I SISTEMI NATURALI
Pascoli e boschi erano in antico, per la maggior parte, "terre comuni" e l'uso delle loro risorse era strettamente regolamentato.
USI CIVICI E TERRE COMUNI
di Paola Sapia
Per molti la proprietà collettiva e le terre ad uso civico costituiscono un oggetto misterioso e per alcuni sono un'anticaglia del passato. Invero, pochi riflettono sul fatto che la proprietà collettiva o le terre ad uso civico significano terre e diritti della collettività locale.
Il tema dell'uso civico, delicato e complesso, ha affascinato soprattutto gli storici del diritto e gli studiosi che hanno rivolto lo sguardo prevalentemente sul versante del diritto pubblico, alla ricerca dell'esatta collocazione sistematica del godimento collettivo di quelle popolazioni che potevano invocarne il diritto.
L'uso civico nacque per dare sostentamento vitale alle popolazioni, dal momento che la terra rappresentava l'unico elemento dal quale trarre i prodotti necessari alla sopravvivenza.
Gli usi civici sono diritti che le popolazioni locali manifestano utilizzando un determinato territorio per il pascolo, il legnatico, ecc..., tali diritti, prima dell'unità d'Italia, assumevano appellativi diversi ed erano esercitati con diverse modalità.
La legge 1766 del 16/6/1925 unifica la materia, comprendendo nella dizione "usi civici" tutti i diritti collettivi, i cui titolari sono i singoli cittadini componenti la collettività. Dopo l'emanazione della legge (in verità già dal RD 751/24, poi convertito in legge nel 1927), presso i Commissariati Regionali agli Usi Civici, i magistrati ivi operanti iniziarono una complessa serie di accertamenti, definiti istruttorie demaniali, tesi a verificare l'esistenza e la consistenza di usi civici in favore delle popolazioni.
Il dato giuridico originario è dunque costituito dalla proprietà collettiva; successivamente, mentre in certe zone dell'arco alpino site a quote più meno alte si è conservata pressoché immutata, nel resto d'Italia ha subito violenze, manomissioni ed erosioni e la titolarità del diritto si è andata mano a mano svuotando, riducendosi per lo più a simulacro di quello che era un tempo. Il giurista si trova pertanto ad affrontare un compito davvero improbo: trovare un modo di inquadrare questi usi entro modelli tecnici a disposizione. Se non sono più proprietà, che è andata svuotandosi e scolorendosi, possono essere configurati come servitù o come oneri reali? In ogni caso, come figure reali minori rispetto all'assolutezza ed all'intensità della proprietà.
Per alcuni la proprietà collettiva è soltanto il punto di partenza di una vicenda storica e giuridica molto lunga e molto articolata che oggi si esprime in forme diverse, per altri, la proprietà collettiva continua ad essere un dato attuale e permanente il cui titolare, che in origine era il gruppo (la comunità, la collettività) degli abitanti come insieme indifferenziato, oggi è un ente di pubblica amministrazione come potrebbe esssere il Comune, che però non è succeduto pienamente al gruppo titolare originario. Bisogna inoltre ricordare che vi sono altri studiosi ancora che sostengono che la proprietà collettiva sostanzialmente non c'entra ma è sufficiente considerare tale diritti come diritti reali parziari.
Questo tipo di discussione giuridica, ci pone di fronte alla realtà degli usi civici con atteggiamenti molto diversi tra loro, e soprattutto ci costringe ad imputare i beni ad uso civico a soggetti proprietari diversi: infatti, se il modello è quello della proprietà collettiva, il soggetto proprietario sarà ancora oggi la collettività degli utenti, e l'ente Comune sarà solo colui che li rappresenta nei rapporti esterni; se il modello è quello dei diritti reali parziali, il soggetto proprietario sarà invece il Comune, e i singoli non saranno altro che utenti, cioè titolari di diritti reali limitati (parziari) sul bene.
Un'interpretazione ricorrente della legge del 1927 è quella che distingue gli usi civici su terre private dagli usi civici su terre di dominio della collettività: quelli su terre private potrebbero essere assoggettati a liquidazione o alla fissazione di un canone atto a compensare il diritto di uso civico non più esercitato a favore della popolazione, oppure con il distacco di una parte del terreno, da destinare al Comune. Gli usi civici su terre di dominio della collettività stabiliscono che nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente, l'uso civico può essere destinato a durare indefinitamente; nelle terre utilizzabili a coltura agraria, invece, il fondo agricolo può essere quotizzato, cioè essere ripartito in quote ed assegnato alle famiglie di coltivatori diretti del Comune, a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un canone.
I profondi cambiamenti intervenuti nell'uso e la mutata importanza delle risorse primarie ma anche la difficoltà ad inquadrare un istituto giuridico così antico ma così anomalo, per quanto affascinante, riducono grandemente la spinta alla proprietà collettiva. La crisi dell'agricoltura e delle aziende agricole montane ha rotto l'integrazione tra le aziende private e le proprietà comuni, determinando rapporti labili, almeno sotto il profilo strettamente economico oltre che sociale.
È tuttavia necessario ricordare il grande rilievo di carattere culturale e di tutela dell'ambiente che la proprietà collettiva ha avuto in passato ed il grande valore sociale e di appartenenza che continua ad avere oggi, specialmente nelle aree marginali e forestali estensive delle nostre montagne. La proprietà collettiva è utile anche per dar nuova destinazione a risorse già oggi disponibili per la salvaguardia di grandi ed importanti porzioni di territorio: la polverizzazione della proprietà fondiaria deve essere superata utilizzando forme consortili e facendo leva sull'abitudine che ha la popolazione a riunirsi per risolvere i problemi comuni. Il legame con la proprietà collettiva è garanzia di tutela del bosco, soprattutto in un momento in cui, l'abbandono, l'incustodia, il disinteresse per i boschi è causa di incendi, di distruzioni, di danni innumerevoli che portano spesso alla perdita di una risorsa di così grande interesse ambientale. La prevenzione degli incendi, ad esempio, diventa un impegno di tutta la collettività e tutti gli abitanti sono coinvolti direttamente nel vigilare, nel segnalarli tempestivamente e nel partecipare attivamente all'operazione di spegnimento.
Si tratta di realizzare un diverso modo di possedere, che non sia né pubblico né privato, uscendo in tal modo dalla tenaglia che spesso strozza i dibattiti sulla gestione delle risorse, con soluzioni organizzative adatte, delle nuove strutture di gestione, anche i parchi, ad esempio, visti come aziende capaci di rendere utili economicamente. Gli usi civici mostrano una possibile gestione della risorsa ambientale che sia responsabile e risponda al preciso dovere di conservare il patrimonio naturale e rurale collettivo per le generazioni future, ponendo rimedio a numerosi situazioni attuali in cui i Comuni risultino inadempienti alla gestione dei demani pubblici, il più delle volte in stato di abbandono con a volte anche la presenza sul territorio di discariche abusive.
I beni civici potranno essere estremamente utili anche in futuro in considerazione e nonostante il disimpegno dell'Unione Europea al sostegno dell'agricoltura, solo se si riuscirà a mantenerne la funzione economica e considerando in maniera più estensiva il significato di attività agricola; non intendendola cioè soltanto come produzione di beni ma anche come produzione di servizi. La legge 730/85 sull'agriturismo amplia il concetto di attività agricola mediante tutta una serie di servizi da fornire nell'ambito dell'ospitalità in azienda, come ad esempio la crescente domanda di spazi naturali e di aree sempre più vaste di tutela ambientale.
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