoliti, epidoti, bissolite, sideriti, anatasi, e minerali rari), mentre nella Val Ferret, l’associazione mineralogica tipica è composta prevalentemente da quarzi fumé e fluoriti rosa (bacini del Triolet, Pré de Bar, Freboudze).
A livello scientifico, occorre comunque evidenziare come la parte meridionale del massiccio del Monte Bianco sia stata da sempre oggetto di interesse da parte di numerosi collezionisti italiani e stranieri per via della presenza di particolari cristalli di quarzo (ialini e fumés) aventi abiti cristallini del tutto particolari, conosciuti come “elicoidali” e “piatti”.
I quarzi elicoidali (detti peigné dai francesi e gwindel dagli svizzeri) sono il risultato di una crescita parallela sulla matrice di cristalli biterminati, ma gli assi principali dei cristalli sono ruotati tra di loro e danno una forma ad elica al campione.
Studi effettuati hanno ipotizzato che questa non comune forma di cristallizzazione è dovuta alla piroelettricità durante la cristallizzazione, quando cariche elettriche positive e negative si svilupparono simultaneamente su parti differenti dello stesso cristallo in formazione come conseguenza di differenze di temperatura.
Un altro abito dei quarzi estratti dalle fessure del Monte Bianco, in particolare nella Val Veny, è il faden (detto “à ame” dai cristalliers francesi).
Questi sono relativamente comuni e sono il risultato di una crescita parallela di cristalli piatti biterminati, ma senza angolo di torsione.
Essi sono simili ai gwindel, anche se senza angolo di torsione, e mostrano fantasmi di crescita al loro interno.
Nella restante parte del territorio regionale, in particolare nel settore medio-orientale, affiorano le serpentiniti (silicati idrati di magnesio), un particolare tipo di roccia che è il prodotto dell’idratazione, originatasi direttamente dal mantello terrestre, al di sotto della crosta oceanica, e in seguito metamorfosata (cambiamenti mineralogici e strutturali legati a variazioni di pressione e/o temperatura) e portata in superficie durante l’orogenesi alpina (sollevamento e formazione della catena alpina).
Le serpentiniti, hanno struttura da massiccia a fortemente scistoso-laminata, intercalate occasionalmente a noduli di clorite e talco (pietra ollare), presentano un colore da verde brillante a nerastro, sono generalmente fratturate in modo pervasivo e talvolta includono al loro interno lenti rodingitiche (silicati ricchi di calcio, in particolare epidoti e granati) e diffusa magnetite.
I filoni rodingitici si trovano normalmente intercalati alle suddette serpentiniti e derivano da protoliti gabbrici a grana sovente pegmatoide. Si riconoscono facilmente per il colore vivace, su toni rosa, gialli e verdognoli, in netto contrasto con le serpentiniti incassanti. Sono costituiti da diopside pseudomorfo (talora con clorite e/o granato) su clinopirosseno magmatico, anche pluricentimetrico, in matrice di granato (grossularia-andradite), epidoto, clorite, vesuviana, prehnite, sviluppata sui siti del plagioclasio primario. Tipiche le salbande di clorito scisti verde chiari a diopside e rara magnetite.
È
in questo contesto alpino, in un area di particolare interesse geologico e scientifico, compresa tra lo spartiacque che unisce il mont Lyan il Babeston le Banchette fino alla dora Baltea, nei comuni di Chatillon, Montjovet e Champdepraz, che sono stati fatti ritrovamenti di notevole interesse scientifico, mineralogico e collezionistico.
Si riportano brevemente di seguito alcune delle più significative specie mineralogiche rinvenute:
Granati: minerale che cristallizza nel sistema cubico. Quando si parla di granato, solitamente viene subito associato il colore rosso, in realtà si presenta, in base alla variabilità chimica, in più svariati colori: rosso, rosa, arancione, giallo, verde, bruno, nero, bianco.
Le tipologie principali dei granati sono sei:
piropo,
almandino,
spessartina,
uvarovite,
grossularia e
andradite, tutte presenti nel nostro territorio.
Per la loro particolare e complessa geminazione e pregio i più ricercati sono l’
andradite varietà
topazolite con cristalli dodecaedrici rombici di colore solitamente giallo, varietà
melanite con cristalli rombici dodecaedrici di colore nero e varietà
demantoide con cristalli di colore verde; la
grossularia varietà
hessonite di colore rosso.
Diopside: minerale del gruppo degli inosilicati (Pirosseni) che cristallizza nel sistema monoclino. Si presenta in cristalli prismatici allungati, più spesso in aggregati colonnari e granulari di colore verde, giallo, azzurro, bruno e biancastro. Questo minerale è pesante, duro, fragile e insolubile in acido.
Epidoto: appartiene alla categoria dei sorosilicati e cristallizza nel sistema monoclino. Si presenta in cristalli prismatici allungati e con frequenti striature e anche in aggregati fibrosi e bacillari, di colore verde scuro, verdegiallastro e giallastro.
Vesuvianite: minerale del gruppo dei sorosilicati che cristallizza nel sistema tetragonale. Si presenta con cristalli prismatici tozzi in aggregati colonnari con facce fittamente striate di colore bruno o verde oliva. Può essere opaca, ma anche traslucida o trasparente, con lucentezza da vitrea a resinosa. È molto ricercata per l’eleganza delle sue forme e la varietà dei suoi colori, in particolare quella delle Banchette, che è considerata la più bella del mondo.
A titolo di informazione si elencano altri minerali rinvenuti: l’artinite, l’apatite, la goldmanite, la magnetite, la titanite, la perowskite, la pennina, la prehnite, l’uvarovite e l’aragonite.
Non esiste a livello nazionale una normativa di riferimento per quanto riguarda la ricerca e la raccolta dei minerali da collezione.
Soltanto a livello regionale e provinciale alcune regioni e province si sono dotate di norme che regolano la ricerca e la raccolta dei beni mineralogici: Lombardia, Piemonte, Provincie autonome di Trento e Bolzano...
La Regione Autonoma Valle d’Aosta ha necessariamente sentito l’esigenza di riscrivere una nuova disciplina in materia di tutela dei fossili e dei minerali da collezione fornendo gli strumenti necessari a colmare le carenze della vecchia normativa (legge regionale 23 febbraio 1981, n. 15) per assicurare una migliore conservazione del proprio patrimonio mineralogico e naturalistico.
La legge regionale 15 aprile 2008, n. 10 “disposizioni per la tutela dei fossili e dei minerali da collezione” disciplina e tutela la ricerca e la raccolta dei fossili e dei minerali da collezione e individua i siti del patrimonio mineralogico di particolare valore naturalistico e le zone dove è fatto divieto di ricerca e raccolta.
La Giunta regionale, inoltre, può autorizzare dipartimenti, istituti universitari e musei naturalistici alla ricerca e alla raccolta nelle zone vietate dettando le prescrizioni concernenti l’attività di estrazione e di recupero del sito.
È istituito un registro regionale dei ricercatori e raccoglitori e chiunque intenda svolgere l’attività di ricerca o raccolta deve darne comunicazione scritta al Presidente della Regione che rilascia l’attestato.
Questo costituisce autorizzazione allo svolgimento della sola attività di ricerca nei limiti e termini stabiliti dalla legge, mentre l’autorizzazione alla raccolta (i cui esemplari non devono superare i dieci chilogrammi giornalieri pro capite) è rilasciata dal Comune competente per territorio, eccezion fatta per le zone vietate.
È consentita la piccola raccolta di minerali che si trovano in frammenti sciolti superficiali, su tutto il territorio regionale, ad eccezione sempre delle aree vietate. Per i trasgressori sono stabilite misure sanzionatorie.
Fonti:
- Dal Piaz G.V. et alii (2008) - Note illustrative della carta geologica d’Italia alla scala 1:50000-Foglio 091 (Chatillon).
- Dal Piaz G. V., a cura di (1992) - Le alpi dal Monte Bianco al lago Maggiore. Guide geologiche Regionali, Be-Ma - Società Geologica Italiana.
- Fotografie eseguite da Tripodi Natale.