ACQUA E PAESAGGIO
L'acqua è un "sottinteso" del paesaggio, l'elemento che direttamente rileviamo di meno, ma in realtà più determinante nella nostra percezione dell'ambiente.
ACQUA IN TUTTI I SENSI
di Flaminia Montanari
Quando pensiamo al "paesaggio" in astratto, tendiamo a riferirci ad un quadro puramente visivo; mentre se ci vengono alla memoria delle situazioni, il "paesaggio" che fa loro da sfondo è denso di percezioni sensoriali di ogni tipo - i suoni, gli odori, le sensazioni tattili, i gusti : quante volte un odore o un sapore ci richiamano all'improvviso alla mente un ambiente, un episodio o un momento della nostra vita. E di queste percezioni dell'ambiente è l'acqua l'elemento più presente e più ricco.
Se immaginiamo un paesaggio di montagna, le prime cose che ci vengono in mente sono le pareti di roccia, i declivi dei prati, lo sfondo seghettato di cime innevate, l'ombra odorosa di resina dei boschi di conifere. Se ci pensiamo bene però, l'elemento che sottende tutto questo paesaggio e che in qualche modo lo costruisce è l'acqua. Non solo perché è l'acqua che l'ha scavato, inciso, che insomma gli ha dato forma attraverso millenari processi geologici, ma perché è ancora l'acqua che ne alimenta ogni processo vitale, dalla vegetazione alla fauna, è l'acqua che condiziona la collocazione degli insediamenti umani, che costituisce il presupposto di ogni sfruttamento agricolo o industriale.
E a formare la nostra immagine di ambiente l'acqua entra attraverso tutte le nostre facoltà percettive, impegnando i cinque sensi. Per prima la vista, regalando ai nostri occhi una vasta gamma di sensazioni diverse: innanzi tutto l'orizzontalità della sua superficie; là dove l'acqua può fermarsi ed allargarsi in piccoli o grandi specchi, ci dà un'impressione di calma e di distensione; poi la trasparenza, che invita lo sguardo a indagare la sua profondità e a scoprire la natura del fondale - la sabbia, le pietre, le alghe che ci appaiono azzurrate e tremule nell'incresparsi della superficie; oppure lo stesso pelo dell'acqua mosso dalla brezza ci abbàcina con il mutevole luccichìo dei suoi riflessi.
L'acqua crea poi nel paesaggio un tocco di colore che è quasi sempre una sorpresa; la sua compatta stesura, nella possibile gamma infinita di sfumature degli azzurri e dei verdi, si stacca dalle tinte di tutte le altre componenti naturali e viene a costituire per l'occhio il punto focale, a confronto con la minuta e frammentaria trama dei colori di contorno: le masse sfrangiate dei boschi, spesso a più sfumature di verdi per la presenza di essenze diverse, la picchiettatura di grigi verdastri o rugginosi delle pietraie d'alta quota, o il tratteggio giallastro delle erbe di palude.
Ma oltre a queste impressioni materiche e di colore, l'acqua ferma ci offre una delle più intriganti sensazioni visive: la riflessione della luce, oltre a creare attorno agli specchi d'acqua una luminosità particolare che intride di sé ed esalta tutti i colori, crea quello sdoppiamento delle immagini che, con la sua reciprocità allusiva alla difficoltà di decifrazione del rapporto vero/falso, all'intrinseco nesso dell'evento col suo rovescio, alla pluralità delle possibili interpretazioni del reale, ha sempre costituito un tema caro alla rappresentazione del paesaggio, tanto in pittura che nella fotografia.
Ma se l'acqua ferma ci offre l'effetto-specchio, altrettanto ci affascina l'acqua in movimento. L'estrema variabilità del suo moto, l'impressione di un continuo intrecciarsi, annodarsi e rompersi di minuscoli fili, il prorompere in bollicine vorticanti o alzarsi in onde frangiate di schiuma, fanno dei corsi d'acqua uno spettacolo quasi ipnotico: così come sediamo accanto al camino a fissare la danza delle lingue di fuoco, così inafferrabile nel suo continuo mutare, similmente possiamo passare ore a guardare la corrente di un ruscello che si avvolge in piccoli nodi e gorghi attorno alle pietre, per distendersi poi in lunghe ondulazioni, rotte dagli spruzzi di rimbalzo sui sassi e sulle erbe dei bordi, cui regala brillanti goccioline iridate. O ammirare la vaporosa ricchezza delle cascate estive, o la fantasmagorìa luccicante dei ghiaccioli che d'inverno pendono da quegli stessi salti di roccia quasi che la cascata, come la bella della favola, fosse immobilizzata da un incantesimo.
E poi il canto dell'acqua, in mille voci e mille toni, che accompagna il suo movimento e ce lo rende presente nel paesaggio anche quando ancora non la vediamo. Già a distanza possiamo percepire il fruscìo del ruscello che corre tra le piante, il suo risuonare e gorgogliare interrotto quando saltella tra i balzi e i sassi, il ticchettante gocciolìo lungo le rocce, lo scroscio sonoro ed echeggiante della cascata, il coro sommesso del fiume. È una gamma di voci che ci segnala la presenza dell'acqua e che ci indirizza e ci fa conoscere in anticipo ciò che troveremo prima ancora di averlo scoperto con gli occhi. Ogni movimento dell'acqua è un suono che si fonde al fruscìo del vento nell'erba, al brusìo dei rami, al canto degli uccelli che sempre abbondano sulle rive, in un concerto che forse non siamo più neppure capaci di percepire. Ma in alta montagna, nel silenzio assoluto che ci impressiona - abituati come siamo ai rumori urbani - il suono dell'acqua risalta come un segno di vita, rompe la nostra solitudine con una presenza amichevole. E ci fa compagnia il tamburellare della pioggia sui tetti e sui vetri, quando siamo chiusi al caldo in casa, come ci rende inconsapevolmente allegri lo scroscio delle grondaie quando fonde la neve, presagio di primavera.
Ma a contrasto con questi suoni rassicuranti di una natura amica la voce dell'acqua si fa a volte minacciosa, diventa il rombo assordante della piena che trascina con sé massi e piante strappate ai bordi, come nel caso dell'ultima alluvione. Ancora oggi nel ricordo delle persone la cosa che è rimasta più impressa e cui si associa la memoria della paura è il fragore dell'acqua, il rotolìo cupo dei detriti trasportati sul fondo, i tonfi sordi, il senso di un'ira furibonda e incontenibile che si annuncia nel boato risonante. Allora l'acqua si fa nemica, e ci mostra
Un altro canto d'acqua familiare ed amico è il querulo chiocchiolìo della fontana. Spesso il rumore della fontana è l'unico segno di vita che accompagna il visitatore nei villaggi deserti, insieme al latrato di qualche cane lasciato a guardia solitaria di una casa in cui si torna solo a sera. Ma la fontana insiste nel suo clo-clo monotono, quasi volesse indicare che il luogo mantiene aperta la sua disponibilità alla vita. Viene istintivo fermarsi e bere un sorso ad ognuna di queste fontane che si incontrano per strada, quasi per rassicurarle che sono ancora utili a qualcuno, o forse per il gusto stesso di interromperne il ritornello.
O forse ancora per ritrovarne il sapore; perché l'acqua coinvolge anche il senso del gusto, ci invita ad assaporarla, a riempirne la bocca e sentire il suo impatto ghiacciato sui denti, a godere con un leggero brivido della sua freschezza che ci scorre giù per la gola. Ogni fonte d'altronde ha il suo gusto, e ancora in ogni zona ci sono tradizioni locali sulle caratteristiche e virtù di certe fontane - curative o anche solo apprezzate per il loro sapore: c'è chi va ad una certa fontana a prender l'acqua per la polenta, chi ad un'altra va a riempire le bottiglie d'acqua da bere, chi si porta a casa l'acqua solforosa o ferruginosa da usare come cura. Varrebbe la pena di fare un'indagine su tutti questi usi che si vanno poco a poco affievolendo; anche questa è un tipo di ricchezza che stiamo per perdere.
Forse perché siamo in verità fatti in massima parte d'acqua, ed è l'acqua che assicura al nostro corpo la sua continua manutenzione (tanto dentro che fuori), sentiamo ben oltre la necessità di bere questa attrazione per l'elemento liquido. La sensazione dell'acqua sulla pelle è una delle più piacevoli per il nostro corpo - tanto che sia il brivido mozzafiato del mettere i piedi nella corrente gelata di un ruscello che esce dal ghiacciaio, quanto il sentirsi sospesi nell'immensità del mare o nel tepore avvolgente della vasca da bagno. Immersi nell'acqua ci sentiamo a nostro agio; e quando ci troviamo di fronte all'acqua, ci è difficile trattenerci dal toccarla. Viene istintivo, sedendo o passando vicino ad un corso d'acqua, di immergervi almeno la mano per sentire il liquido che fugge imprendibile accarezzando le dita, quasi invisibile nella sua trasparenza. L'acqua che scorre è costantemente nella poesia il simbolo del tempo della nostra vita, che inesorabilmente scivola via, in ogni attimo mutevole eppure sempre uguale a chi l'osserva da lontano. E anche per i bambini d'oggi, abituati a tv e videogiochi, attraversare le pozzanghere o pestarci i piedi per schizzare all'intorno rimane uno dei divertimenti più semplici e istintivi.
Ma ciò di cui più raramente ci rendiamo conto è l'odore dell'acqua. Forse perché l'olfatto è, nella vita urbana, il più mortificato dei sensi, lo teniamo ormai in poco conto. Non siamo più capaci di riconoscere gli ambienti dall'odore, un istinto probabilmente importante per la sopravvivenza dell'uomo primitivo. Eppure la prima cosa da cui i nostri sensi percepiscono l'acqua è proprio l'odore. L'atmosfera umida acuisce infatti la nostra capacità olfattiva, e come ci avviciniamo agli ambienti in cui c'è acqua gli odori assumono un'intensità particolare. Tutti gli ambienti umidi (sponde di laghi, di fiumi o torrenti) hanno un odore particolare, dovuto non tanto all'acqua stessa ma ai limi di deposizione delle sponde e al tipo di vegetazione; possiamo anche distinguere l'odore dell'acqua corrente e dell'acqua che ristagna.
È la somma di tutte queste sensazioni che possiamo definire "paesaggio dell'acqua"; un paesaggio che, contrariamente alla comune accezione limitata alla percezione visiva, entra in noi e costruisce la sua memoria attraverso tutti nostri sensi.
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