I Comuni si stanno accingendo a mettere a punto i nuovi PRGC (Alla luce di quanto disposto dall'articolo 13 della legge regionale 1998, n. 11 "Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d'Aosta", per adeguarli alle norme della legge stessa e alle determinazioni del Piano Territoriale Paesistico (PTP)); è un momento importante, in quanto non si tratta di un semplice "adeguamento normativo" a nuove regole: il PTP non detta regole, quanto piuttosto indica obiettivi strategici per uno sviluppo sostenibile. Vuol dire preoccuparsi di come abiteremo, di come lavoreremo, di quali servizi potremo fruire, di come potremo spostarci sul territorio,…ma soprattutto vuol dire preoccuparci di come usare bene la risorsa suolo, limitata e non rinnovabile, e quali problemi lasceremo in eredità ai nostri figli…
Il passaggio del millennio ci invita a gettare uno sguardo in avanti, verso un futuro che appare agli ottimisti sempre più carico di promesse e ai pessimisti sempre più denso di minacce. Senza voler prendere inutilmente posizione da una parte o dall'altra, vale la pena di soffermarsi un momento a pensare con quali prospettive la Valle d'Aosta si affaccia su questo nuovo scenario. In effetti per la nostra Regione questo è un traguardo importante, marcato da due eventi calamitosi che hanno fortemente inciso sulla nostra economia e sulla nostra cultura: il rogo del Traforo del Monte Bianco e la recente alluvione di ottobre.
L'incidente del Traforo ha posto la Regione in una condizione di isolamento che ha determinato anche una vera e propria chiusura psicologica: dalla visione del "carrefour d'Europe" ci si è infatti in poco tempo ripiegati su di una visione localistica, vicina all' "état intramontain" di Bailly. La chiusura del Traforo ci ha dato dunque una percezione più chiara della nostra posizione geografica; al di là delle polemiche sui Tir, l'assenza del traffico di attraversamento ha determinato una presa di coscienza del fatto che se non saremo capaci di trovarci un ruolo e un posto nella dimensione europea, rischieremo veramente di diventare un'isola.
La recente alluvione poi ci ha improvvisamente messi di fronte alla fragilità del nostro territorio. Non si tratta certo di una novità, ma un conto è sapere che la montagna, per sua natura, è destinata a scendere a valle, immaginando un lento e secolare movimento, appena percettibile per qualche evento qua e là più accentuato - una frana, una piena, un fenomeno erosivo; un conto invece è trovarsi di fronte a una situazione generalizzata di dissesto, all'impressione di un improvviso collasso del suolo su cui poggia tutta l'organizzazione della nostra vita.
La vita deve riprendere. Il sole asciuga, la neve ricopre le ferite della terra; istintivamente e sicuramente cercheremo di dimenticare. Ma forse il nostro modo di vedere sarà un po' cambiato.
È proprio in questo momento, per una involontaria combinazione, che i Comuni sono chiamati a rivedere i piani regolatori per adeguarli al Piano Territoriale Paesistico regionale. Sollecitati dai due eventi che così fortemente hanno segnato questi ultimi anni, ci aspetta quindi un grande ripensamento sull'uso e l'assetto del territorio. Questa operazione ci impone di mettere a confronto due diverse istanze: da un lato l'individuazione di una linea di sviluppo locale, dall'altro la sua "sostenibilità".
Il concetto di "sostenibilità" (o "durevolezza", secondo l'espressione francese) viene spesso limitato all'aspetto ambientale; non esiste però vero sviluppo sostenibile che non coinvolga anche e in ugual misura l'aspetto sociale ed economico.
Negli ultimi tempi ci siamo gradatamente resi conto che ciò che inizialmente era visto come un vantaggio si trasformava, se superava un certo limite, in un elemento di danno; il più classico è l'esempio delle industrie, portatrici di benessere sociale da un lato ma divenute fattori di alto inquinamento e degrado quando si raggiungano certe concentrazioni; nel caso della nostra regione può essere più chiaro l'esempio del turismo: un'attività di per sé legata alla valorizzazione della natura può determinare, nel caso che il suo peso aumenti in modo eccessivo rispetto alla struttura territoriale, un vero e proprio "consumo" dell'ambiente (inquinamento da traffico, difficoltà di gestione dei rifiuti, ecc.) che degrada la montagna a delle modalità ed abitudini di vita urbana. Pensiamo alle file di cordate che d'estate scalano le nostre vette: si può pensare di capire o godere la montagna - quel senso di piccolezza, di solitudine dell'uomo di fronte alla natura, e insieme di grandiosità e di partecipazione alla vita, che si prova di fronte alle distese scintillanti dei ghiacciai o a picco su vedute vertiginose - facendo la coda come per acquistare il biglietto dello stadio? Si può pagare un week-end di aria pulita con una domenica pomeriggio nel gas di scarico per entrare al casello autostradale? Quanto può reggere questo modello di offerta turistica? E dopo, cosa ci resterà?
In effetti, abbiamo dato troppo spesso per scontato che lo sviluppo fosse misurabile solo in termini di: più turismo = più posti di lavoro = più reddito = più residenti, come se questo potesse essere un processo all'infinito. Ma questi indicatori non sono sufficienti a dirci se questo sviluppo è durevole, oppure se, esaurite le risorse territoriali, ci ritroveremo con un pugno di mosche.
Per parlare di "sviluppo sostenibile" dobbiamo non solo fare un bilancio tra risorse consumate e reddito prodotto, ma anche fra risorse consumate e risorse riprodotte o nuove risorse. La sostenibilità riguarda proprio la possibilità di durata nel tempo, cioè la riproducibilità delle risorse o, dove esse non siano riproducibili, l'evitarne l'usura. E riguarda non solo le risorse territoriali, ma anche quelle umane e sociali: non ci può essere uno sviluppo che non sia anche una crescita delle risorse umane, non ci può essere benessere senza patto sociale.
Le prospettive di sviluppo, non un disegno di zonizzazione, sono allora il vero contenuto di questa generazione di piani regolatori comunali; dobbiamo andare - prima e al di là delle linee tracciate sulla carta - a immaginare un modo di vivere, di rapportarsi tra le persone, di inserirci nell'ambiente che ci circonda per scoprirne le opportunità, ma anche per capirne i rischi, la fragilità, i limiti imposti all'uso delle sue risorse perché questo non diventi usura e consumo delle stesse.
Per entrare in quest'ottica bisogna leggere il piano territoriale paesistico non solo per le poche norme che detta, quanto piuttosto per le molte indicazioni, attenzioni e spunti che esso ci suggerisce in ordine ad uno sviluppo che sia veramente durevole. Il PRGC deve essere lo strumento che ci consente di lasciare ai nostri figli un ambiente che offra ancora, anche a loro, una possibilità di immaginare nuovi modi di vivere. Evitando di sovrapporre ad un territorio e a una cultura di montagna la logica urbana dello sfruttamento intensivo e del consumo.
La montagna e i suoi abitanti non sono un bene "usa e getta".
Il 20 ottobre 2000 a Firenze, in occasione della conferenza ministeriale sulla protezione del paesaggio, diciotto stati membri hanno sottoscritto la "Convenzione europea del paesaggio" adottata lo scorso luglio dal Consiglio d'Europa.
L'idea di avere un nuovo strumento di indirizzo destinato a una migliore gestione e protezione dei paesaggi europei è una iniziativa del Congrès des pouvoirs locaux et régionaux du Conseil d'Europe che risale al 1994 ed ha ottenuto il sostegno politico dell'assemblea parlamentare e del Consiglio dei ministri. Questo nuovo strumento di governo sarà flessibile e si applicherà ai paesaggi secondo le loro caratteristiche specifiche. La convenzione riguarda infatti tutto il territorio: spazi naturali, paesaggi rurali, urbani e sub-urbani, spazi terrestri, acque interne e marittime; considera sia i paesaggi di rimarchevole valore sia quelli ordinari o degradati. È prevista l'adozione a livello locale, regionale, nazionale e internazionale di politiche e misure di protezione, gestione e pianificazione, che vanno dalla stretta conservazione ad interventi nuovi anche forti; tali politiche sono basate su un'idea dinamica di paesaggio e su una filosofia che riconosce al paesaggio stesso un ruolo di elemento costitutivo dell'identità dei popoli e di connotazione della qualità della loro vita.
La convenzione sottolinea l'importanza della partecipazione del pubblico alle decisioni sulla protezione del paesaggio, soprattutto a livello locale, e propone delle misure tese a promuovere la formazione di personale specializzato, la formazione pluridisciplinare dei professionisti sia dei settori pubblici sia di quelli privati, l'attuazione di corsi scolastici e universitari sul valore del paesaggio e sulle questioni attinenti la loro tutela e pianificazione. A livello di cooperazione europea, la convenzione prevede l'impegno delle Parti a collaborare per fornirsi reciproca assistenza tecnica e scientifica, per lo scambio di esperienze, informazioni e personale specializzato, oltre a un monitoraggio dell'applicazione della convenzione.
Infine è previsto un premio per il paesaggio con il quale il Consiglio d'Europa intende conferire un riconoscimento a quelle autorità locali e regionali che si sono dimostrate efficaci sul lungo termine nel campo della tutela, gestione e pianificazione del territorio e che possono pertanto servire di esempio alle altre realtà territoriali.