ACQUA E PAESAGGIO
Quando diciamo che il tempo degrada ogni cosa, in realtà attribuiamo al tempo il lento lavoro dell'acqua, in tutte le sue forme...
GUTTA CAVAT LAPIDEM...
di Lorenzo Appolonia
L'acqua rappresenta certamente la vita, ma, con il senso universale della natura, essa è presente, e partecipe, anche nei cicli legati alla morte o alla distruzione.
Questa duttilità è fortemente presente nel settore della conservazione dei Beni Culturali e fa sì che l'acqua partecipi, in vario grado, a tutti i fenomeni di degrado del nostro patrimonio storico e artistico.
La sua attività può essere diretta o indiretta, resta il fatto che quasi tutti i meccanismi di degrado hanno in comune la presenza di acqua.
Cerchiamo di compiere un piccolo excursus sulle varie e più comuni tipologie in cui si possa evidenziare il contributo dell'acqua nel processo di degrado di un'opera.
L'impresa più complicata è cercare un inizio, in considerazione del fatto che il settore è così ampio da non sapere da che parte cominciare. In ogni caso, basta dare un'occhiata a ciò che ci circonda per comprendere come anche un attacco biologico a un supporto naturale, quale per esempio carta, tessuto o cuoio, non possa avvenire senza un apporto, seppur minimo, d'acqua. Ne sono un esempio esaltante per bellezza e interesse le mummie egizie, nelle quali la prima attenzione del mummificatore era proprio quella di rimuovere le parti del corpo più ricche d'acqua al fine di ridurre la loro influenza nei cicli degradativi che sarebbero succeduti. D'altro canto, la conservazione stessa delle carni, che avveniva nell'antichità mediante l'utilizzo di sale e che ha fatto fiorire un commercio esteso e duraturo attraverso le Alpi, aveva come scopo l'impiego del cloruro di sodio (semplice sale da cucina), molto igroscopico e capace perciò di assorbire gli eccessi d'acqua delle carni, favorendone la conservazione.
È evidente che materiali molto ricchi di nutrimento, quali quelli menzionati sopra, siano fortemente a rischio per l'attacco di microrganismi, ma è altresì evidente che le condizioni di umidità sono fondamentali perché questi fenomeni di aggressione biologica si manifestino.
Sull'umidità conviene aprire un piccolo inciso e fornire alcune indicazioni relative ai limiti "teorici" ritenuti ideali per la conservazione dei materiali.
Innanzi tutto, quando si parla d'umidità, si prende come riferimento il concetto di quella misura che definisce il valore relativo d'acqua presente, sotto forma di vapore, e di conseguenza si parla di Umidità Relativa Percentuale (UR%).
Questa è, in parole semplici, la percentuale d'acqua, sotto forma di vapore, presente in uno specifico volume d'aria, rispetto a quella massima che detto volume potrebbe contenere. Tutto questo è, inoltre, legato alla temperatura in cui si trova l'aria, giacché la quantità massima di vapore che può essere contenuto in un volume d'aria varia al variare della stessa:
UR% = (mg A1)*100/(mg Am)
dove A1 è la quantità di acqua presente e Am è la quantità di acqua massima possibile.
Questo indica, innanzi tutto, che la quantità di vapore realmente presente può essere la stessa, in altre parole può non aver subito alcun apporto, ma che la sua presenza "relativa" è tale da farne variare la "disponibilità" per il materiale presente nell'ambiente.
Per meglio comprendere quanto detto occorre fare un piccolo passo indietro e guardare il nostro sistema non più solo per la presenza d'acqua, ma nel suo insieme.
Partiamo quindi da una considerazione che ha l'aspetto del dogma: "ogni materiale tende a cercare l'equilibrio con l'ambiente che lo circonda"; in pratica questo sottintende che ogni materiale tende a seguire le modificazioni dell'ambiente in cui è inserito, ovvero se la temperatura aumenta, anche quella del materiale tenderà ad aumentare fino a raggiungere quella dell'aria che lo circonda, lo stesso dicasi per l'umidità. Ecco che qui entrano in argomento il concetto di umidità relativa e le sue implicazioni nel settore della conservazione. Si era detto in precedenza che l'umidità assoluta, ovvero la quantità in grammi di acqua presente in un volume, poteva restare uguale, ma che variava il concetto di umidità relativa in funzione della temperatura. Si può adesso comprendere che l'umidità presente in un legno (carta, cuoio o intonaco) può aumentare se aumenta l'umidità relativa dell'ambiente, in quanto essa diventa più concentrata soprattutto nelle masse d'aria che sono a contatto con il materiale citato.
Il risultato che a noi interessa, dal punto di vista conservativo, è quello di un aumento del contenuto idrico interno alle strutture con le conseguenze diverse a seconda delle tipologie dei materiali, per esempio il legno tenderà ad allungarsi, dato che l'acqua si inserirà nelle fibre "distendendo" la struttura molecolare e allungandola, oppure riempirà i pori degli intonaci nei muri favorendo fenomeni di migrazione salina o, anche, di dissoluzione del legante, con evidenti problemi dal punto di vista conservativo.
Bisogna ammettere che, parlando dell'azione diretta dell'acqua, vengono in mente altre tipologie d'interazione, ma le dinamiche sopra riportate sono così diffuse e scarsamente valutate da rendere difficile l'interpretazione di alcuni fenomeni di degrado. Un esempio "d'antologia" a tale riguardo, è quello degli intonaci della cappella di S. Grato in via De Tillier ad Aosta. Durante la fase dei restauri ci si è resi conto che alcune zone della cappella presentavano grandi macchie dovute a presenza di umidità. Per meglio comprendere la natura e l'origine di quest'apporto di acqua, si sono avviate delle serie di rilevamenti che hanno impiegato anche strumentazioni sofisticate o ricerche accurate dentro la muratura. Il risultato finale era sempre il medesimo: l'umidità c'era, era evidente, ma non si capiva la sua origine. La valutazione che mancava nel contesto era quella legata al fatto che la cappella, per la sua esposizione e struttura, risultava molto umida, ma semplicemente dell'umidità ambientale che non aveva modo di "uscire" dalla struttura e, di conseguenza, secondo i cicli diurni o notturni, l'intonaco tendeva ad assorbire quest'acqua presente e a mantenerla fino alla variazione della temperatura dando, come effetti, una colorazione intensa di alcune parti dell'intonaco (più umide) e la caduta di materiale dovuta a cicli di dissoluzione e alla formazione di sub efflorescenze (ovvero cristallizzazione di sali sotto la superficie). Questo fenomeno è anche favorito, sovente, dalla composizione stessa dei materiali, giacché vi possono essere dei componenti che sono particolarmente igroscopici e, pertanto, capaci di accumulare quantitativi d'acqua notevoli, quando questa si renda più disponibile in conseguenza dell'aumento dell'UR%. Un esempio di materiale molto igroscopico è dato dal gesso, ma anche da altri sali ancora più dannosi come per esempio il solfato di magnesio o il solfato di sodio. Questi sali appartengono a quella categoria di composti, detti deliquescenti, capaci di accumulare talmente tanta acqua nel loro cristallo da liquefarsi senza essere immersi in un contenitore. Il problema è che questo accumulo di acqua avviene anche a temperatura ambiente e semplicemente per la variazione di UR%. Questo fatto rende detti sali particolarmente dannosi per le strutture murarie. Si pensi che il solfato di magnesio che ha una struttura cristallina con due molecole d'acqua, in un ambiente particolarmente ricco di vapore acqueo può aumentare il numero di molecole aggregate fino a sette, con il conseguente ingrossamento del cristallo. Se poi immaginiamo che un cristallo di solfato di magnesio sia presente all'interno della nostra muratura è evidente che il poro che lo conteneva verrà distrutto da questo aumento di volume, con il conseguente degrado del materiale dell'intonaco. Non si deve credere che questa sia una realtà così difficile da trovarsi, basti pensare all'impiego di rinzaffature con cementi ricchi di gesso e spesso anche di calci magnesiache, per comprendere come l'intonaco più poroso possa "risentire" in modo nocivo di detto trattamento. Se a questo aggiungiamo le caratteristiche particolari dell'architettura povera della nostra Regione, nella quale sono stati impiegati spesso materiali come il gesso, per ridurre la quantità di calce da impiegare, e che in alcune zone i nostri calcari sono fortemente dolomitici (ovvero sali di calcio e magnesio), pare evidente come sia facile ritrovarsi con del solfato di magnesio e con problemi di conservazione, magari dopo un intervento di restauro su un edificio che fino a quel momento non aveva presentato problemi di questo genere. Un classico esempio è come, variato un equilibrio idrico, questo influenzi la conservazione della nostra casa restaurata.
Fino ad ora abbiamo affrontato il tema acqua più per un suo "derivato", in altre parole il vapore, che per l'apporto che essa dà in un modo più evidente e tangibile. D'altro canto fenomeni erosivi legati al dilavamento delle acque sono effettivamente più palesi e necessitano, spesso, di minori spiegazioni e giustificazioni.
Siamo tutti in grado di capire come l'apporto diretto dell'acqua possa impoverire la struttura di una pietra esposta, che subisce un dilavamento o vada ad influire sulla conservazione di alcuni materiali specifici, quali i capitelli in gesso del chiostro della Cattedrale d'Aosta, mentre, per riscontro, le zone non direttamente esposte, seppure inserite in un ambiente sufficientemente umido, non presentano alcuna alterazione.
Un altro possibile effetto dell'acqua sui monumenti è quello legato al fenomeno della risalita capillare, senz'altro fra i più diffusi e fra i meno considerati nelle valutazioni di conservazione del patrimonio culturale, per cui l'acqua si insinua nelle strutture attraverso la sua capacità di risalire i capillari esistenti per la porosità dei materiali. Questo fenomeno di degrado si manifesta soprattutto nelle zone limite della risalita, ovvero nelle zone di evaporazione.
Che l'acqua risulti, quindi, un "problema" nel settore della conservazione è testimoniato dal fatto che prodotti idrofobizzanti, ovvero con scarsa affinità all'acqua, vengono genericamente indicati come "protettivi" estendendo l'eccezione di protezione, la quale dovrebbe avere implicazioni più diversificate e varie.
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